“ Venere
demonio “
Di
che sparso fragor, come d’un fosco
Turbine
che le salse onde sovverta,
Sotto
il limpido cielo e la deserta
Luna,
d’intorno si riempie il bosco?
Le
antichissime querce e gli aspri e folti
Abeti
e i faggi ond’è la valle ingombra,
S’ergono
muti e immobili nell’ombra,
E
tutta par che la gran selva ascolti.
Ed
ecco di lontan, sereno e blando
Come
rosata aurora in oriente,
Fra
tronco e tronco appar subitamente
Un
lume che si viene approssimando.
Ed
ecco, da quel lume accompagnata,
Vien
oltre di lontan, per la radura,
Con
lunghe volte e placida andatura
Un’infinita
e nobil cavalcata.
Vien
da prima, con bell’ordinamento,
Un
bianco stuol di giovinetti araldi,
Che
una dolce armonia, festosi e baldi,
Spiran
da trombe di forbito argento.
Simile
a rosa poi che intatto schiuda
Al
sol di maggio l’incarnato seno,
Seduta
appar su bujo palafreno
Una
donna, anzi dea, tenera e nuda.
Sola
precede alla maggior caterva,
Su
tenebroso palafren seduta,
E
guarda innanzi a sé ridendo muta,
Soavemente
candida e proterva.
Sembrano
gli occhi suoi due vive faci
Alle
fiammanti accese are di Gnido;
Sembra
la bocca piccioletta un nido,
Un
caro nido d’amorosi baci.
Spiove
ondeggiando, luminosa, opima,
Giù
per le spalle la sfrenata chioma;
Treman
sul petto le ingigliate poma
che
due bocciuoli hanno di rosa in cima.
Arde
sul fronte grazioso e bianco
Di
sfavillanti gemme una corona;
Di
sfavillanti gemme arde una zona
Intorno
al colmo e delicato fianco.
Nuda
e ridente le superbe terga
Preme
la bella donna al palafreno:
Con
l’una man regge il dorato freno;
Stringe
con l’altra una dorata verga.
Pien
di fervida ebbrezza e di languore
Per
l’aria al suo passar vola uno spiro;
Fremono
le vetuste arbori in giro,
Scuote
la terra un tremito d’amore.
Dietro
a colei che a guisa di regina
Movendo,
l’ombre di suo spirto avviva,
La
sterminata e nobil comitiva
Con
lunga pompa trionfal cammina.
Coppie
e brigate di gentili amanti
Su
baliosi corridor montati;
Gale
di vesti e crini inghirlandati,
Labbra
ridenti, pupille raggianti.
Lustrano
nel diffuso, arcano lume,
Varii
di fogge, d’usi e di colori,
Gli
ondanti veli, i grevi drappi, gli ori,
Le
gemme accese, le dipinte piume.
Dove
più densa, avviluppata e nera
La
selva esclude dal suo grembo il giorno,
E' un picciol prato senza fior, che intorno
Ha
di molti sentieri una raggiera.
Quivi,
tra pruni, nella terra infisso,
Cinto
dall’ombra taciturna e tetra,
Sorge
di fosca e logorata pietra,
Di
funerea vista, un crocefisso.
Quivi
la bella donna il caval gira,
Quivi
la bella donna il caval ferma,
E
quel dolente simulacro e l’erma
Selvaggia
sede baldanzosa mira.
Poi
con florido riso e amabil voce
Parla:
O dio della croce e del vangelo,
O
Cristo, io son colei che tu dal cielo
Col
tuo vangel cacciasti e la tua croce.
Io
son colei cui generar nel cronio
Mare
in antico le vitali spume;
Quella
Venere io son che tu di nume
Presumesti
cangiar, Cristo, in demonio.
E
dea rimasi, e della mia rovina
Né
duol mi vinse, né mi vinse tema;
E
quel che in me scagliasti aspro anatema
Non
iscemò la mia beltà divina.
Dea
rimasi, dea sono, e con giocondo
Culto
l’uom, che tu strazii, ancor m’adora;
E
del mio nume invulnerato ancora
Vive,
s’impregna, si rinnova il mondo.
Me
le belve, e le piante, e la nutrice
Terra,
e l’Oceano d’infinita prole
Fecondo,
e l’etra, e il radiante sole
Chiaman
propizia dea, dea genitrice.
Vedi
qual io mi son, qual tu ti sei:
Tu
di gelide angosce e di terrori
Sazii
i tuoi servi; io di beati ardori
Colmo
e di grazie invidiate i miei.
Tu,
dalla croce sanguinosa, austero,
Sulle
pavide regni alme dolenti:
Vedi
il popolo mio, vedi le genti
A
me devote ed al mio santo impero.
Tace,
e scherzosa, con leggiadro piglio
Alza
la verga d’oro e il caval tocca,
Che
dalle nari sbuffa e dalla bocca
Globi
di foco e di vapor vermiglio.
Davanti
al crocifisso ella cavalca
Nuda
e proterva, e, sì come a lei piace,
Tutto
l’immenso popolo seguace
Con
lunga pompa trionfal travalca.
Cosi
sen vanno giubilando a gloria
Per
l’alta notte, per la gran foresta;
Suonan
gli araldi, camminando in testa,
Un
inno di letizia e di vittoria.
E
come avvien che il primo albor si scerna
Nunzio
del novo giorno all’orizzonte,
Giungono
appiè d’un rovinoso monte,
Cui
squarcia il fianco un’orrida caverna.
Fra
sghembe rupi, accatervate e rotte
La
tenebrosa grotta si spalanca,
E
quivi, mentre il ciel lento s’imbianca,
Entran
sotterra, nella densa notte.
Scendon
nel cupo, ove di luce pregno,
E
di soavi fior sempre beato,
Cui
de’ zeffiri educa il vivo fiato,
E
della dea d’amore il dolce regno.
Si
sente l'influsso del Tannhäuser
di Richard Wagner e de “ La belle dame sans merci “ di John
Keats.
La
belle dame sans merci
Che
cosa ti tormenta, armato cavaliere
che
indugi solo e pallido?
Di
già appassite son le cipree del lago
e
non cantan gli uccelli.
Che
cosa ti tormenta, armato cavaliere,
cotanto
affranto e così desolato,
riempito
è già il granaio dello scoiattolo,
pronto
è il raccolto.
Vedo
sul tuo cimiero un bianco giglio,
umida
angoscia, e del pianto la febbre
sulle
tue gote, ove il color di rosa è scolorito
troppo
rapidamente.
Una
signora in quei prati incontrai,
lei,
tutta la bellezza di figlia delle fate aveva,
chiome
assai lunghe, e leggeri i suoi piedi,
ma
selvaggi i suoi occhi.
Io
feci una ghirlanda pel suo capo,
e
pur bracciali, e odorosa cintura;
lei
mi guardò com' avria fatto amore,
dolcemente
gemette.
Io
mi stetti con lei, sul mio cavallo
al
passo, e nessun altro vidi in tutto il giorno;
seduta
di traverso modulava
un
canto delle fate.
Lei
procurò per me grate radici,
vergine
miele e rugiadosa manna,
e
in linguaggio straniero poi mi disse:
-
Io t'amo veramente.
Nella
grotta degli elfi mi condusse,
e
lì lei pianse, e sospirò in tristezza,
ma
i suoi barbari occhi io tenni chiusi,
con
quattro baci.
Ivi
lei mi cullò, sino a dormire,
e
lì sognai: sia maledetto l'ultimo sogno
fantasticato
lì sul declivio
del
freddo colle.
Vidi
principi e re, pallidamente,
scialbi
guerrieri smunti, color morte erano tutti
e
gridavano a me: - La bella dama che non ha
compassione,
t'ha reso schiavo!
Le
lor livide labbra scorsi nella penombra,
che
m'avvertivano: - L'ampia voragine orrendamente
s'apre!
- Allora mi svegliai, e mi scopersi qui,
sopra
il declivio del freddo colle.
Questo
è accaduto perché qui rimasi
solo,
senza uno scopo ad attardarmi,
pur
se appassite fosser le cipree
e
gli uccelli del lago non cantassero.
(John
Keats)
Testo
originale
Oh
what can ail thee, knight-at-arms,
Alone and palely loitering?
The sedge has withered from the lake,
And no birds sing.
Alone and palely loitering?
The sedge has withered from the lake,
And no birds sing.
Oh
what can ail thee, knight-at-arms,
So haggard and so woe-begone?
The squirrel's granary is full,
And the harvest's done.
So haggard and so woe-begone?
The squirrel's granary is full,
And the harvest's done.
I
see a lily on thy brow,
With anguish moist and fever-dew,
And on thy cheeks a fading rose
Fast withereth too.
With anguish moist and fever-dew,
And on thy cheeks a fading rose
Fast withereth too.
I
met a lady in the meads,
Full beautiful - a faery's child,
Her hair was long, her foot was light,
And her eyes were wild.
Full beautiful - a faery's child,
Her hair was long, her foot was light,
And her eyes were wild.
I
made a garland for her head,
And bracelets too, and fragrant zone;
She looked at me as she did love,
And made sweet moan.
And bracelets too, and fragrant zone;
She looked at me as she did love,
And made sweet moan.
I
set her on my pacing steed,
And nothing else saw all day long,
For sidelong would she bend, and sing
A faery's song.
And nothing else saw all day long,
For sidelong would she bend, and sing
A faery's song.
She
found me roots of relish sweet,
And honey wild, and manna-dew,
And sure in language strange she said -
'I love thee true'.
And honey wild, and manna-dew,
And sure in language strange she said -
'I love thee true'.
She
took me to her elfin grot,
And there she wept and sighed full sore,
And there I shut her wild wild eyes
With kisses four.
And there she wept and sighed full sore,
And there I shut her wild wild eyes
With kisses four.
And
there she lulled me asleep
And there I dreamed - Ah! woe betide! -
The latest dream I ever dreamt
On the cold hill side.
And there I dreamed - Ah! woe betide! -
The latest dream I ever dreamt
On the cold hill side.
I
saw pale kings and princes too,
Pale warriors, death-pale were they all;
They cried - 'La Belle Dame sans Merci
Hath thee in thrall!'
Pale warriors, death-pale were they all;
They cried - 'La Belle Dame sans Merci
Hath thee in thrall!'
I
saw their starved lips in the gloam,
With horrid warning gaped wide,
And I awoke and found me here,
On the cold hill's side.
With horrid warning gaped wide,
And I awoke and found me here,
On the cold hill's side.
And
this is why I sojourn here
Alone and palely loitering,
Though the sedge is withered from the lake,
And no birds sing.
Alone and palely loitering,
Though the sedge is withered from the lake,
And no birds sing.
dal
“ Tannhäuser “ di
Richard Wagner :
Scena
prima
La
scena rappresenta l'interno della montagna di Venere (Hörselberge
presso Eisenach). Grotta spaziosa, che in fondo, volgendosi a destra,
dà l'idea di un prolungamento a perdita d'occhio. Da un'apertura a
crepaccio, attraverso la quale penetra debolmente la luce del giorno,
percepita per tutta l'altezza della grotta una cascata verdastra,
spumeggiando selvaggiamente tra le rocce. Dal bacino che accoglie la
cascata, il ruscello corre verso lo sfondo più lontano, ampliandosi
in lago. Si vedono figure di Naiadi bagnanti e Sirene distese sulle
rive. Da ambedue i lati della grotta, sporgenze rocciose di forma
irregolare, cresciute di vegetazione tropicale meravigliosa, sul tipo
dei coralli. Davanti a una delle aperture della grotta, che si stende
in salita verso sinistra, e dalla quale traspare una rosea luce
crepuscolare, giace sul proscenio Venere distesa su un ricco talamo.
Innanzi a lei, il capo sul grembo e l'arpa al fianco, sta Tannhäuser
mezzo inginocchiato. Le tre Grazie, stese in delizioso intreccio,
circondano il talamo. Dietro e ai lati di esso, molti Amorini
dormienti, coricati in confusione selvaggia, l'uno accanto e sopra
l'altro, formando un aggrovigliato gomitolo; come bambini che
spossati da una qualche baruffa si siano addormentati. L'intero
proscenio è illuminato da una luce rossigna, che sa d'incantesimo, e
che trapela dal di sotto: attraverso essa rompe con violenza il verde
smeraldo della cascata e il bianco delle sue onde spumeggianti. Lo
sfondo lontano con le rive del lago è illuminato da un vapore
azzurro luminoso di una luce lunare. - All'alzarsi della tela, i
Giovani si trovano ancora distesi sulle più elevate sporgenze di
roccia presso i loro calici; ma ecco subito seguire i cenni invitanti
delle Ninfe, onde si affrettano giù verso di esse. Le Ninfe hanno
cominciato, intorno allo schiumeggiante bacino della cascata, la loro
danza allettatrice, che è destinata a trascinare i Giovani presso di
loro. Le coppie si ritrovano e si mescolano: caccie, fughe e scherzi
provocanti animano la danza. Dallo sfondo lontano si avvicina un
corteo di Baccanti, che passa con furia attraverso le file delle
coppie d'amanti, invitando a sfrenata lussuria. Con gesti di ebrezza
esaltata, le Baccanti invitano gli amanti a crescente licenza. Gli
inebriati si precipitano in ardenti amplessi. Satiri e Fauni, apparsi
fuori dalle caverne, si introducono ora con la loro danza tra le
Baccanti e le coppie degli amanti. Essi crescono la confusione con la
loro caccia alle Ninfe: il tumulto generale sale al più alto
parossismo. Nel punto in cui erompe la furia più selvaggia, le
Grazie si alzano inorridite. Esse cercano di frenare i furiosi e di
allontanarli; ma temono, impotenti, di venire esse medesime
trascinate. Si volgono allora agli Amorini dormienti, li scuotono e
li cacciano verso l'alto. Districatisi dal groviglio, essi
svolazzano, come uno stormo d'uccelli, su per il pendìo. Giunti
sull'altura, occupano l'intero spazio della grotta, come in ordine di
battaglia; e di là scagliano giù una incessante gragnola di frecce
sulla folla tumultuante nel piano.I feriti, colti da potente spasimo
d'amore, abbandonano la danza selvaggia, e cadono spossati. Le Grazie
si impadroniscono dei feriti e cercano, disponendo gli ebri a coppie,
di disperderli, con dolce violenza, verso il fondo. Dove pure, in
tutte le possibili direzioni, si allontanano le Baccanti, i Fauni, i
Satiri, le Ninfe e i Giovani, in parte inseguiti dagli Amorini giù
per il pendìo. Scende un roseo vapore sempre più denso: in esso
scompaiono dapprima gli Amorini. Poi, esso copre tutto lo sfondo,
così che, da ultimo, oltre Venere e Tannhäuser, restano ancora
visibili soltanto le tre Grazie. Ora esse retrocedono verso il
proscenio; in grazioso intreccio si avvicinano a Venere, come per
riferirle della vittoria, che hanno riportato sulle passioni selvagge
dei sudditi del suo regno. Venere le guarda ringraziando. (Il denso
vapore nel fondo si divide: una immagine vaporosa rappresenta il
ratto di Europa, che passa attraverso il mare azzurro sulla groppa
del toro bianco ornato di fiori, accompagnata da Tritoni e Nereidi)
CHOR
DER SIRENEN
(unsichtbar)
Naht euch dem Strande!
Naht euch dem Lande,
wo in den Armen
glühender Liebe
selig Erbarmen
still' eure Triebe!
(unsichtbar)
Naht euch dem Strande!
Naht euch dem Lande,
wo in den Armen
glühender Liebe
selig Erbarmen
still' eure Triebe!
CORO
DELLE SIRENE
(invisibile)
Accostatevi a spiaggia!
Accostatevi a terra,
dove, tra le braccia
d'ardente amore,
un beato tepore
calmi le vostre brame!
(invisibile)
Accostatevi a spiaggia!
Accostatevi a terra,
dove, tra le braccia
d'ardente amore,
un beato tepore
calmi le vostre brame!
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