venerdì 5 novembre 2010

Proserpina

Ed ecco sovra un pallido prato d’anemoni, in un mattino di marzo, tra i raggi del sole che filtravano, quasi lame di luce cristallina, fra i rami dei noccioli, era una donna avvolta in un peplo notturno tramato di nervature argentee, dalla fluente capigliatura nera e dai riflessi violacei, dagli occhi parimente negri quali abissi senza confine, dal sorriso tenue e triste, e diceva e ripeteva le parole dell’ardito profeta :

Qui, dove è quiete,
qui dove ogni passione pare un tumulto
di defunti venti e di onde dissolute in sogni dubitosi nei sogni,
io osservo verdeggiare la campagna silente e fiorire
per la mietitura, quando le genti operose verranno
per l’epoca del raccolto e della falciatura,
una folla fugace come ruscelli
che via fuggono.
Io sono stanca ormai delle lacrime e delle risa,
e così degli uomini che ridono e piangono,
io sono stanca del futuro dei mortali che s’affaticano.
Io sono stanca dei giorni e delle ore,
delle gemme sbocciate di fiori infruttuosi,
e di brame e di sogni di potenza,
d’ogni cosa partorisca il mondo,
tranne che del riposo.
Qui la vita ha per sua vicina la buona morte,
e lontano da ogni sguardo e da ogni ascolto
s’angustiano onde livide ed umidi venti di burrasca,
quivi fanno rotta fragili vascelli e spiriti
che vanno alla deriva
e non possono sapere chi si salverà ;
ma qui non soffiano brezze terrestri,
qui non fioriscono i fiori della terra.
Non cresce brughiera o manto di sottobosco,
né l’erica né la vite rampicante,
tranne nudi bocci di papaveri senza corolla,
grappoli secchi e verdastri di Proserpina,
pallenti giacigli di germoglianti giunchi,
dove nessuna foglia sboccia tenue e rosata,
se non codesta da cui ella spreme per i defunti
un vino mortale.
Pallidi e innumerevoli,
anonimi, incurvati nell’abbandono,
dormono in campi secchi di frumento,
tutta la notte dormono fino a che la luce
non li illumina ;
dormono i papaveri e infine come spiriti lenti,
senza compagni per il paradiso o l’inferno,
abbattuti dalla tetraggine,
escono in un’alba nebbiosa.
Per ognuno dei mortali
io sono qui.
Anche se uno fosse forte e agile come una fiera,
anch’egli dovrà dimorare qui
insieme alla morte.
Anche se uno fosse
amabile e delicato e bello come le rose,
s’oscura e muore,
e amore non è bello
nella morte.
Pallida, oltre portici e portali,
incoronata di foglie cadute,
sta colei che raduna tutte le creature
e le abbraccia con fredde mani.
Ah, le sue languide labbra
sono più dolci dell’amore !
Dell’amore, che teme di offrirla ai viventi
quando la incontrano dopo lungo viaggio
per molte età e per molte contrade.
Ed ella attende tutti i nati,
dimentica di sua madre,
e dei frutti gustosi
e del grano maturo.
A causa sua vola via la rondine
e non si fa più vedere,
e se ne va laggiù
dove vanno i vecchi amori con voli più deboli
e dove gli anni defunti
si trascinano
e tutte le disgrazie.
Il tempo non si piega
alla lusinga dell’uomo,
noi non siamo sicuri
né del dolore
né della gioia.
L’oggi domani
morirà,
e l’amore, fiacco e irritabile,
senza sospiri e rimpianti
e con occhi gelidi,
in cuor suo piangerà
l’amore che non dura.
Per amor della vita
qualunque dio abiti la terra
o il cielo
noi imploriamo ;
ma la vita non dura
eternamente.
I morti non risorgono,
e anche il fiume più torpido
sfocia in qualche luogo nel mare.
Né le stelle né il sole
si risveglieranno,
non vi sarà mutamento di stagione,
né suoni melodiosi
o estatiche visioni.
Solo il sonno eterno
in una eterna notte.

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