Walter F. Otto, Teofania (1956), Milano, Adelphi, 2021
Contro l’opinione o meglio i dogmi degli antropologi e degli psicologi Otto ritiene che il mito non scaturisca dalla psiche umana né tanto meno dagli archetipi o dall’inconscio collettivo di Jung, ma dallo stesso essere delle cose, cioè abbia un fondamento ontologico. “Il dio è l’intero essere del mondo a rivelarsi nella sua singola manifestazione” (p. 35). S’intende quindi “il logos universalmente divino” secondo l’ottica di Eraclito (p. 36).
Possiamo accostarci alla coscienza universale di Bergson ?
Tutto rivela la presenza del divino e “l’essere del mondo si compie nel canto” (p. 51).
Nietzsche non comprese la necessità di un dolore eternato e sublimato nel canto (Iliade). In questo Otto si mostra assai più illuminato. Hölderlin si rese invece conto di questo aspetto del divino nel mondo greco, dimostrandosi più perspicace di Nietzsche. In genere Otto ritiene superiori agli studiosi dell’età positivistica i pensatori del Neoclassicismo.
Gli dei, pur essendo lontanissimi e irraggiungibili, sono onnipossenti e intervengono direttamente nelle vicende umane. L’azione eroica dell’uomo è in realtà un atto divino. Infatti la vastità dell’essere coinvolge l’interiorità e umano e divino si compenetrano.
La psicologia moderna che attribuisce tutto agli istinti e al carattere psichico è in realtà frutto della miopia narcisistica propria del nostro tempo. L’individualismo a tutti i livelli è ripudiato da Otto. Così nel rifiutare il libero arbitrio cristiano Otto mostra una grande perspicacia. Il male comunque causato dalla divinità acquista una valenza sublime e nobile in ogni caso e non si cade nella volgarità e nell’oscenità (del diavolo ?).
Insomma la vita è nobilitata dalla presenza degli dei nelle azioni degli uomini. Così la morte è concepita come un transito e i morti sono nature superiori ai viventi. Contro E. Rohde Otto ritiene infatti che la cremazione non fosse dovuta alla paura di un ritorno del morto, ma a un dovere nei confronti del defunto per fargli raggiungere più velocemente l’Ade.
E dunque nell’ottica di questa visione il famoso “senso della terra” di Nietzsche sarebbe da interpretare come il senso del divino sulla terra ossia la terra divina. Il divino è nell’umano, l’antropomorfismo religioso è celebrato da Goethe, visto quale spirito guida della cultura tedesca nella concezione del mondo greco, come innalzamento dell’uomo al divino. Il divino è infatti presente nella vita dell’uomo. Hölderlin poi è stato l’unico a comprendere pienamente il divino e la bellezza come intendevano i Greci.
A p. 106 si ribadisce che il dio è l’intero essere del mondo. Dunque gli dei sarebbero manifestazioni dell’essere. E a p. 114 si avverte l’influsso di Schelling : “soggetto e oggetto sono un tutt’uno”.
“Tutto è pieno di dei” secondo il detto di Talete (p. 116) e ogni singola divinità è manifestazione dell’Essere universale. Tutto è manifestazione del divino, ogni essere della Natura, e quindi l’uomo.
Omero soprattutto ed Esiodo hanno elaborato o meglio rivelato la concezione greca del divino come molteplicità nell’unità (di Zeus) (p. 121).
P. 123, come in Colli anche in Otto si sente l’influsso di Nietzsche : “l’unica vita divina, l’unica verità divina dell’essere”. Anche il Così parlò Zarathustra sarebbe da reinterpretare secondo l’intuizione profonda di Otto.
Il carattere filosofico di Otto si può definire “pagano”. Contrappone Plotino ad Agostino, perché il primo ha rinvigorito l’atteggiamento spirituale greco (pagano). Il suo pensiero è radicale e infatti “le realtà del mondo non sono in verità altro che dei” (p. 128). Fra gli dei assume un’importanza particolare Apollo, il dio della conoscenza di sé, il dio di Delfi, l’oracolo la cui funzione non viene considerata secondo le prospettive materialistiche dell’antropologia moderna.
Apollo è il primo grande educatore dell’umanità e la sua natura è musicale. Mentre dunque Nietzsche fa derivare lo spirito della musica da Dioniso, Otto lo fa derivare da Apollo, l’ordinatore del mondo, il sovrano delle forme pure e dell’armonia. In effetti le Muse, da cui la musica, sono al servizio di Apollo.
Nella tragedia greca si realizza l’unificazione dell’elemento dionisiaco e apollineo. La tragedia costituisce una rappresentazione sacra in cui si celebra il culto di Dioniso, il dio della tragedia, la “maschera”. Al dionisiaco corrisponde il canto corale, all’apollineo il dialogo e il monologo. Le due divinità non sono separate, l’uno è il complemento dell’altro a fondamento della religione greca come la luce sta alla tenebra e il cielo all’abisso (p. 173).
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