domenica 21 gennaio 2018

E' nato prima l'uovo o la gallina ?

Macrobio Teodosio I Saturnali ( Saturnaliorum convivia ) Torino, UTET, 1987


VII, 16, 1-14

Durante una discussione tra dotti viene fuori l'eterno problema se sia nato prima l'uovo o la gallina. Dico “eterno” perché l'altro giorno in classe un alunno per facezia mi ha rivolto la domanda : “ Prof, è nato prima l'uovo o la gallina ? “ Al che ho risposto citando Macrobio, il quale appunto scrive : “ Se ammettiamo che tutto ciò che esiste ha avuto un giorno origine, avremo ragione di ritenere che la natura creò prima l'uovo. Infatti sempre all'inizio ogni cosa è ancora imperfetta e informe, e raggiunge la sua forma perfetta attraverso successivi sviluppi apportati dall'arte e dal tempo. Pertanto la natura nella creazione del volatile cominciò da un primitivo elemento informe, e produsse l'uovo in cui non si ravvisa ancora l'aspetto esterno dell'animale. Da esso derivò l'aspetto definitivo e la forma perfetta del volatile per successivo graduale sviluppo. Inoltre, tutto ciò che fu abbellito dalla natura con vari ornamenti, senza dubbio ebbe origine da semplicità iniziale, e quindi si modificò con il complemento di una struttura complessa. Perciò fu creato l'uovo, di aspetto semplice e uguale in ogni direzione, e poi da esso fu condotta a perfezione la varietà degli ornamenti che costituiscono l'aspetto esteriore del volatile. “ L'argomentazione pro ovo continua ancora per un bel pezzo, ma quanto ho riportato mi sembra sufficiente. Vediamo ora quella che è a favore della gallina : “ L'uovo non è né inizio né fine di ciò che è ad esso pertinente : inizio è il seme, fine è il volatile nella sua forma definitiva; ma l'uovo è la elaborazione del seme. Perciò, dato che il seme procede dall'animale e l'uovo dal seme, non è possibile che sia esistito l'uovo prima dell'animale, allo stesso modo che non può avvenire la elaborazione ovvero digestione del cibo prima che vi sia chi lo mangia. Dire che l'uovo è stato creato prima della gallina è come dire che l'utero è stato creato prima della donna. E chi domanda come poté esistere la gallina senza l'uovo si mette nella stessa situazione di chi domanda in qual modo fu mai possibile creare gli uomini prima degli organi genitali che servono alla procreazione dell'uomo. Perciò, come sarà giusto dire non che l'uomo procede dal seme, ma il seme dall'uomo, così per analogia non è la gallina che procede dall'uovo, ma l'uovo dalla gallina. “ Anche a questo punto l'argomentazione non si ferma ma si dilunga per un bel po'. Però la pazienza umana ha un limite e infatti :
Prof, parliamo di cose più concrete ! “
Bene, allora è nato prima l'uovo sodo. “

venerdì 5 gennaio 2018

Gérard de Nerval, Storia del califfo Hakem






Gérard de Nerval         Storia del califfo Hakem         Roma, Via della Seta Editrice, 2016

Racconto tratto dall'opera di Nerval Voyage en Orient ( 1851 ).

La storia richiama la vicenda narrata da William Beckford nel suo Vathek ( 1786 ), cioè quella di un califfo un po' originale che qui si crede Dio e nel Vathek sfida il destino e finisce all'inferno.
Ambedue i protagonisti hanno tratti simili, un aspetto maestoso, uno sguardo perturbatore, una passione amorosa proibita.

Interessante è il saggio, del 1946, di Alberto Moravia sul Vathek di William Beckford, di cui riporto un breve stralcio : “ Il valore del Vathek, a parte le insolite qualità di fantasia e di invenzione, sta nella consapevolezza, sincerità e lucidità con cui Beckford a poco più di vent'anni giudica se stesso e i propri sogni. Apparentemente Vathek, scritto in francese, chiaramente derivato dalla lettura delle Mille e una notte e dei romanzi filosofici e orientali settecenteschi, può sembrare il perfetto frutto di una infatuazione e di una sensibilità diffuse in tutta Europa. Ma in realtà esso si distacca dalla letteratura di quegli anni per il suo romantico carattere di autobiografia moralistica e immaginosa, di confessione favoleggiata e apologetica. C'è un senso cristiano della vanità di tutte le cose in questa favola pagana e orientale di un orgoglio criminale che finisce in una catastrofe. E se la pittura di Eblis, lo spirito del male, ricorda assai quella del Satana di Milton … così da far pensare che Beckford il libertino nascondesse nell'anima più di un riflesso dell'antico rigore puritano; d'altra parte la storia di Vathek con la sua smisurata avidità di esperienza e di ricchezze che lo porta a vendersi a Eblis, anticipa il mito faustiano predominante nel secolo successivo. In questo senso Beckford prende figura di precursore; e il suo libro piuttosto che tra gli aridi e ragionevoli romanzi filosofici ed orientali del tardo Settecento, trova il suo posto tra quei libri a fondo deluso e demoniaco che da Byron su su fino a Dostoevskij commentano e illustrano gli innumerevoli sviluppi della lunga malattia romantica. Con questa differenza tra Beckford e tanti altri : che l'autore del Vathek … scriveva di cose realmente vissute e sperimentate. “ ( W. Beckford, Vathek, Torino, Einaudi, 1973, p. X-XI )
Più avanti Moravia ci suggerisce la somiglianza tra Beckford e Oscar Wilde, ma io direi piuttosto tra Beckford e Dorian Gray, del quale aveva le caratteristiche psicologiche e forse anche fisiche. Le misteriose abitudini di Dorian sembrano accompagnare il peregrinare di Beckford in Europa e in Italia, dove elesse Venezia a patria del suo sogno estetico orientaleggiante ( la Venezia del futuro Stelio Effrena del Fuoco di D'Annunzio e di Aschembach della Morte a Venezia di Thomas Mann ).

Hakem come Vathek è dedito all'astrologia, inoltre vuole sposare la sorella Setalmulc per consegnare alla posterità una progenie divina, come un tempo solevano fare i faraoni dell'Egitto. Ma farà una brutta fine, ucciso in un agguato dal suo migliore amico, ignaro peraltro dell'identità della sua vittima, inviato come sicario proprio dalla sorella, vendicativa e assetata di potere.
Ecco come appare per la prima volta il personaggio Hakem nel racconto di G. de Nerval : “ Lo straniero fissò su di lui le sue pupille di un azzurro scuro, la pelle della fronte gli si contrasse in pieghe così violente che la capigliatura ne seguiva le ondulazioni. Per un istante sembrò sul punto di gettarsi sul giovane spensierato e farlo a pezzi ... “ ( op. cit. p. 16 )
E nel Vathek ecco il ritratto del califfo : “ D'aspetto era bello e maestoso ma, quando si adirava, uno dei suoi occhi diventava talmente terribile, che nessuno osava guardarlo, e il malcapitato sul quale esso si appuntava, cadeva immediatamente per terra, e talvolta moriva. “ ( p. 26 di I grandi romanzi dell'orrore, Roma, Newton-Compton, 1996; il racconto di Beckford è seguito da altri romanzi, tra cui Il Dr. Jekill e Mr. Hyde dello Stevenson e Dracula di Stoker, la sua traduzione è però corredata di un cospicuo e interessante apparato di note ).

giovedì 4 gennaio 2018

Colazione da Tiffany e altro

Truman Capote Colazione da Tiffany ( Breakfast at Tiffany's, 1950 ) Milano, Garzanti, 2014


Stile asciutto, conciso, in pochi tratti evocatore di ambienti e di personaggi, capacità indubbia di introspezione psicologica senza inutili lungaggini. Si può collegare allo stile di Harper Lee ne Il buio oltre la siepe ( To kill a Mockingbird, 1960 ), ma è più scorrevole e sicuro.
E' la storia dell'incontro tra il narratore protagonista e la “femme fatale”, la bionda ragazza di vita, aspirante diva del cinema, ma di fatto “escort” mantenuta dal milionario di turno. Certo un modello di donna poco edificante, ma che Capote dipinge in maniera incantevole, tanto da rendercela simpatica ed estremamente affascinante.
Un tipo di donna che non è poi così raro incontrare, e che, di solito, è accompagnato da un'aura di elegante squallore, e, in genere, fa una brutta fine. Ma è vero, e questo posso dirlo per esperienza personale, che ho avuto in comune ( quale onore ! Per brevissimo tempo per fortuna ! ) con lo scrittore americano, talvolta questo tipo di donna si presenta come un personaggio d'eccezione, dal fascino irresistibile.
E la cosa che mi ha più colpito è che il tipo che avevo incontrato aveva lo stesso identico fascino di Holly, mi chiamava anche lei “tesoro” e si definiva una “signora” con la propensione a considerare le altre signore come delle sguattere.


John Steinbeck Pian della Tortilla ( 1935 ) Milano, Bompiani, 1958
Traduzione di Elio Vittorini


Stile assai simile a quello di Capote. Notazioni colorite e di carattere umoristico. Avventure esilaranti di un gruppo di paisanos di Monterrey con il debole per la bottiglia. C'è quell'umorismo tipicamente nordamericano che ha in Mark Twain il suo maestro. Le situazioni paradossali seguono le une alle altre, ma in certi momenti il lettore accusa un senso di stanchezza e di saturazione. Il romanzo non particolarmente lungo, nel suo genere si rivela anche troppo lungo. Le situazioni umoristiche, per quanto variate, non sono appunto che la variazione del solito motivo conduttore e a un certo punto generano lieve tedio, anche se accompagnato da un sorriso. Nondimeno le avventure di Danny e dei suoi amici bevitori e vagabondi sono, soprattutto nella prima metà dell'opera, veramente spassose.


Vasco Pratolini Metello ( 1935 )

E' un dongiovanni dei bassifondi, con una venatura socialista e una salute da purosangue fiorentino. Il linguaggio è gergale, il periodare spesso sgrammaticato e faticoso. Non nego la patina realistica e il valore documentaristico della ricostruzione della società dell'epoca, ma il tutto riesce decisamente noioso. Questo eroe del proletariato è troppo idealizzato, troppo sano di corpo, troppo felice di spirito.
Più accattivante e decisamente godibile il romanzo Le ragazze di Sanfrediano ( 1949 ) per la tematica a sfondo sessuale, tipica di Pratolini, che non può che attrarre la curiosità d'un numeroso pubblico, e soprattutto per la vivezza e freschezza delle immagini e delle situazioni, nonché per la brevità dell'opera, pregio indiscutibile ( se pensiamo ai fumettoni e alle sbrodolate pseudosentimentali di oggi ).