mercoledì 10 luglio 2013

Dandysmo, estetismo e “femme fatale”. Parte prima.






Dandysmo, estetismo e “femme fatale” nella rievocazione nostalgica dell’antichità a proposito del Tizio Caio Sempronio ( 1877 ) di Anton Giulio Barrili.

( Parte prima )

Siamo al tempo della repubblica romana, all’epoca di Giulio Cesare e Cicerone. Il cavaliere Tizio Caio Sempronio s’innamora della bellissima Clodia, già amata dal poeta Catullo, e, nonostante il suo patrimonio sia molto diminuito a causa delle continue spese, per lei sborsa somme ingenti nell’acquisto di gioielli, vesti, cocchi, ville. Ma l’usuraio, cui è costretto a ricorrere per mantenere un tenore di vita così dispendioso, è, a sua volta, innamorato di Clodia. Costui, il rozzo banchiere Cepione, perciò provoca con ogni mezzo la rovina finanziaria di Sempronio. La bellissima dama abbandona Tizio Caio alla notizia del fallimento e passa dalla parte di Cepione. Ma il bel cavaliere trova l’appoggio morale ed economico di un’altra nobildonna e si sottrae alla condanna per debiti (1).
Tizio Caio Sempronio è un giovane spensierato e ricco, un dongiovanni di buon cuore, prodigo e generoso con gli amici, cortese e amabile con le dame. La sua psicologia è tutta qui. Anche quando sarà in cattive acque la spensieratezza non verrà meno, l’elegantone non farà una piega e manterrà il suo atteggiamento di “nonchalant”. E’ il gentiluomo ideale che, naturalmente, non esiste nella realtà. Ecco il suo ritratto :
“ Tizio Caio Sempronio era un gentil cavaliere, e bello, per giunta, come un dio di fabbrica ellèna. Si diceva che sua madre lo avesse concepito dopo essersi fortemente commossa alla veduta di una statua di Scopa. Aveva i capegli biondi e riccioluti, diritto il naso, breve il labbro superiore, il mento rotondo, l’orecchio piccolissimo; insomma, tutte le bellezze d’Apollo. “ (2)
E in seguito l’autore scrive :
“ E’ bello di una lieta ed altera bellezza … L’uomo ha da essere ardito. Vedetelo, con quella fronte alta e quel suo sguardo sfavillante. “ (3)
In questo profilo si avverte un estetismo di origine neoclassica. Una bellezza statuaria, apollinea, che risente della vaga sensualità del Canova e mantiene qualcosa di molle e di sensuoso, proprio della raffinata e delicata civiltà del Settecento.
Anche Winckelmann, del resto, nelle descrizioni dell’Apollo del Belvedere e dell’Antinoo del Belvedere tradiva una disposizione d’animo sensuale nell’apprezzamento dell’opera d’arte e nella concezione del Bello (4).
Barrili rileva anche un’altra particolarità della bellezza del personaggio : “ l’orecchio piccolissimo “, quasi a suggello o a tocco finale d’una bella erma marmorea. Caratteristica questa ch’era stata anche di Byron, i cui nobili natali erano stati riconosciuti dal pascià di Giànina, Alì, signore d’Albania, proprio dalla piccolezza delle orecchie, oltre che dai capelli ricci e dalla bianchezza delle mani (5).
La gentilezza e la grazia del Bello neoclassico si possono ad esempio avvertire nei versi seguenti della Musogonia ( 1797 ) di Vincenzo Monti, che paiono accordarsi perfettamente al ritratto dell’apollineo Tizio Caio, laddove Mnemosine s’innamora di Giove trasformato in pastorello :
“ Loda il volto gentil, le rubiconde
Floride guance e il ben tornito collo;
Loda le braccia vigorose e tonde,
E l’omero che degno era d’Apollo;
Bel sorriso, bel guardo, e vereconde
Care parole, e tutto alfin lodollo. “
( XXI ottava )
Del resto Tizio Caio non è altro che una maschera. Sotto la toga s’agita un contemporaneo di Barrili, un gentiluomo borghese dotato di velleità cavalleresche. Nella Roma di fine secolo ( quindi pochi anni dopo ) furoreggiava il tableau vivant, il nuovo gioco di società in cui ci si divertiva a travestirsi secondo un modello d’arte, un quadro celebre, una foggia antica (6). Evidentemente l’immaginario collettivo privilegiava la rievocazione e la riesumazione storica, nessuna meraviglia dunque se si riscontrano nel personaggio dello scrittore savonese evidenti anacronismi di carattere soprattutto psicologico.
L’estetismo d’origine neoclassica s’accorda con la sensibilità propria dell’epoca in cui visse Barrili. Nella novella Senso ( 1883 ) di Camillo Boito ecco il ritratto del dongiovanni Remigio :
“ … un misto di Adone e di Alcide. Bianco e roseo, con i capelli biondi ricciuti, il mento privo di barba, le orecchie tanto minute che sembravano quelle di una fanciulla, gli occhi grandi e inquieti di colore celeste : in tutto il volto una espressione ora dolce, ora violenta, ma di una violenza o dolcezza mitigata dai segni di un’ironia continua, quasi crudele. “ (7)
Il dongiovanni del tempo ha in genere sembianze apollinee. Anche nel racconto di Barbey d’Aurevilly “ Le plus bel amour de Don Juan “ de Les diaboliques ( 1874 ) si legge, a proposito del conte Ravila de Ravilès :
“ C’était la vraie beauté – la vraie beauté insolente, joyeuse, impériale, juanesque enfin ; le mot dit tout … “ (8)
Si può notare che le caratteristiche fisiche del personaggio sono in tutto fedeli al modello che era servito a Barrili : un esemplare di bellezza neoclassica dotato di un fascino byroniano.
Al medesimo canone estetico risponde la figura del bellissimo dandy Lucien de Rubempré, che compare in Splendeurs et misères des courtisanes ( 1847 ) di Balzac. Il personaggio dello scrittore francese fu idoleggiato da Oscar Wilde che appunto nel 1890 diede vita a Dorian Gray. E la fisionomia del dandy di fine secolo non è davvero molto diversa dall’Antinoo vagheggiato da Winckelmann (9) :
“ Yes, he was certainly wonderfully handsome, with his finely-curved scarlet lips, his frank blue eyes, his crisp gold hair. There was something in his face that made one trust him at once. All the candour of youth was there, as well as all youth’s passionate purity. “ ( cap. II, 30 )
Per quanto riguarda l’indole di questi personaggi è chiaro che il capostipite è il Don Giovanni definitivamente celebrato da Mozart. “ Tout le plaisir de l’amour est dans le changement “, questo è il suo motto (10). E non sembra smentirlo Tizio Caio Sempronio, il cui destino pare avvicinarsi a quello d’un altro amante di Clodia, realmente esistito però, il volubile Celio (11). Né si allontana dal motto amorale il Tullio Hermil de L’innocente ( 1892 ) di Gabriele D’Annunzio. Tullio è il tipico dongiovanni intellettuale e Giuliana, la moglie, è un’Elvira che soffre in silenzio ( anche se ricambia l’infedeltà del marito con il suo adulterio ). A un certo punto il protagonista pensa :
“ Io credevo che per me potesse tradursi in realtà il sogno di tutti gli uomini intellettuali : - essere costantemente infedele a una donna costantemente fedele. “ (12)
Tizio Caio Sempronio però non attira su di sé la colpa della propria incostanza, lo salva la bellezza, la galanteria, e soprattutto il fatto di amare una “vamp” molto più volubile di lui. Al caso suo si addice il verso virgiliano
“ gratior et pulchro veniens in corpore virtus. “
( Eneide, V, 344 )
Il “ cattivo “ Cepione ha invece un aspetto ributtante e grottesco.
Mentre il malvagio Zerduste (13) in Semiramide ( 1873 ) appariva dotato di caratteristiche esteriori “ sataniche “, proprie del “ bel tenebroso “, Cepione è simile a un dèmone di basso rango, a un sileno o a un satiro :
“ Era egli … una montagna di carne. Aveva piccina la testa e grossolane le fattezze. La barba, rasa sulle guancie, gli girava a mo’ di collare intorno alle mascelle, nascondendo la pappagorgia che gli pendeva sotto il mento. Postumio Floro diceva di quella barba : - è la forca che tu meriti, o Cepione, segnata anticipatamente intorno al tuo collo. – Il nobilissimo uomo entrò sotto l’atrio con passo risoluto, ma barellando un pochino per cagione di quel buzzo che doveva portare con sé, e dondolando sotto alla risvolta della toga il braccio corto e massiccio. Gli occhi piccini e luccicanti, le gote rubiconde come i rosolacci, le labbra tumide e per giunta allungate da un certo suo vezzo tra l’orgoglioso e il beffardo, finalmente quella pappagorgia che vi ho detto più su, davano al nostro Cepione una certa rassomiglianza con un tacchino. S’intende che nella mente sua egli si teneva per un gallo. “ (14)
La figura è, senza dubbio, ben costruita, viva nella nostra immaginazione. Barrili, come riesce bene nel ritratto, così dà buon saggio della sua abilità anche nelle caricature.

Note

(1) Come la gioventù dorata del tempo, dunque, anche il personaggio di Barrili è preda dei creditori. Un carme di Catullo ( carm. 26 ) pone in evidenza questa triste realtà :
 “ Furi, villula nostra non ad Austri
flatus opposita est neque ad Favoni
nec saevi Boreae aut Apheliotae,
verum ad milia quindecim et duecentos.
O ventum horribilem atque pestilentem ! “
(2) A. G. Barrili, Tizio Caio Sempronio, Milano, Treves, 1879, pag. 2.
(3) Op. cit. pag. 174.
(4) A tal proposito si tenga presente la parentela letteraria che lega Walter Pater a Winckelmann, dovuta ovviamente a una simile disposizione d’animo. Cfr. Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Firenze, Sansoni, 1976; pag. 267.
(5) A. Maurois, Don Giovanni o la vita di Byron, Milano, Dall’Oglio, 1953; pag. 113.
(6) Cfr. Album D’Annunzio, Milano, Mondadori, 1990; pagg. XVI-XVII.
(7) Camillo Boito, in Narratori settentrionali dell’Ottocento, Torino, UTET, 1970; pag. 739.
(8) J. Barbey D’Aurevilly, Les diaboliques, Paris, Garnier-Flammarion, 1967; pag. 100.
(9) “ Certo, era meravigliosamente bello, con quelle sue labbra scarlatte dalla curva delicata, quei suoi occhi azzurri pieni di franchezza, quei suoi capelli d’oro ondulati. Nel suo volto c’era qualche cosa che ispirava fiducia a prima vista. Si sentiva che si era conservato immune dalle sozzure del mondo. “ ( Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, Milano, Club degli Editori, 1963; pag. 19 ).
(10) Cfr. Giovanni Macchia, Vita avventure e morte di Don Giovanni, Milano, Adelphi, 1991; pag. 45.
(11) Cfr. Gaston Boissier, Cicéron et ses amis, Paris, Librairie Hachette, s. d. ; pag. 167 e segg.
(12) G. D’Annunzio, L’innocente, Milano, Mondadori, 1991; pag. 88.
(13) Cfr. Maurizio Pallavicini, Letteratura erotico-esotica nella Semiramide di A. G. Barrili, LA RASSEGNA DELLA LETTERATURA ITALIANA, Serie VIII -  N. 1-2 – Gennaio-Agosto 1992; pagg. 118-120.
(14) Op. cit. , pag. 135.

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