C’era una volta una giovane
donna che abitava in una casa
nel profondo della foresta. E questa
giovane amava gli animali
della selva e le piante e i mormorii
delle acque. E amava le aurore
e il risveglio della terra avida
di respiro e la rinascita della luce,
rossa come sangue nuovo.
Così ogni istante della vita
ella lo dedicava alle potenze
del creato, onorando tutti gli dei
che sono sulla terra, nelle piante
e negli animali e nell’acqua e nell’aria.
Ed ella viveva in solitudine,
poiché gli uomini della città
la odiavano. Dicevano infatti
tra loro che era pazza e la deridevano,
e i figli di quegli uomini malvagi
la chiamavano strega. Ma la giovane
donna non avvertiva l’ostilità
altrui, e godeva della musica
della foresta, del mormorio delle fronde
e del fruscìo delle erbe, del sibilo
dei ramarri e del colore fulvo
delle volpi tra i cespi di ginestre
e del volo dei passeri e del canto
dei cardellini. E la sua anima
era vasta e silenziosa, quale
la distesa muta del deserto
percorsa solo dal vento,
dal respiro profondo della terra.
Talvolta ella si recava
sulla riva del mare,
là dove la radura
arsiccia cedeva alla salsedine,
nel litorale petroso, e pregava
gli esseri che la sua immaginazione
rendeva reali. E la colse
l’onda del desiderio; un sussulto
d’acque le lambiva fresco
il tallone e un brivido dolce
la pervadeva e la sua pelle
era sensibile come le foglie
della mimosa all’ansito del vento.
Ed ella si allontanava sul lido
del mare. E la sabbia scintillava
di conchiglie, di rosei spondili
e di mactre azzurre e di valve
bianche o variegate di colori
e dalle forme diverse.
E quei doni delle acque attirando
con la loro bellezza ammonivano,
poi che erano senza vita.
E sentiva il mormorare delle acque,
una musica infinita di anime
anelanti, una musica eterna,
come eternamente il cielo
si specchiava a rinnovare il desiderio
senza fine. E pensava alle foreste
purpuree abitate dai mostri,
dèmoni dei gorghi e delle oscure
insidie, e un timore degli dei
la invadeva. Ma il respiro calmo
del mare rasserenava e la rapiva
in delicati incanti, come
un amante dolcemente carezza
con lo sguardo l’amata. E la donna
respira del suo respiro,
e la sua volontà non esiste,
poi che ella vive
nella vita dell’amato. L’armonia
delle onde, simile al fluttuare
delle corde d’un’arpa, quasi
che su una barca snella lo strumento
magico percorresse le plaghe
azzurre, come l’arpa
di Tristano ferito abbandonato
all’alto oceano, traeva
nelle radiose regioni del sogno
l’anima sua inconsapevole.
E quella malia schiudeva
le porte d’un altro regno
ove il suo spirito
attingeva ancora i balsami
della speranza e placava la sua
sete nell’illusione. Quanto
rapidi erano trascorsi
gli anni della fanciullezza ! Una
catena di sogni le aveva
sottratto giorno dopo giorno,
senza che se ne accorgesse. Ed ora
era una donna. Ma era
un albero solitario sopra
le alture e che non reca frutto
e sfida i venti e i fulmini
del cielo plumbeo e impietoso.
Questo era il suo destino.
Sua madre era una donna
della foresta, come lei.
E si era bagnata nella fonte
e così era apparsa agli occhi
di un giovane. Quel giovane era
un dio che l’aveva cinta
di fiamme e incatenata al desiderio.
Ed ella aveva partorito,
ed era morta. Un saggio
le aveva raccontato l’evento.
E l’aveva allontanata dai mortali.
Era cresciuta nell’esilio.
Le monache della montagna
l’avevano educata ai lavori
femminili e le avevano dato
una casa, lontano. Infatti
non tollerava l’austera regola
delle nonne, poi che apparteneva
alla foresta. E un giorno, mentre
passeggiava tra gli alti pini
ombrosi, si era specchiata
nelle acque di un piccolo lago
verde. L’immagine d’una giovane
donna la sedusse, ed ella
ammirava, e le sue nari
si dilatavano quasi a percepire
il profumo di quella fragranza.
Così aveva voluto la dea
del desiderio, ed ella ora
conosceva la bellezza. E spesso
la dea era giunta all’improvviso
nella notte, facendola fremere.
Ed ella era restata a lungo
immobile, in attesa, fino a che
non l’aveva toccata la luce
del sole. Ormai molte
volte la luna nel suo eterno
corso le aveva rischiarato
il viso insonne e molte
volte la gelida rugiada
aveva mondato il suo corpo,
invano. Poi la solitudine,
proteggendola dai prepotenti, l’aveva
anche deviata dalla tutela
delle leggi che ha dato agli umani
la Natura, al principio della vita.
Incubi notturni si affollarono
intorno a lei e una potenza
ostile penetrò a poco
a poco nel suo animo.
Sconvolta, ella si risolse
a placare gli spiriti della notte.
E la dea del desiderio
le inspirò amore per le creature
del bosco e la iniziò ai sacri
riti. E aveva così
respirato la gioia del sole
e aveva colmato gli occhi
del virente entusiasmo delle selve.
All’ombra degli alti pini
aveva contemplato le danze
dei raggi sagaci sovra
le odorose resine e il silenzioso
moto dei cervi dal vello
muscoso e dalle corna ramate.
E si era posata all’ombra
degli alti pini e il vento
le aveva portato il messaggio
delle pianure ondeggianti di messi
d’oro e i nitriti dei cavalli
selvaggi al lido del mare.
E i santi della foresta si erano
avvicinati a lei e l’avevano
condotta per sentieri solitari.