Operette
morali (1827)
Frammento apocrifo di
Stratone da Lampsaco
Questo
Frammento, che io per passatempo ho recato dal greco in volgare, è
tratto da un codice a penna che trovavasi alcuni anni sono, e forse
ancora si trova, nella libreria dei monaci del monte Athos. Lo
intitolo Frammento apocrifo perché, come ognuno può vedere,
le cose che si leggono nel capitolo della fine del mondo, non
possono essere state scritte se non poco tempo addietro; laddove
Stratone
da Lampsaco, filosofo peripatetico, detto il fisico, visse
da trecento anni avanti l’era cristiana. È ben vero che il
capitolo della origine del mondo concorda a un di presso con
quel poco che abbiamo delle opinioni di quel filosofo negli scrittori
antichi. E però si potrebbe credere che il primo capitolo, anzi
forse ancora il principio dell’altro, sieno veramente di Stratone;
il resto vi sia stato aggiunto da qualche dotto Greco non prima del
secolo passato. Giudichino gli eruditi lettori.
Le
cose materiali, siccome elle periscono tutte ed hanno fine, così
tutte ebbero incominciamento. Ma la materia stessa niuno
incominciamento ebbe, cioè a dire che ella è per sua propria forza
ab eterno. Imperocché se dal vedere che le cose materiali crescono e
diminuiscono e all’ultimo si dissolvono, conchiudesi che elle non
sono per sé né ab eterno, ma incominciate e prodotte, per lo
contrario quello che mai non cresce né scema e mai non perisce, si
dovrà giudicare che mai non cominciasse e che non provenga da causa
alcuna. E certamente in niun modo si potrebbe provare che delle due
argomentazioni, se questa fosse falsa, quella fosse pur vera. Ma
poiché noi siamo certi quella esser vera il medesimo abbiamo a
concedere anco dell’altra. Ora noi veggiamo che la materia non si
accresce mai di una eziandio menoma quantità, niuna anco menoma
parte della materia si perde, in guisa che essa materia non è
sottoposta a perire. Per tanto i diversi modi di essere della
materia, i quali si veggono in quelle che noi chiamiamo creature
materiali, sono caduchi e passeggeri; ma niun segno di caducità né
di mortalità si scuopre nella materia universalmente, e però niun
segno che ella sia cominciata, né che ad essere le bisognasse o pur
le bisogni alcuna causa o forza fuori di sé. Il mondo, cioè
l’essere della materia in un cotal modo, è cosa incominciata e
caduca. Ora diremo della origine del mondo.
La materia in universale,
siccome in particolare le piante e le creature animate, ha in sé per
natura una o più forze sue proprie, che l’agitano e muovono in
diversissime guise continuamente. Le quali forze noi possiamo
congetturare ed anco denominare dai loro effetti, ma non conoscere in
sé, né scoprir la natura loro. Né anche possiamo sapere se quegli
effetti che da noi si riferiscono a una stessa forza, procedano
veramente da una o da più, e se per contrario quelle forze che noi
significhiamo con diversi nomi, sieno veramente diverse forze, o pure
una stessa. Siccome tutto dì nell’uomo con diversi vocaboli si
dinota una sola passione o forza: per modo di esempio, l’ambizione,
l’amor del piacere e simili, da ciascuna delle quali fonti derivano
effetti talora semplicemente diversi, talora eziandio contrari a quei
delle altre, sono in fatti una medesima passione, cioè l’amor di
se stesso, il quale opera in diversi casi diversamente. Queste forze
adunque o si debba dire questa forza della materia, movendola, come
abbiamo detto, ed agitandola di continuo, forma di essa materia
innumerabili creature, cioè la modifica in variatissime guise. Le
quali creature, comprendendole tutte insieme, e considerandole
siccome distribuite in certi generi e certe specie, e congiunte tra
sé con certi tali ordini e certe tali relazioni che provengono dalla
loro natura, si chiamano mondo. Ma imperciocché la detta forza non
resta mai di operare e di modificar la materia, però quelle creature
che essa continuamente forma, essa altresì le distrugge, formando
della materia loro nuove creature. Insino a tanto che distruggendosi
le creature individue, i generi nondimeno e le specie delle medesime
si mantengono, tutte o le più, e che gli ordini e le relazioni
naturali delle cose non si cangiano o in tutto o nella più parte, si
dice durare ancora quel cotal mondo. Ma infiniti mondi nello spazio
infinito della eternità, essendo durati più o men tempo, finalmente
sono venuti meno, perdutisi per li continui rivolgimenti della
materia, cagionati dalla predetta forza, quei generi e quelle specie
onde essi mondi si componevano, e mancate quelle relazioni e quegli
ordini che li governavano. Né perciò la materia è venuta meno in
qual si sia particella, ma solo sono mancati que’ suoi tali modi di
essere, succedendo immantinente a ciascuno di loro un altro modo,
cioè un altro mondo, di mano in mano.
Questo
mondo presente del quale gli uomini sono parte, cioè a dir l’una
delle specie delle quali esso è composto, quanto tempo sia durato
fin qui, non si può facilmente dire, come né anche si può
conoscere quanto tempo esso sia per durare da questo innanzi. Gli
ordini che lo reggono paiono immutabili, e tali sono creduti,
perciocché essi non si mutano se non che a poco a poco e con
lunghezza incomprensibile di tempo, per modo che le mutazioni loro
non cadono appena sotto il conoscimento, non che sotto i sensi
dell’uomo. La quale lunghezza di tempo, quanta che ella si sia, è
ciò non ostante menoma per rispetto alla durazione eterna della
materia. Vedesi in questo presente mondo un continuo perire
degl’individui ed un continuo trasformarsi delle cose da una in
altra; ma perciocché la distruzione è compensata continuamente
dalla produzione, e i generi si conservano, stimasi che esso mondo
non abbia né sia per avere in sé alcuna causa per la quale debba né
possa perire, e che non dimostri alcun segno di caducità. Nondimeno
si può pur conoscere il contrario, e ciò da più d’uno indizio,
ma tra gli altri da questo.
Sappiamo che la terra, a
cagione del suo perpetuo rivolgersi intorno al proprio asse, fuggendo
dal centro le parti dintorno all’equatore, e però spingendosi
verso il centro quelle dintorno ai poli, è cangiata di figura e
continuamente cangiasi, divenendo intorno all’equatore ogni dì più
ricolma, e per lo contrario intorno ai poli sempre più deprimendosi.
Or dunque da ciò debbe avvenire che in capo di certo tempo, la
quantità del quale, avvengaché sia misurabile in sé, non può
essere conosciuta dagli uomini, la terra si appiani di qua e di là
dall’equatore per modo, che perduta al tutto la figura globosa, si
riduca in forma di una tavola sottile ritonda. Questa ruota
aggirandosi pur di continuo dattorno al suo centro, attenuata
tuttavia più e dilatata, a lungo andare, fuggendo dal centro tutte
le sue parti, riuscirà traforata nel mezzo. Il qual foro ampliandosi
a cerchio di giorno in giorno, la terra ridotta per cotal modo a
figura di uno anello, ultimamente andrà in pezzi; i quali usciti
della presente orbita della terra, e perduto il movimento circolare,
precipiteranno nel sole o forse in qualche pianeta.
Potrebbesi per avventura
in confermazione di questo discorso addurre un esempio, io voglio
dire dell’anello di Saturno, della natura del quale non si
accordano tra loro i fisici. E quantunque nuova e inaudita, forse non
sarebbe perciò inverisimile congettura il presumere che il detto
anello fosse da principio uno dei pianeti minori destinati alla
sequela di Saturno; indi appianato e poscia traforato nel mezzo per
cagioni conformi a quelle che abbiamo dette della terra, ma più
presto assai, per essere di materia forse più rara e più molle,
cadesse dalla sua orbita nel pianeta di Saturno, dal quale colla
virtù attrattiva della sua massa e del suo centro, sia ritenuto,
siccome lo veggiamo essere veramente, dintorno a esso centro. E si
potrebbe credere che questo anello, continuando ancora a rivolgersi,
come pur fa, intorno al suo mezzo, che è medesimamente quello del
globo di Saturno, sempre più si assottigli e dilati, e sempre si
accresca quello intervallo che è tra esso e il predetto globo,
quantunque ciò accada troppo più lentamente di quello che si
richiederebbe a voler che tali mutazioni fossero potute notare e
conoscere dagli uomini, massime così distanti. Queste cose, o
seriamente o da scherzo, sieno dette circa all’anello di Saturno.
Ora quel cangiamento che
noi sappiamo essere intervenuto e intervenire ogni giorno alla figura
della terra, non è dubbio alcuno che per le medesime cause non
intervenga somigliantemente a quella di ciascun pianeta, comeché
negli altri pianeti esso non ci sia così manifesto agli occhi come
egli ci è pure in quello di Giove. Né solo a quelli che a
similitudine della terra si aggirano intorno al sole, ma il medesimo
senza alcun fallo interviene ancora a quei pianeti che ogni ragion
vuole che si credano essere intorno a ciascuna stella. Per tanto in
quel modo che si è divisato della terra tutti i pianeti in capo di
certo tempo, ridotti per se medesimi in pezzi, hanno a precipitare
gli uni nel sole, gli altri nelle stelle loro. Nelle quali fiamme
manifesto è che non pure alquanti o molti individui, ma
universalmente quei generi e quelle specie che ora si contengono
nella terra e nei pianeti, saranno distrutte insino, per dir così,
dalla stirpe. E questo per avventura, o alcuna cosa a ciò
somigliante, ebbero nell’animo quei filosofi, così greci come
barbari, i quali affermarono dovere alla fine questo presente mondo
perire di fuoco. Ma perciocché noi veggiamo che anco il sole si
ruota dintorno al proprio asse, e quindi il medesimo si dee credere
delle stelle, segue che l’uno e le altre in corso di tempo debbano
non meno che i pianeti venire in dissoluzione, e le loro fiamme
dispergersi nello spazio. In tal guisa adunque il moto circolare
delle sfere mondane, il quale è principalissima parte dei presenti
ordini naturali, e quasi principio e fonte della conservazione di
questo universo, sarà causa altresì della distruzione di esso
universo e dei detti ordini.
Venuti meno i pianeti, la
terra, il sole e le stelle, ma non la materia loro, si formeranno di
questa nuove creature, distinte in nuovi generi e nuove specie, e
nasceranno per le forze eterne della materia nuovi ordini delle cose
ed un nuovo mondo. Ma le qualità di questo e di quelli, siccome
eziandio degl’innumerabili che già furono e degli altri infiniti
che poi saranno, non possiamo noi né pur solamente congetturare.
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