Honoré de Balzac, La peau
de chagrin, Club des libraires de France, riproduzione
dell’edizione del 1838, Paris, H. Delloye et Victor Lecou
L’ingresso
del giovane alla roulette del Casinò è presentato come una discesa
all’inferno da parte di un dannato. Vi è già in Balzac molto di
Dostoevskij.
P.
43, il vecchio mercante ebreo mostra al giovane damerino aspirante al
suicidio (per aver perso tutte le sue sostanze al gioco) una pelle di
zigrino dove è impresso il sigillo di Salomone. E qui viene fuori
tutta la mania esoterica del secolo, compediata nella figura e
nell’opera di Éliphas
Lévi.
P.
58, ecco che leggiamo per la prima volta il nome del protagonista,
Raphaël,
dopo
il suo incontro con i tre compagni di baldoria. E’ ormai uscito dal
negozio del mercante ebreo, dove ha potuto avere ragguagli sulla
misteriosa pelle di zigrino ed è stato avvertito del suo potere di
soddisfare ogni desiderio, ma anche di condurre alla morte ! Pure
Raphaël ha accettato di ricevere il dono fatale. La scena seguente
del banchetto in casa del milionario riecheggia la “Cena di
Trimalchione” del Satyricon
di Petronio ed è occasione di trovate davvero comiche e di giochi di
parole.
Di
seguito, la descrizione delle giovani cortigiane, come ad esempio
Aquilina, dimostra una capacità di osservazione e un’esperienza
della bellezza femminile davvero notevole.
P.
96, la morale di Euphrasie è quella del marchese de Sade, ella
sembra la sorella malvagia di Justine, Juliette. Ma il suo pensiero è
quello delle ragazze d’oggi, divertirsi, amoreggiare finché si è
giovani, senza mai sottostare al maschio patriarca. Bella
prospettiva, se la giovinezza e la bellezza fossero eterne !
P.
120-122, nella confessione di Raphaël
a
Émile
si
avverte qualche elemento autobiografico di Balzac oltre a un
atteggiamento romantico di rivalsa dell’Io che culmina
nell’evocazione di Byron. Si preannuncia il futuro eroe
dannunziano. Anche nell’eloquio fluente che contrasta con lo stile
tutto azione di Dickens, si sente lo scrittore dandy. Si veda anche
la prosa d’un Barbey d’Aurevilly e di Huysmans. Balzac è un
maestro di eloquenza.
P.
134, sempre nella lunga confessione di Raphaël
apprendiamo
che il personaggio era autore d’una Théorie
de la volonté,
“ce long ouvrage pour lequel j’avais appris les langues
orientales, l’anatomie, la physiologie”. Che sia un’eco del
Mondo come
volontà e rappresentazione
di Schopenhauer ? Sembra anche miracolosamente anticipare Bergson !
P.
152, Raphaël
continua
a narrare e riferisce del suo incontro con la nobile russa, la
contessa Foedora, bellissima ed algida, che, pur aprendo la sua casa
a tutti gli intellettuali e politici di Parigi, non si concede a
nessuno. Costei, informata da Rastignac, riceve nel suo palazzo
Raphaël
accompagnato
appunto da Rastignac, che ha combinato l’incontro. E’ un colpo di
fulmine. E la frase pronunciata da Rastignac irretisce
definitivamente Raphaël
: “Cette femme n’est-elle pas une énigme ?”
Seguono
la narrazione della corte che Raphaël
fa a Foedora e (p. 166) le schermaglie amorose. Foedora è il tipo
classico della femme fatale, che si ritrova generalmente replicata
nei romanzi dell’epoca : “Et j’aimais toujours, j’aimais
cette femme froide dont le coeur voulait être
conquis
à tout moment, et qui, en effaçant toujours les promesses de la
veille, se produisait le lendemain comme une maîtresse nouvelle”
(p. 168).
Il
“crescendo” della passione d’amore viene analizzato in tutte le
sue sfumature, con eloquenza e grande capacità di introspezione
psicologica. Per sostenere il tenore di vita di cortigiano di
Foedora, già povero, s’indebita ulteriormente sino a non avere più
un soldo. Anche il lavoro di ghost-writer offertogli grazie
all’amicizia di Rastignac non è sufficiente.
P.
194, nonostante i sogni, le illusioni e i servigi di Raphaël,
che si umilia recandosi in visita da un suo parente ricco per
soddisfare a una richiesta di Foedora, la gran dama si dimostra
sempre più una donna insensibile, fredda e arida.
P.
200, sempre a corto di quattrini, Raphaël
non ha il coraggio di recarsi al Monte di Pietà e cerca soccorso
dalla sua pigionante e da sua figlia Pauline, che forse è innamorata
di lui. Ma scopre in seguito a un breve colloquio che non è così.
Tuttavia Pauline, che ha una forte simpatia per lui, prendendogli la
mano gli legge il destino quasi involontariamente e gli dice che la
donna ch’egli avesse amato l’avrebbe ucciso.
P.
212. Trascinato dalla folle passione per Foedora, Raphaël
s’introduce nel palazzo quando la contessa riceve molti ospiti e
penetra in camera sua. Qui si apposta dietro le tende d’una
finestra e, quando la donna entra nella stanza, assiste al colloquio
tra lei e la cameriera e poi la scorge nella sua splendente nudità.
Scopre così dal colloquio con la serva Giustina, che Foedora non ha
mai in realtà amato nessuno e scorge chiaramente nella perfezione
d’un corpo ancora inviolato la sua verginità. Ma si rende conto,
nonostante la vicinanza momentanea, della sua abissale distanza dalla
contessa. Infatti nell’incontro che segue con la contessa, in
seguito a un appuntamento concessogli nel salotto di lei, Raphaël
ha modo di constatare quanto la donna gli sia lontana, avvolta in un
manto di inavvicinabile indifferenza. Egli allora in preda alla
disperazione promette di allontanarsi definitivamente e di non
vederla mai più.
Incontra
Rastignac che lo converte a una vita di dissipazione, pari a una
lenta morte, ma senza dubbio piacevole. Così si reca a casa dove
saluta per l’ultima volta Pauline in una scena commovente quanto
scontata. E’ chiaro che ormai di fronte al bivio egli ha scelto la
via del vizio e della depravazione. In queste pagine si sente quasi
l’eco del futuro Dorian Gray.
Dopo
la vincita di una grossa somma al gioco da parte di Rastignac Raphaël
ne dispone per la metà e si precipita nell’abisso di una vita
dissoluta. Ma non si è liberato di Foedora. Una volta la incontra
sulla via ed è ricambiato da uno sguardo beffardo e da una frase di
circostanza.
Ormai
alla fine del suo racconto-confessione all’amico Émile, Raphaël
si
ricorda della pelle di zigrino che porta con sé ed è preso da
un’improvvisa esaltazione (p. 247). L’esaltazione è dovuta ai
litri di vino e liquore ingeriti durante l’orgia notturna. E’
curioso che però ne risenta solo ora, dopo aver profuso un fiume di
eloquenza distinta in disquisizioni di ordine morale, osservazioni
psicologiche ed esistenziali, contornate da un’avveduta narrazione
autobiografica. Balzac ci fa notare che era ubriaco soltanto poco
prima di addormentarsi ! L’ampia digressione è dunque terminata,
e dopo essere stati informati degli antefatti ora veniamo introdotti,
finalmente, alla vicenda vera e propria, che è la giustificazione
del titolo del romanzo.
Il
mattino dopo l’orgia, nel palazzo del notaio, è lo stesso
Taillefer che annuncia dinanzi alla folla dei convitati che si
apprestano a fare colazione (p. 254) una favolosa eredità di sei
milioni di franchi disposta in favore di Raphaël
de
Valentin. Nello stesso momento Raphaël
misura
la pelle di zigrino su un tovagliolo che recava il segno del contorno
precedente e nota con terrore che essa si è di molto rimpicciolita.
Colto da una strana premonizione sulla brevità della sua vita, egli
comincia a rendersi conto che il compimento dei suoi desideri lo
porterà alla morte.
Nel
capitolo seguente, L’agonie,
veniamo a sapere che il marchese Raphaël
de Valentin è il proprietario d’uno splendido palazzo a Parigi e
conduce vita da viziato milionario, ma è minato nel fisico da
un’oscura malattia. E’ dominato dalla tirannia della pelle di
zigrino, che, minaccia costante, è appesa dinanzi a lui nella sua
camera, e che lo costringe a reprimere, pena la morte, qualunque
desiderio. Minato
nel fisico, ha tutto, è ricchissimo, ma non può soddisfare neppure
il minimo capriccio. Sprofondato in una poltrona, febbricitante,
riceve il suo vecchio professore dell’università, il quale resta
assai sorpreso di vedere così malridotto il suo giovane allievo.
La
pelle di zigrino può aver suggerito a Oscar Wilde il ritratto
vivente di Dorian Gray, che si modifica a seconda dei misfatti del
protagonista, ma è evidente che, mentre Dorian Gray non risente
affatto delle conseguenze dei suoi atti, Raphaël
è
invece costantemente sotto l’incubo del restringimento della pelle
di zigrino, che simboleggia ormai la brevità della sua vita.
La
visita dell’anziano professore, che lamenta di essere stato privato
della cattedra per motivi politici e gli formula alcune richieste, lo
getta in uno stato di alterazione mentale, poiché egli scorge una
lieve diminuzione della pelle di zigrino non appena esprime un
augurio, rivolgendosi all’ospite. Dopo una terribile crisi si reca
al teatro lirico ad assistere alla rappresentazione della Semiramide
di Rossini e qui vagando nei corridoi scorge con disappunto uno
strano personaggio. Si tratta del mercante che gli ha consegnato la
pelle di zigrino e che ha ora i tratti evidenti di Mefistofele, nello
sguardo diabolico con il quale gli si rivolge. Costui è accompagnato
dalla bella e corrotta Euphrasie che sembra richiamare il povero
marchese malato a una vita di dissipazione, da lui ormai aborrita.
Subito dopo incontra da lontano lo sguardo perfido e maliardo di
Foedora, ma le resiste sdegnandola. Non può però resistere a lungo
a un’altra apparizione vicino alla sua loggia. Si tratta di una
bellissima donna ammirata da tutti, meno che da lui. Ma dopo poco
anch’egli cede e voltandosi, con estrema meraviglia, scorge
Pauline, ora trasformata in una dama di eccezionale bellezza (p.
287). Inizia così l’idillio. I due giovani si incontrano nella
vecchia mansarda dove abitava da povero Raphaël
e
si dichiarano a vicenda il proprio amore. E’ una scena commovente
che sembra preludere al riscatto morale del protagonista, ma si
tratta evidentemente di un’illusione.
Trascorrono
un periodo di vita insieme, nella prospettiva del prossimo
matrimonio, follemente innamorati e circondati dalla fortuna e dalla
ricchezza. Ma il destino è avverso. La pelle di zigrino osservata
per caso da Raphaël mostra di essersi di nuovo ristretta e allora il
povero giovane, disperato, la getta in un pozzo. Sembra che la
persecuzione sia finita e i due giovani si trovano a trascorrere una
piacevole mattinata nella serra del giardino, quando il giardiniere
reca come oggetto di curiosità al suo padrone la pelle di zigrino
ripescata dal pozzo. In preda allo sconforto Raphaël cerca allora un
qualche espediente per eluderne la maledizione. Si reca da un celebre
naturalista per avere delucidazioni sulla natura del misterioso
talismano e in questo incontro Balzac approfitta dell’occasione per
fare una satira degli accademici, arrivando alla conclusione che
tutta la scienza con la sua prosopopea si riduce a una semplice e
vuota nomenclatura.
P.
316, 317, è straordinario, ma l’esposizione delle idee del fisico
Planchette sul movimento sembrano anticipare quelle di Bergson
nell’Evoluzione creatrice. “Tout est mouvement. La pensée
est un mouvement. La nature est établie sur le mouvement.” E Dio
stesso in quanto eterno è probabilmente eterno movimento.
Nonostante
abbia sottoposto all’esame del fisico, alla prova della pressa
idraulica di un ingegnere meccanico e poi ai solventi di un chimico
la diabolica pelle di zigrino, questa rimane inalterata come se nulla
fosse. Raphaël ormai dispera di poter mutare la propria sorte,
segnata dalla condanna.
P.
336, dopo una notte d’amore con Pauline, in cui vibra tutta la
passione romantica, il giovane viene colto da una crisi di tosse e
stremato appare alla sua amata nella luce sinistra di un malato di
tisi.
P.
340, segue un consulto di quattro medici illustri, che costituisce
una vera satira dell’arte medica, tanto celebrata e onorata quanto
vana. Uno di essi è un giovane amico di Raphaël, gli altri sono
maturi professoroni dall’aria saputa. Ognuno esplicita le proprie
teorie, ma nessuno prescrive una cura sensata, né riesce tanto meno
a comprendere le cause della malattia.
In
seguito al consiglio dei medici, Raphaël ricorre alle cure termali,
alle acque d’Aix in Savoia. Improvvisamente, senza dare inizio a un
nuovo capitolo, lo scrittore ci immerge in un interno d’albergo in
alta montagna. L’atteggiamento chiuso e scontroso del protagonista
offende gli altri clienti che si affidano alle cure termali e qui
Balzac dà un saggio della sua profonda conoscenza della psicologia
umana.
Messo
ai margini della società termale di aristocratici indifferenti e
infastiditi dal suo aspetto di persona gravemente malata, il
protagonista si rifugia in profonde riflessioni sulla natura umana,
che hanno un esito beffardo quando il medico dello stabilimento
termale cerca di allontanarlo con consigli apparentemente benevoli.
L’ostilità circostante cresce sino al punto di suscitare contro di
lui una lite e un duello. Ma il potere della pelle di zigrino è tale
che Raphaël senza neppure mirare con la pistola al suo avversario
riesce a colpirlo in pieno petto, dritto al cuore. Naturalmente
questo successo gli costa caro. La pelle si riduce alla grandezza di
una foglia di quercia.
Quindi,
mutando soggiorno, si porta alle Acque del Mont-d’Or. Il
meraviglioso panorama alpino e la semplicità dei contadini gli
donano un illusorio senso di ritrovata salute, ma si tratta appunto
di un’illusione. Intercettando un dialogo tra la montanara che lo
ospita e il suo devoto servitore, Raphaël scopre di essere
disperatamente malato e senza possibilità di guarigione.
Infatti
la sua situazione peggiora in maniera continua e irrimediabile, tanto
che, disgustato anche dalle chiacchiere fatte dai suoi ospiti sulla
sua condizione, decide di cambiare aria e di tornare a Parigi. Qui
trova un plico di lettere inviate dalla sua amata Pauline, all’oscuro
del suo peregrinare, ma decide di gettarle nel caminetto. Poi si
pente e ne estrae una quasi integra dal fuoco. Si rende così conto
dell’amore assoluto e disinteressato della giovane, ma ormai la
malattia lo domina completamente.
Decide
di sopravvivere dormendo e così sottrarsi al pericolo di concepire
nuovi desideri per lui esiziali. Si fa prescrivere degli oppiacei dal
medico e cerca di prolungare la sua esistenza quasi nella condizione
d’una crisalide. Ma gli eventi contrastano questi tentativi e un
ultimo incontro con Pauline, disperata per la sua salute, gli fa
formulare il desiderio definitivo e fatale, egli vorrebbe
abbracciarla, invaso dalla passione, ma il talismano, ridotto
all’estremo, svanisce e così anche la vita di Raphaël, che muore
in un gesto folle d’amore.
Il
pessimismo di Balzac si manifesta pienamente nella sorte di questo
povero personaggio che dall’inizio alla fine è perseguitato da un
destino ostile. Pur eccellendo per le sue alte qualità egli sembra
punito per la sua umana fragilità di giovane propenso ad amare e
avido d’amore. E’ come se l’autore, riconoscendosi in lui,
confessasse che ai migliori e ai più degni è negata la felicità,
forse perché la sanno riconoscere. L’epilogo sembra confermare
questa interpretazione nella contrapposizione dell’ideale figura di
Pauline, donna angelo, e della perfida, ma, ahimé, molto comune e
concreta Foedora.