L’orgueil
nous sépare de la société: notre amour-propre nous donne un rang à
part qui nous est toujours disputé: l’estime de soi-même qui se
fait trop sentir est presque toujours punie par le mépris universel.
Mme de Lambert, Avis d’une mère à sa fille, dans ses oeuvres
complètes citées ci-dessus, (p.633.), p.99. fine. Così
è naturalmente nella società, così porta la natura di questa
istituzione umana, la quale essendo diretta al comun bene e piacere,
non sussiste veramente, se l’individuo non accomuna [670]più
o meno cogli altri la sua stima, i suoi interessi, i suoi fini,
pensieri, opinioni, sentimenti ed affetti, inclinazioni, ed azioni; e
se tutto questo non è diretto se non a se stesso. Quanto più si
trova nell’individuo il se stesso, tanto meno esiste veramente la
società. Così se l’egoismo è intero, la società non esiste se
non di nome. Perchè ciascun individuo non avendo per fine se non se
medesimo, non curando affatto il ben comune, e nessun pensiero o
azione sua essendo diretta al bene o piacere altrui, ciascuno
individuo forma da se solo una società a parte, ed intera, e
perfettamente distinta, giacchè è perfettamente distinto il suo
fine; e così il mondo torna qual era da principio, e innanzi
all’origine della società, la quale resta sciolta quanto al fatto
e alla sostanza, e quanto alla ragione ed essenza sua. Perciò
l’egoismo è sempre stata la peste della società, e quanto è
stato maggiore, tanto peggiore è stata [671]la
condizione della società; e quindi tanto peggiori essenzialmente
quelle istituzioni che maggiormente lo favoriscono o direttamente o
indirettamente, come fa soprattutto il dispotismo. (Sotto il quale
stato la Francia era divenuta la patria del più pestifero egoismo,
mitigato assai dalla rivoluzione, non ostante gl’immensi suoi
danni, come è stato osservato da tutti i filosofi.) L’egoismo è
inseparabile dall’uomo, cioè l’amor proprio, ma per egoismo,
s’intende più propriamente un amor proprio mal diretto, male
impiegato, rivolto ai propri vantaggi reali, e non a quelli che
derivano dall’eroismo, dai sacrifizi, dalle virtù, dall’onore,
dall’amicizia ec. Quando dunque questo egoismo è giunto al colmo,
per intensità, e per universalità; e quando a motivo e
dell’intensità, e massime dell’universalità si è levata la
maschera (la quale non serve più a nasconderlo, perchè troppo vivo,
e perchè tutti sono animati dallo stesso sentimento), allora la
natura del commercio sociale (sia relativo alla
conversazione, [672]sia
generalmente alla vita) cangia quasi intieramente. Perchè ciascuno
pensando per se (tanto per sua propria inclinazione, quanto perchè
nessun altro vi pensa più, e perchè il bene di ciascheduno è
confidato a lui solo), si superano tutti i riguardi, l’uno toglie
la preda dalla bocca e dalle unghie dell’altro; gl’individui di
quella che si chiama società, sono ciascuno in guerra più o meno
aperta, con ciascun altro, e con tutti insieme; il più forte sotto
qualunque riguardo, la vince; il cedere agli altri qualsivoglia cosa,
o per creanza, o per virtù, onore ec. è inutile, dannoso e pazzo,
perchè gli altri non ti son grati, non ti rendono nulla, e di quanto
tu cedi loro, o di quella minore resistenza che opponi loro,
profittano in loro vantaggio solamente, e quindi in danno tuo. E
così, per togliere un esempio dal passo cit. di Mad. di Lambert, si
vede nel fatto che oggidì, il disprezzo degli altri, e la stima
aperta e ostentata di se stesso, non solamente non è più così
dannosa come [673]una
volta, ma bene spesso è necessaria, e chi non sa farne uso non
guadagna nulla in questo mondo presente. Perchè gli altri non sono
disposti ad accordarti spontaneamente, e in forza del vero, e del
merito nulla, come di nessuna altra cosa, così neanche di stima, e
bisogna quindi che tu la conquisti come per forza, e con guerra
aperta e ostilmente, mostrandoti persuasissimo del tuo merito, ad
onta di chicchessia, disprezzando e calpestando gli altri,
deridendoli, profittando d’ogni menomo loro difetto, rinfacciandolo
loro, non perdonando nulla agli altri, cercando in somma di
abbassarli e di renderteli inferiori, o nella conversazione o
dovunque con tutti i mezzi più forti. Che se oggidì ti vuoi
procacciare la stima degli altri, col rispetto, buona maniera verso
loro, col lusingare il loro amor proprio, dissimulare i loro difetti
ec. e quanto a te, colla modestia, col silenzio ec. ti succede tutto
l’opposto. Essi profittano di te e de’ tuoi riguardi verso loro,
per innalzarsi, e della tua poca resistenza quanto a te, per
deprimerti. Quello che concedi [674]loro,
l’adoprano in loro mero vantaggio, e danno tuo; quello che non ti
arroghi o non pretendi, o quel merito che tu dissimuli, te lo negano
e tolgono, per vederti inferiore ec. Così, nel modo che ho detto
ritornano effettivamente nel mondo i costumi selvaggi, e di quella
prima età, quando la società non esistendo, ciascuno era amico di
se solo, e nemico di tutti gli altri esseri o dissimili o simili
suoi, in quanto si opponevano a qualunque suo menomo interesse o
desiderio, o in quanto egli poteva godere a spese loro. Costumi che
nello stato di società son barbari, perchè distruttivi della
società, e contrari direttamente all’essenza ragione, e scopo suo.
Quindi si veda quanto sia vero, che lo stato presente del mondo, è
propriamente barbarie, o vicino alla barbarie quanto mai fosse. Ogni
così detta società dominata dall’egoismo individuale, è barbara,
e barbara della maggior barbarie.
(17.
Feb. 1821.)
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