Dandysmo, estetismo e “femme fatale” nella rievocazione
nostalgica dell’antichità a proposito del Tizio Caio Sempronio ( 1877 )
di Anton Giulio Barrili.
( Parte seconda )
Nel cap. VII entra in scena Clodia, la donna fatale, la
Medea del Palatino, secondo la definizione di Cicerone ( Pro M. Caelio,
8, 19 ). E che si tratti di una maliarda seduttrice lo si può arguire anche
solo dal titolo del capitolo : “ Venere spogliatrice “ (15). Infatti per lei
Tizio Caio sperpererà tutti i suoi beni, ricevendo in cambio solo
ingratitudine. E questo conferma il suo ruolo di “vampira” (16).
Del resto, ella viene soprannominata “Quadrantaria”,
aggettivo che Barrili dice averle attribuito Cicerone, per sottolineare le sue
relazioni amorose non disinteressate. Si noti che anche ne La giovinezza di
Giulio Cesare ( 1873 ) di Rovani appare Clodia, precisamente nel cap. X del
secondo volume, e viene parimenti nominata “Quadrantaria” senza tralasciare la
spiegazione dell’origine del turpe soprannome. E’ possibile che Barrili si sia
ricordato della Clodia dello scrittore milanese. Il ritratto di Clodia è però
diluito in una farragine di notizie erudite che arrecano non poco danno.
L’autore ligure, nel ritrarre la donna, attinge dalla manualistica storica e
fornisce ragioni e significati dell’uso e del nome delle vesti, degli oggetti,
delle creme di bellezza, non rendendosi conto della noia che questo nozionismo
scolastico ingenera nel lettore. Riferisco perciò solo quanto concerne
specificamente Clodia, evitando tutto il resto, che non ha nulla a che vedere con
l’arte.
Ecco dunque Clodia :
“ A me pare di vederla, nel segreto del suo spogliatoio,
attiguo alla camera da letto. Il sole è già alto, ma solo da pochi istanti la
bella patrizia si è spiccata dalle braccia di Morfeo. … Nel bel mezzo della
camera è una gran tavola di marmo, su cui, intorno ad una larga spera di
acciaio, sono disposte in ordine tutte le ampolle, i pennelli, i barattoli …
Uno scanno a bracciuoli, col suo cuscino di piume, attende la divina Clodia,
che sta per mettersi allo specchio. Dalle pareti dipinte le ridon gli Amori; da
una gabbia pendente dal soffitto la saluta un pappagallo africano, … è sempre
bella, maravigliosamente bella, e direi quasi che la sua bellezza ha guadagnata
dagli anni una certa magnificenza, pari a quella delle rose, quando hanno
intieramente dischiuso il calice avaro all’ammirazione del riguardante.
Osservate la bianchezza lattea delle sue morbide carni; … Qual veste indosserà
per quel giorno Clodia Metella ? … Un bel colore d’amatista, che prendeva
risalto da un fregio d’oro sugli orli della veste, fu prescelto … L’amabil
pallore delle carni ci guadagnava un tanto, e i grandi occhi abilmente
cerchiati d’antimonio ne avevano una espressione più profonda e più viva. “
(17)
L’ispirazione di Barrili ha origine nei sensi. I suoi
ritratti muliebri, anche se assai simili fra loro, sono evidenti, tangibili. E’
chiaro l’insegnamento di Gautier, ma non sappiamo quanto di recepito e di
spontaneo sia nell’arte del Savonese, perché la sensualità di Barrili non è
soltanto una “posa” artistica ad imitazione di Gautier, è anche sincera e
quindi non semplicemente una convenzione di “scuola”. Insomma lo scrittore è un
sensuale. E che tale sia, lo mostra l’inizio del cap. VIII, dove continua la
descrizione delle attrattive di Clodia :
“ Se l’aveste veduta, come era bella, con quella sua stola
di color d’ametista, fregiata d’oro sui lembi, che dava risalto alla marmorea
bianchezza delle carni; opulenta di forme, ma snella in apparenza per la
mirabile giustezza delle proporzioni; con que’ suoi occhi profondi e languidi;
con quelle chiome abbondanti, che luccicavano tra i due giri della vitta
porporina, e col mazzocchio cadente in riccioluti corimbi sulla nuca; se
l’aveste veduta, io metto pegno che avrebbe fatto dar volta ai vostri cervelli,
come a quello di Valerio Catullo e di tanti altri suoi degni contemporanei. …
portava le braccia coperte da lunghe maniche, strette ai polsi con armille
d’oro. In quei braccialetti foggiati a serpenti, erano incastonati rubini e
smeraldi; agli orecchi portava pendenti di perle; … “ (18)
Dopo il ritratto, però, il nostro autore cade nuovamente
nella mania dell’erudizione e fa seguire un lungo sproloquio sulla divisione
del giorno in ore, sull’orologio solare e la clessidra.
Il tipo di donna che lo scrittore savonese predilige e che
qui viene incarnato da Clodia contrasta in maniera evidente con quello
vagheggiato dai decadenti, per i quali si trasforma in ossessione morbosa. Che
differenza rispetto alla “ Clodia matronne impudique “ di Marcel Schwob nelle Vies
imaginaires ( 1896 ), dove la gentildonna un po’ vana di Barrili diventa
una “belle dame sans merci“ spietata e lussuriosa oltre ogni limite ! In
effetti la donna di Barrili non è molto diversa dall’ideale di Gautier, se pure
al confronto impallidisce, come la copia d’un quadro celebre che invano tenta
di assomigliare all’originale. In Mademoiselle de Maupin ( 1835 ) il
protagonista d’Albert, così immagina la perfetta figura femminile :
“ Elle est blonde
avec des yeux noirs, blanche comme une blonde, colorée comme une brune, quelque
chose de rouge et de scintillant dans le sourire. La lèvre inférieure un peu
large, la prunelle nageant dans un flot d’humide radical, la gorge ronde et
petite, et en arrèt, les poignets minces, les mains longues et potelées, la
démarche onduleuse comme une couleuvre debout sur sa queue, les hanches
étoffées et mouvantes, l’épaule large, le derrière du cou couvert de
duvet : - un caractère de beauté fin et ferme à la fois, élégant et
vivace, poétique et réel ; … une chaîne
d’or ou une rivière de diamants au cou, et quantité de grosses bagues de
différents émaux à tous les doigts des mains. “ (19 )
Certamente Théophile Gautier fu lo scrittore più fanatico in
fatto di belle forme; ne fornisce un’ottima prova il suo Le capitaine Fracasse
(1863 ), ma anche le novelle recano una non meno significativa testimonianza
del suo estetismo. Per la descrizione, appunto, dell’amante ideale giova qui
considerare l’apporto del racconto Omphale ( 1834 ), dove il
protagonista vive un’avventura galante con il fantasma d’una dama del XVIII
sec. La novella di Gautier è importante anche perché D’Annunzio nel libro dell’Isotteo
( 1886 ) sembra averla presente, laddove nel poemetto Il dolce grappolo
scrive :
“ Levasi da ‘l gran letto in su l’aurora
la mia donna; e la sua forma ninfale
tra le diffuse chiome a l’aria odora
e a ‘l sol risplende più bianca de ‘l sale.
Tutta di gocce tremule s’irrora
ne ‘l lavacro di marmo orientale.
Miran le statue a torno quella pura
forma e tessuta ad arte in su le mura
ride la greca favola d’Onfale. “
(20)
In questi ultimi versi è evidente il richiamo alla novella
di Gautier.
Non solo Gautier, dunque, sognava splendide e raffinate
dame. Anche Petruccelli della Gattina nelle Memorie di Giuda ( 1870 )
vagheggiava bellezze incomparabili. Un esempio è offerto dal cap. VIII, dove
viene rappresentata l’affascinante Claudia. Il protagonista, Giuda, viene
invitato a banchetto dalla patrizia romana nel triclinio del palazzo di Erode :
“ La ritrovai già distesa sul letto, bella come l’Ebe greca.
I suoi capelli neri come la notte s’intrecciavano in una corona di rose non
ancora sbocciate e scendevano in ricci sopra delle spalle ed un seno che si
sarebbero detti l’Eden della voluttà. … La si sarebbe presa per una statua
greca che un Dio animava per le sue ore di frenetica ebbrezza. … Questi occhi
neri, profondi, grandi, vellutati, avevano uno splendore che ammortiva la luce
ripercossa da tutto quell’oro e quelle pietre preziose. … un piede piccolo,
bianco, elastico, arcato, delle gambe fine, ed il resto, sotto delle onde di
velo, da dare i brividi a tutti i sensi. Aveva la bocca un po’ grande; ma i
denti scintillavano fra le sue labbra rosee e carnose, che invocavano i baci.
Claudia era una di quelle donne che uccidono e che i morenti salutano con
estasi … “ (21)
Anche Emilio Praga nella lirica “ Dama elegante “ (22)
mostra questo culto per la bellezza antica, un tipo di bellezza che coincide
con l’ideale estetico parnassiano e poi carducciano.
Nel romanzo Spartaco ( 1874 ) di Raffaello Giovagnoli,
al cap. V, viene narrato l’incontro tra Spartaco e la nobildonna Valeria.
Valeria è dotata di un fascino straordinario, e di essa il gladiatore Spartaco
s’innamora. Gli sembra bella come una dea, come Minerva, maestosa come Giunone,
seducente come Venere.
Viene introdotto nel salottino più intimo della matrona. E’
una camera lussuosa, ornata di drappeggi orientali, di stoffe preziose, di
cassepanche e cofani decorati con inestimabili dipinti; l’atmosfera è pervasa
di profumi d’essenza di rose, di olii odorosi che bruciano in una lampada d’oro
a forma di rosa recinta dalle sue foglie; effluvii di balsami d’Arabia
inebriano i sensi; una caraffa di cristallo di rocca è colma di succhi
rinfrescanti, una tazza di porcellana è posata accanto, il cui valore è pari a
quello d’un tesoro. Valeria, avvolta in una tunica bianca, è distesa
graziosamente su un divano. Le sue braccia sono scoperte, il petto seminudo, i
capelli neri negligentemente raccolti lo ombreggiano in parte. Ella pare
dormire, immersa nelle sue fantasie.
In un simile ambiente, voluttuoso e raffinato, è introdotto
il lettore da Edmondo De Amicis, nel resoconto di viaggio Costantinopoli
( 1878 ), dove l’autore descrive particolareggiatamente la vita delle donne
turche. La rappresentazione del bagno femminile, in cui le donne si radunano,
ricorda immediatamente, alla lettura delle prime frasi, il quadro di
Jean-Dominique Ingres, intitolato appunto “ Il bagno turco “ ( 1862 ). Vi è
profuso lo stesso gusto sensuale per le forme, per il dettaglio, per il fascino
del luogo.
Certamente questi autori italiani sono stati influenzati
dalla lettura dei romanzi francesi e soprattutto da quelli di Gautier, ma non
dobbiamo dimenticare scrittori precedenti come, ad esempio, Giovan Battista
Niccolini, che nelle Lezioni di mitologia ( 1807-8 ) descrive le opere
d’arte del mondo antico secondo un ideale di bellezza perfetta, divina,
derivato in gran parte dall’insegnamento di Winckelmann.
Nella “ Lezione vigesimasettima “ su Venere, riassumendo uno
degli inni omerici, Niccolini così rappresenta la dea :
“ L’autore degli Inni Omerici … narra l’aura rugiadosa di
Zeffiro, che dolcemente spirando la porta sopra molle spuma in mezzo al mare
risonante. … l’Ore coi capelli in reti dorate accolti ricevono amabilmente la dea,
la ricoprono di veste incorruttibile, e sopra il capo immortale pongono una
vaga corona, e nell’orecchie traforate l’oro più fino, e l’oricalco; il collo,
il bianco petto con monili dello stesso metallo adornarono. … la condussero dai
numi che gareggiavano per abbracciarla, ed ognuno chiedeva di prenderla in
moglie, ammirando le forme della diva coronata di viole, e dalle nere palpebre.
“ (23)
E narrando l’incontro tra Venere e Anchise, lo studioso
scrive :
“ Anchise la esaminava e stupiva ad un tempo della figura e
delle vesti stupende, … collane di vario ornamento cingevano il delicato collo;
e il petto, simile alla crescente argentea luna, traspariva dal velo. “ (24)
E più avanti traduce da Winckelmann :
“ La Venere dei Medici a Firenze è simile alla rosa ch’esce
fuor dalla boccia al primo apparir del sole dopo una bella aurora, e par che
senta quell’età in cui le membra prendono una più compiuta forma, e comincia il
seno a sollevarsi. Io mi figuro di vedere in lei quella Laide che Apelle
iniziava ai misteri di amore, e me la immagino appunto qual dovette per la
prima volta ignuda esporsi al di lui sguardo. “ (25)
Note
(15) La fonte è l’orazione di Cicerone, Pro Marco Caelio,
in particolare sulla cattiva fama di Clodia Cicerone afferma : “ Res est omnis
in hac causa nobis, iudices, cum Clodia, muliere non solum nobili sed etiam
nota, de qua ego nihil dicam nisi depellendi criminis causa “ (13, 31). Sui
rapporti incestuosi di Clodia con il fratello Clodio l’oratore allude : “ … cum
istius mulieris viro – fratre volui dicere; semper hic erro “ (13, 32). Quanto
alla definizione di Venere spogliatrice essa è in 21, 52. Si veda inoltre il Totius
latinitatis lexicon del Forcellini ( Padova, Bettinelli, 1805 ) alla voce
“quadrantarius”. Nel dizionario si legge : “ Quadrantaria Clytemnestra ( apud
Quintilianum 1. 8 c. 6 ) dicta est a Coelio Clodia uxor Metelli Celeris, quia
vili mercede corporis sui copiam faciebat. Ideo autem Clytemnestra vocata est,
quia quemadmodum Clytemnestra Agamemnonem, ita haec maritum sustulerat. Alii
quadrantariam dictam putant, quia a quodam callido amatore pro nummis argenteis
quadrantes aerei quondam in eius loculos immissi fuissent; quam rem narrat
Plutarch. in vita Cicer. Fortasse huc pertinet illud Cicer. pro Coel. c. 26.
ubi de eadem Clodia loquens, nisi forte, inquit, mulier potens quadrantaria
illa permutatione familiaris facta erat balneatori. h. e. vel propter corporis
prostitutionem, quae in balneis praecipue a meretricibus fiebat, vel quia
balneatori pro quadrante mercedem stupri dabat, familiaris illi esse potuit. “
(16) Anche Carducci non dimenticò la famosa donna fatale
romana.
Nell’ode “ Sirmione ” ecco l’accenno a Clodia :
“ … qui Valerio Catullo, legato giù a’ nitidi sassi
il fasèlo bitinico,
sedeasi i lunghi giorni, e gli occhi di Lesbia ne l’onda
fosforescente e tremula,
e ‘l perfido riso di Lesbia e i multivoli ardori
vedea ne l’onda vitrea,
mentr’ella stancava pe’ neri angiporti le reni
a i nepoti di Romolo. “
( Poesie MDCCCL-MCM, Bologna, Zanichelli, 1924; pagg.
836-837 )
(17) Op. cit., pag. 87 e segg.
(18) Op.
cit., pag. 103.
(19) Th. Gautier, Mademoiselle de Maupin,
Paris, Garnier-Flammarion, 1966, pag. 73.
(20) G. D’Annunzio, L’Isotteo - La Chimera, Milano,
Treves, 1920 ; pag. 10.
(21) Petruccelli Della Gattina, Memorie di Giuda,
Milano, Treves, 1870; pag. 132.
(22) Poeti minori dell’Ottocento, Torino, UTET, 1977;
pag. 573.
(23) G. B. Niccolini, Lezioni di mitologia, Firenze,
Barbera–Bianchi, 1855, vol. I; pag. 286.
(24) Op. cit., pag. 287.
(25) Op. cit., pag. 290.