sabato 19 aprile 2025

Honoré de Balzac, La peau de chagrin

 








Honoré de Balzac, La peau de chagrin, Club des libraires de France, riproduzione dell’edizione del 1838, Paris, H. Delloye et Victor Lecou



L’ingresso del giovane alla roulette del Casinò è presentato come una discesa all’inferno da parte di un dannato. Vi è già in Balzac molto di Dostoevskij.

P. 43, il vecchio mercante ebreo mostra al giovane damerino aspirante al suicidio (per aver perso tutte le sue sostanze al gioco) una pelle di zigrino dove è impresso il sigillo di Salomone. E qui viene fuori tutta la mania esoterica del secolo, compediata nella figura e nell’opera di Éliphas Lévi.

P. 58, ecco che leggiamo per la prima volta il nome del protagonista, Raphaël, dopo il suo incontro con i tre compagni di baldoria. E’ ormai uscito dal negozio del mercante ebreo, dove ha potuto avere ragguagli sulla misteriosa pelle di zigrino ed è stato avvertito del suo potere di soddisfare ogni desiderio, ma anche di condurre alla morte ! Pure Raphaël ha accettato di ricevere il dono fatale. La scena seguente del banchetto in casa del milionario riecheggia la “Cena di Trimalchione” del Satyricon di Petronio ed è occasione di trovate davvero comiche e di giochi di parole.

Di seguito, la descrizione delle giovani cortigiane, come ad esempio Aquilina, dimostra una capacità di osservazione e un’esperienza della bellezza femminile davvero notevole.

P. 96, la morale di Euphrasie è quella del marchese de Sade, ella sembra la sorella malvagia di Justine, Juliette. Ma il suo pensiero è quello delle ragazze d’oggi, divertirsi, amoreggiare finché si è giovani, senza mai sottostare al maschio patriarca. Bella prospettiva, se la giovinezza e la bellezza fossero eterne !

P. 120-122, nella confessione di Raphaël a Émile si avverte qualche elemento autobiografico di Balzac oltre a un atteggiamento romantico di rivalsa dell’Io che culmina nell’evocazione di Byron. Si preannuncia il futuro eroe dannunziano. Anche nell’eloquio fluente che contrasta con lo stile tutto azione di Dickens, si sente lo scrittore dandy. Si veda anche la prosa d’un Barbey d’Aurevilly e di Huysmans. Balzac è un maestro di eloquenza.

P. 134, sempre nella lunga confessione di Raphaël apprendiamo che il personaggio era autore d’una Théorie de la volonté, “ce long ouvrage pour lequel j’avais appris les langues orientales, l’anatomie, la physiologie”. Che sia un’eco del Mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer ? Sembra anche miracolosamente anticipare Bergson !

P. 152, Raphaël continua a narrare e riferisce del suo incontro con la nobile russa, la contessa Foedora, bellissima ed algida, che, pur aprendo la sua casa a tutti gli intellettuali e politici di Parigi, non si concede a nessuno. Costei, informata da Rastignac, riceve nel suo palazzo Raphaël accompagnato appunto da Rastignac, che ha combinato l’incontro. E’ un colpo di fulmine. E la frase pronunciata da Rastignac irretisce definitivamente Raphaël : “Cette femme n’est-elle pas une énigme ?”

Seguono la narrazione della corte che Raphaël fa a Foedora e (p. 166) le schermaglie amorose. Foedora è il tipo classico della femme fatale, che si ritrova generalmente replicata nei romanzi dell’epoca : “Et j’aimais toujours, j’aimais cette femme froide dont le coeur voulait être conquis à tout moment, et qui, en effaçant toujours les promesses de la veille, se produisait le lendemain comme une maîtresse nouvelle” (p. 168).

Il “crescendo” della passione d’amore viene analizzato in tutte le sue sfumature, con eloquenza e grande capacità di introspezione psicologica. Per sostenere il tenore di vita di cortigiano di Foedora, già povero, s’indebita ulteriormente sino a non avere più un soldo. Anche il lavoro di ghost-writer offertogli grazie all’amicizia di Rastignac non è sufficiente.

P. 194, nonostante i sogni, le illusioni e i servigi di Raphaël, che si umilia recandosi in visita da un suo parente ricco per soddisfare a una richiesta di Foedora, la gran dama si dimostra sempre più una donna insensibile, fredda e arida.

P. 200, sempre a corto di quattrini, Raphaël non ha il coraggio di recarsi al Monte di Pietà e cerca soccorso dalla sua pigionante e da sua figlia Pauline, che forse è innamorata di lui. Ma scopre in seguito a un breve colloquio che non è così. Tuttavia Pauline, che ha una forte simpatia per lui, prendendogli la mano gli legge il destino quasi involontariamente e gli dice che la donna ch’egli avesse amato l’avrebbe ucciso.

P. 212. Trascinato dalla folle passione per Foedora, Raphaël s’introduce nel palazzo quando la contessa riceve molti ospiti e penetra in camera sua. Qui si apposta dietro le tende d’una finestra e, quando la donna entra nella stanza, assiste al colloquio tra lei e la cameriera e poi la scorge nella sua splendente nudità. Scopre così dal colloquio con la serva Giustina, che Foedora non ha mai in realtà amato nessuno e scorge chiaramente nella perfezione d’un corpo ancora inviolato la sua verginità. Ma si rende conto, nonostante la vicinanza momentanea, della sua abissale distanza dalla contessa. Infatti nell’incontro che segue con la contessa, in seguito a un appuntamento concessogli nel salotto di lei, Raphaël ha modo di constatare quanto la donna gli sia lontana, avvolta in un manto di inavvicinabile indifferenza. Egli allora in preda alla disperazione promette di allontanarsi definitivamente e di non vederla mai più.

Incontra Rastignac che lo converte a una vita di dissipazione, pari a una lenta morte, ma senza dubbio piacevole. Così si reca a casa dove saluta per l’ultima volta Pauline in una scena commovente quanto scontata. E’ chiaro che ormai di fronte al bivio egli ha scelto la via del vizio e della depravazione. In queste pagine si sente quasi l’eco del futuro Dorian Gray.

Dopo la vincita di una grossa somma al gioco da parte di Rastignac Raphaël ne dispone per la metà e si precipita nell’abisso di una vita dissoluta. Ma non si è liberato di Foedora. Una volta la incontra sulla via ed è ricambiato da uno sguardo beffardo e da una frase di circostanza.

Ormai alla fine del suo racconto-confessione all’amico Émile, Raphaël si ricorda della pelle di zigrino che porta con sé ed è preso da un’improvvisa esaltazione (p. 247). L’esaltazione è dovuta ai litri di vino e liquore ingeriti durante l’orgia notturna. E’ curioso che però ne risenta solo ora, dopo aver profuso un fiume di eloquenza distinta in disquisizioni di ordine morale, osservazioni psicologiche ed esistenziali, contornate da un’avveduta narrazione autobiografica. Balzac ci fa notare che era ubriaco soltanto poco prima di addormentarsi ! L’ampia digressione è dunque terminata, e dopo essere stati informati degli antefatti ora veniamo introdotti, finalmente, alla vicenda vera e propria, che è la giustificazione del titolo del romanzo.

Il mattino dopo l’orgia, nel palazzo del notaio, è lo stesso Taillefer che annuncia dinanzi alla folla dei convitati che si apprestano a fare colazione (p. 254) una favolosa eredità di sei milioni di franchi disposta in favore di Raphaël de Valentin. Nello stesso momento Raphaël misura la pelle di zigrino su un tovagliolo che recava il segno del contorno precedente e nota con terrore che essa si è di molto rimpicciolita. Colto da una strana premonizione sulla brevità della sua vita, egli comincia a rendersi conto che il compimento dei suoi desideri lo porterà alla morte.

Nel capitolo seguente, L’agonie, veniamo a sapere che il marchese Raphaël de Valentin è il proprietario d’uno splendido palazzo a Parigi e conduce vita da viziato milionario, ma è minato nel fisico da un’oscura malattia. E’ dominato dalla tirannia della pelle di zigrino, che, minaccia costante, è appesa dinanzi a lui nella sua camera, e che lo costringe a reprimere, pena la morte, qualunque desiderio. Minato nel fisico, ha tutto, è ricchissimo, ma non può soddisfare neppure il minimo capriccio. Sprofondato in una poltrona, febbricitante, riceve il suo vecchio professore dell’università, il quale resta assai sorpreso di vedere così malridotto il suo giovane allievo.

La pelle di zigrino può aver suggerito a Oscar Wilde il ritratto vivente di Dorian Gray, che si modifica a seconda dei misfatti del protagonista, ma è evidente che, mentre Dorian Gray non risente affatto delle conseguenze dei suoi atti, Raphaël è invece costantemente sotto l’incubo del restringimento della pelle di zigrino, che simboleggia ormai la brevità della sua vita.

La visita dell’anziano professore, che lamenta di essere stato privato della cattedra per motivi politici e gli formula alcune richieste, lo getta in uno stato di alterazione mentale, poiché egli scorge una lieve diminuzione della pelle di zigrino non appena esprime un augurio, rivolgendosi all’ospite. Dopo una terribile crisi si reca al teatro lirico ad assistere alla rappresentazione della Semiramide di Rossini e qui vagando nei corridoi scorge con disappunto uno strano personaggio. Si tratta del mercante che gli ha consegnato la pelle di zigrino e che ha ora i tratti evidenti di Mefistofele, nello sguardo diabolico con il quale gli si rivolge. Costui è accompagnato dalla bella e corrotta Euphrasie che sembra richiamare il povero marchese malato a una vita di dissipazione, da lui ormai aborrita. Subito dopo incontra da lontano lo sguardo perfido e maliardo di Foedora, ma le resiste sdegnandola. Non può però resistere a lungo a un’altra apparizione vicino alla sua loggia. Si tratta di una bellissima donna ammirata da tutti, meno che da lui. Ma dopo poco anch’egli cede e voltandosi, con estrema meraviglia, scorge Pauline, ora trasformata in una dama di eccezionale bellezza (p. 287). Inizia così l’idillio. I due giovani si incontrano nella vecchia mansarda dove abitava da povero Raphaël e si dichiarano a vicenda il proprio amore. E’ una scena commovente che sembra preludere al riscatto morale del protagonista, ma si tratta evidentemente di un’illusione.

Trascorrono un periodo di vita insieme, nella prospettiva del prossimo matrimonio, follemente innamorati e circondati dalla fortuna e dalla ricchezza. Ma il destino è avverso. La pelle di zigrino osservata per caso da Raphaël mostra di essersi di nuovo ristretta e allora il povero giovane, disperato, la getta in un pozzo. Sembra che la persecuzione sia finita e i due giovani si trovano a trascorrere una piacevole mattinata nella serra del giardino, quando il giardiniere reca come oggetto di curiosità al suo padrone la pelle di zigrino ripescata dal pozzo. In preda allo sconforto Raphaël cerca allora un qualche espediente per eluderne la maledizione. Si reca da un celebre naturalista per avere delucidazioni sulla natura del misterioso talismano e in questo incontro Balzac approfitta dell’occasione per fare una satira degli accademici, arrivando alla conclusione che tutta la scienza con la sua prosopopea si riduce a una semplice e vuota nomenclatura.

P. 316, 317, è straordinario, ma l’esposizione delle idee del fisico Planchette sul movimento sembrano anticipare quelle di Bergson nell’Evoluzione creatrice. “Tout est mouvement. La pensée est un mouvement. La nature est établie sur le mouvement.” E Dio stesso in quanto eterno è probabilmente eterno movimento.

Nonostante abbia sottoposto all’esame del fisico, alla prova della pressa idraulica di un ingegnere meccanico e poi ai solventi di un chimico la diabolica pelle di zigrino, questa rimane inalterata come se nulla fosse. Raphaël ormai dispera di poter mutare la propria sorte, segnata dalla condanna.

P. 336, dopo una notte d’amore con Pauline, in cui vibra tutta la passione romantica, il giovane viene colto da una crisi di tosse e stremato appare alla sua amata nella luce sinistra di un malato di tisi.

P. 340, segue un consulto di quattro medici illustri, che costituisce una vera satira dell’arte medica, tanto celebrata e onorata quanto vana. Uno di essi è un giovane amico di Raphaël, gli altri sono maturi professoroni dall’aria saputa. Ognuno esplicita le proprie teorie, ma nessuno prescrive una cura sensata, né riesce tanto meno a comprendere le cause della malattia.

In seguito al consiglio dei medici, Raphaël ricorre alle cure termali, alle acque d’Aix in Savoia. Improvvisamente, senza dare inizio a un nuovo capitolo, lo scrittore ci immerge in un interno d’albergo in alta montagna. L’atteggiamento chiuso e scontroso del protagonista offende gli altri clienti che si affidano alle cure termali e qui Balzac dà un saggio della sua profonda conoscenza della psicologia umana.

Messo ai margini della società termale di aristocratici indifferenti e infastiditi dal suo aspetto di persona gravemente malata, il protagonista si rifugia in profonde riflessioni sulla natura umana, che hanno un esito beffardo quando il medico dello stabilimento termale cerca di allontanarlo con consigli apparentemente benevoli. L’ostilità circostante cresce sino al punto di suscitare contro di lui una lite e un duello. Ma il potere della pelle di zigrino è tale che Raphaël senza neppure mirare con la pistola al suo avversario riesce a colpirlo in pieno petto, dritto al cuore. Naturalmente questo successo gli costa caro. La pelle si riduce alla grandezza di una foglia di quercia.

Quindi, mutando soggiorno, si porta alle Acque del Mont-d’Or. Il meraviglioso panorama alpino e la semplicità dei contadini gli donano un illusorio senso di ritrovata salute, ma si tratta appunto di un’illusione. Intercettando un dialogo tra la montanara che lo ospita e il suo devoto servitore, Raphaël scopre di essere disperatamente malato e senza possibilità di guarigione.

Infatti la sua situazione peggiora in maniera continua e irrimediabile, tanto che, disgustato anche dalle chiacchiere fatte dai suoi ospiti sulla sua condizione, decide di cambiare aria e di tornare a Parigi. Qui trova un plico di lettere inviate dalla sua amata Pauline, all’oscuro del suo peregrinare, ma decide di gettarle nel caminetto. Poi si pente e ne estrae una quasi integra dal fuoco. Si rende così conto dell’amore assoluto e disinteressato della giovane, ma ormai la malattia lo domina completamente.

Decide di sopravvivere dormendo e così sottrarsi al pericolo di concepire nuovi desideri per lui esiziali. Si fa prescrivere degli oppiacei dal medico e cerca di prolungare la sua esistenza quasi nella condizione d’una crisalide. Ma gli eventi contrastano questi tentativi e un ultimo incontro con Pauline, disperata per la sua salute, gli fa formulare il desiderio definitivo e fatale, egli vorrebbe abbracciarla, invaso dalla passione, ma il talismano, ridotto all’estremo, svanisce e così anche la vita di Raphaël, che muore in un gesto folle d’amore.

Il pessimismo di Balzac si manifesta pienamente nella sorte di questo povero personaggio che dall’inizio alla fine è perseguitato da un destino ostile. Pur eccellendo per le sue alte qualità egli sembra punito per la sua umana fragilità di giovane propenso ad amare e avido d’amore. E’ come se l’autore, riconoscendosi in lui, confessasse che ai migliori e ai più degni è negata la felicità, forse perché la sanno riconoscere. L’epilogo sembra confermare questa interpretazione nella contrapposizione dell’ideale figura di Pauline, donna angelo, e della perfida, ma, ahimé, molto comune e concreta Foedora.


sabato 12 aprile 2025

Yukio Mishima, La voce delle onde

 






Yukio Mishima, La voce delle onde (1954), Milano, Feltrinelli, 2024



Stile simile a quello di Hemingway. Le descrizioni degli ambienti sono accurate e precise, direi fotografiche. Anche le azioni vengono rappresentate con grande evidenza ed attenzione al realismo e ai particolari più minuti (vedi la scena della pesca dei polipi, p. 17). Siamo nella fase di transizione dal romanzo alla sceneggiatura.

P. 20, nel finale del cap. 2 i sentimenti del giovane pescatore si rispecchiano nella natura circostante e viceversa l’ambiente marino influisce profondamente sul suo animo. In questa simbiosi uomo-ambiente c’è qualcosa di comune con la sensibilità dannunziana.

P. 70-74, la scena erotica tra il giovane Shinji e la giovane Hatsue è quanto mai suggestiva, realistica e nello stesso tempo reticente e quasi velata dal pudore. I due corpi si stagliano alla luce del fuoco come rivelazioni improvvise di dei.

P. 132-134, la descrizione della vita quotidiana del villaggio, in particolare delle pescatrici di perle colte nel momento in cui dopo essersi tuffate si riposano nude sulla spiaggia, è realistica e ingenua. La bellezza femminile, specialmente la conformazione del seno, non viene apprezzata con malizia, ma esaltata in maniera del tutto spontanea e naturale.

Il seguito della vicenda, che si conclude con il fidanzamento dei due giovani, è tutto imperniato di naturalezza e di color locale, all’insegna delle tradizioni del vecchio Giappone. C’è in questo qualche elemento comune con il verismo dei Malavoglia di Verga. Tutto sommato si tratta di neorealismo.