Edouard
Schuré Storia del dramma musicale ( 1872 )
Milano,
Bottega di Poesia, 1924
L'indagine
di S. coincide con l'asserto del Nietzsche nella Nascita della
tragedia, anche il francese considera il dramma musicale “ la
forma drammatica più elevata e più completa che l'arte umana è
riuscita a creare. Questa forma apparve la prima volta, con una
purezza e una maestà senza pari, nella tragedia greca. “ ( p. 11 )
P.
12. Quell'unità dell'Arte che i Greci avevano realizzato,
quell'unità dell'Uomo, ora è distrutta nonostante il progresso
della scienza e della tecnica, “ l'unità dell'uomo è distrutta,
il suo equilibrio è rotto. Non altrimenti l'arte divina non è più
viva : vive solo nelle sue parti. Le due Muse sorelle, che furono
unite, sono adesso separate. Vuol forse dire questo che ciascuna
basta a se stessa ? Ambedue lo credono, lo dicono; ma non è così, e
istintivamente esse non fanno che cercarsi. “
P.
13. Sede dell'unità originaria di musica e poesia è il dramma
musicale. Sia Shakespeare che Beethoven mostrano di anelare
all'antica unità, ma è soprattutto Wagner colui che ha tentato di
riunificare le due arti.
P.
20. “ Il popolo greco fu il popolo educatore per eccellenza. Se
l'arte è stata lo scopo unico della sua vita, riconosciamo che tutta
la sua vita, pubblica e privata, è stata un'opera d'arte. “ La
scintilla divina che giace sopita nell'uomo dei secoli precedenti e
seguenti si è rivelata appieno nel mondo ellenico e ha dato vita
alla civiltà della bellezza, dell'umanità più elevata e
aristocratica che ci sia mai stata. Schuré al contrario di Nietzsche
punta il dito su quello che a lui sembra essere il pregio principale
di quella civiltà, cioè l'equilibrio, la razionalità, l'armonia
d'anima e corpo. Ma dopo tutto questa è una concezione che anche il
Nietzsche condivide ( come tutti gli uomini colti del suo tempo ).
P.
22. “ Il genio ellenico culmina nell'arte tragica. Nel mito questo
è il regno del mago Dioniso, che nel tempio augusto della tragedia
svolge i destini degli uomini e degli dei. “ Come si vede, Schuré
non si discosta poi molto dal dionisismo di Nietzsche.
P.
26. Il mito viene fatto risalire ai primordi della civiltà greca,
quando l'uomo era ancora primitivo ma “ chi può assicurarci che
l'uomo primitivo non abbia avuto un sentimento della vita più vero
di noi, con tutte le nostre scienze e tutte le nostre filosofie ? “
L'ebbrezza pànica, la mistica unione col tutto, ecco gli stessi
ingredienti del dionisismo nicciano : “ ebbrezza senza confini,
profondo amplesso dello spirito e della natura, simile a quello della
terra e del cielo nell'uragano. Da questo grande, ardente amplesso
nacquero gli dei. “
P.
30. Se il Nietzsche ci parla di apollineo e dionisiaco, Schuré forse
più esattamente si rifà ai due elementi opposti ma indispensabili
dell'anima ellenica cioè quello orgiastico dei riti di Cibele e dei
coribanti e quello euritmico dello Zeus pelasgico, simbolo di luce,
saggezza e misura. Due entità opposte ma compenetrantisi, il Cielo e
la Terra, Zeus e Cibele, il culto pelasgico e quello frigio sono per
Schuré gli elementi originali di quell'antitesi che sta alla base
della futura tragedia e che Nietzsche ha identificato in divinità
posteriori e seguenti all'epoca omerica. L'interpretazione di Schuré
mi sembra più calzante e attendibile.
P.
39-40. Importanza fondamentale della musica per lo sviluppo della
lirica greca, nata appunto dalla stessa ispirazione musicale. Schuré
intuisce molto bene che la metrica greca è prima di tutto notazione
musicale e in ciò la lirica antica si distingue nettamente da quella
moderna, in cui la metrica è un dettaglio secondario rispetto
all'ispirazione poetica ( e infatti molta poesia moderna potrebbe
anche essersi espressa in prosa, vedi ad es. Shakespeare che alterna
versi a prosa ).
P.
40-47. Dopo le belle pagine dedicate a Saffo, Alceo, Alcmane e
Pindaro, in cui si sottolinea l'importanza della coesistenza di
musica e poesia, nonché della danza, soprattutto in Alcmane e
Pindaro, ecco che si arriva al punto fondamentale per collegare
quest'opera con quella di Nietzsche e cioè il culto di Dioniso.
P.
57. Schuré, trattando del culto dionisiaco, cita in nota La
nascita della tragedia dallo spirito della musica di Nietzsche, e
le assegna la data del 1870. Senza dubbio l'opera precede di qualche
anno quella di Schuré, altrimenti è ovvio che il francese non
l'avrebbe potuta citare. E' interessante, comunque, l'apprezzamento
da parte di Schuré, quando sappiamo che in ambiente filologico
tedesco il libro del Nietzsche fu piuttosto denigrato. D'altra parte
tra i due autori vi sono non pochi punti in comune, uno dei quali è
senza dubbio l'entusiasmo poetico.
P.
67. Generalmente in accordo con Nietzsche, Schuré attribuisce alle
tragedie di Eschilo il preponderante peso del coro e l'impeto
musicale che sostiene tutto l'impianto dell'opera. Con Sofocle
comincia a stagliarsi sullo sfondo del coro l'eroe e ad essere
rappresentato in modo più realistico. Tuttavia, se si sottrae alle
tragedie di Sofocle il coro, le si priva della loro componente
essenziale. Tanto in Eschilo che in Sofocle l'elemento religioso e
musicale, cioè, per dirla con Nietzsche, dionisiaco, è inscindibile
dall'opera drammatica.
P.
70. Non è detto esplicitamente, ma ( anche nel brano citato da Opera
e dramma di R. Wagner ) è evidente che l'atto d'amore assoluto
d'Antigone prelude al messaggio cristiano. Qui Schuré mostra il suo
punto di vista radicalmente diverso da quello di Nietzsche, l'istinto
dionisiaco viene superato dalla superiore coscienza dell'essere uomo.
P.
72. A proposito di Euripide Schuré si attiene sostanzialmente al
giudizio di Nietzsche di cui riporta l'espressione secondo la quale
Euripide portò sulla scena lo spettatore. Anche a parere di Schuré
il senso critico è stato fatale ad Euripide perché ha soffocato il
poeta ch'era in lui. Il giudizio sulla commedia di Aristofane e poi
sul dramma “borghese” di Menandro è sempre concorde con quello
di Nietzsche. L'Arte vivente della tragedia venne sostituita dalla
letteratura così come al grande greco dell'epoca classica animato da
eroismo e amore della misura e del bello, subentrò il greculo
meschino dell'età romana.
NB
: sia Schuré che Nietzsche ( cap. 11 ) riportano l'aneddoto riferito
da Plutarco ne “ La morte degli oracoli “ e cioè il grido udito
dal navigante che costeggiava l'isola di Paxo e che annunciava la
morte di Pan. Questo racconto di Plutarco, diversamente interpretato
da Frazer e Reinach, evidentemente colpì molto la fantasia
dell'autore francese e del filosofo tedesco, sicuramente per il suo
fascino romantico.
P.
114. Interessante, relativamente a Shakespeare, la considerazione
della musica celeste del dramma “La tempesta” che si contrappone
alle tempeste dell'anima proprie della precedente produzione
artistica del grande inglese. Shakespeare è visto infatti come
l'evocatore delle passioni più violente dell'animo, conoscitore di
tutto quel mondo magmatico e vario che s'agita mirabilmente nel cuore
umano.
P. 128.
Nelle pagine precedenti Schuré delinea il ritratto artistico di lord
Byron, genio del romanticismo ribelle, assetato di libertà, ma è
nell'opera di Shelley che vede il ritorno al panteismo ellenico, la
riconquista dell'armonia originaria perduta e di una musica che
risulta dall'accordo universale di tutto il creato. Cfr. “Ode alla
libertà” di Shelley ( si noti l'influsso su Carducci es. “Alle
fonti del Clitumno” ) : “ poiché tu gemesti, non piangesti,
allorché dal suo mare di morte – per uccidere e bruciare – il
serpe di Galilea uscì, strisciando, fuori, e fece del tuo mondo un
mucchio di rovine indistinguibili ! “ vedi p. 152, strofa 8 di “Ode
to liberty”, in P. B. Shelley, Liriche e frammenti, a cura
di Cino Chiarini, Firenze, Sansoni, 1985.
P.
135-136. Con Goethe ritorna il culto ellenico della bellezza vivente.
Il poeta tedesco fonde insieme il ribellismo di Byron con la
religiosità panteista di Shelley, filosofo e poeta è l'araldo d'una
futura Ellade che sola può dare slancio allo spirito umano, per lui
la natura è l'immagine, il corpo della divinità e la scienza non è
un'applicazione arida all'osservazione dei fenomeni, ma la
divinazione vera e propria del verbo divino che s'agita nella materia
( cfr. Italo Alighiero Chiusano, Vita di Goethe, per il
panteismo di origine spinoziana del poeta tedesco ).
P.
145. Con Goethe la poesia ritorna al mito e “ al dramma ideale che
rappresenta l'uomo eterno e innalza l'arte all'altezza di una
religione. “ NB : “ La poesia, tornata con Shakespeare alla
mimica viva e suggestiva, col Fausto ritorna verso la musica e già
sembra tenderle la mano fin quasi a toccarla. “
P.
151. Dopo la storia della poesia da Dante a Goethe, inizia la storia
della musica dal Rinascimento in poi. Quando con Goethe la poesia
raggiunge il suo più alto grado di idealità tende a trasformarsi in
musica, la quale in poesia non è testimoniata dalla sonorità
verbale, si badi bene, ma dall'alto grado di universalità dei
contenuti e di idealità d'espressione. Nella musica lo spirito umano
viene a contatto con il mistero profondo della Vita universale, con
la Volontà di cui aveva già parlato Schopenhauer. La concezione di
Schuré nella sua esaltazione di Goethe e della musica ( nonché di
Wagner ) si avvicina moltissimo a quella di Nietzsche. In fin dei
conti Faust è un precursore di Zarathustra, forse un Zarathustra un
po' meno rivoluzionario ( e per nulla misogino ! ).
P.
154. Interessante la nota a piè di pagina, nella quale Schuré
rivela con chiarezza l'influsso diretto della filosofia di
Schopenhauer nella sua concezione della musica. Del resto tale
concezione è la stessa di Wagner, del romanticismo decadente. Ma in
un punto Schuré non concorda con il filosofo tedesco e quindi
neppure col Nietzsche, cioè nel fatto di considerare il noumeno,
l'al di là del fenomeno, il Wille, come Natura incosciente. Per
Schuré si tratta invece di Natura cosciente e in questo la sua
posizione si avvicina a quella dello stoicismo e di Spinoza.
P.
169, Schuré, a proposito del Palestrina, definisce la musica moderna
come “ sentimento infinito “, mentre quella di Palestrina sarebbe
armonia pura.
P.
177, Schuré ci informa riguardo alla musica greca in maniera
decisamente dettagliata, distinguendo i modi musicali ellenici, cioè
lo ionio, il lidio, il dorio, il frigio. Queste nozioni non ci sono
in alcun modo fornite dal Nietzsche la cui argomentazione si mantiene
sempre piuttosto generica. Il passaggio dalla melodia all'armonia si
ha con la fusione dei vari e distinti modi e questo avviene con la
musica rinascimentale.
P.
185, Schuré fa derivare la sinfonia dalla danza : “ La sinfonia di
Haydn è dunque la danza armonizzata “. E inventore della sinfonia
è appunto secondo S. proprio Haydn.
P.
186, NB : importante l'affermazione secondo la quale “ Mozart
diresse il fiume inesausto dell'armonia nell'intimo cuore della
melodia come per darle tutto il fervore del sentimento che risiede
nel cuore dell'uomo. “ Inoltre “ fa cantare gli strumenti con una
passione in cui si sente il desiderio della voce umana. “ Dunque
l'intenzione della musica, se non vuol naufragare nel mare dei suoni,
è pur sempre quello di volgersi alla poesia, cioè alla creazione di
un cosmo di immagini, di sentimenti, di pensieri in germe.
P.
189. Beethoven è definito lo Shakespeare della musica. In
particolare è apprezzata la famosa sonata patetica : “ Il fiume
della sua melodia scorre libero e grandioso al di sopra delle dighe
formali. Ci incanta e ci avvolge quella melodia infinita, in tanti
dei suoi adagio. Ricordiamo qui solo l'adagio cantabile della sonata
patetica. Come non riconoscervi il canto che vien direttamente
dall'anima, prima e al di sopra del linguaggio articolato, dolce
cantilena che afferma un amore ineffabile di cui l'obbietto ci
sfugge, ma di cui l'essenza divina si espande in un abbandono, in una
dedizione senza limiti ? “
Seguono
osservazioni tratte anche dagli scritti di Wagner sulle sinfonie di
Beethoven, tra le quali la nona esprime una sorta di religione
dionisiaca, un inno alla vita, alla divinità che si manifesta in
tutti gli uomini, alla fratellanza universale.
P.
226. Origine artificiale dell'opera lirica. Il tentativo di unificare
poesia e musica sfocia nel melodramma, ma la sua origine non è
spontanea, esso nasce nelle corti dei signori e non è un prodotto
ingenuo del popolo né corrisponde a un intimo bisogno dell'anima.
P.
232 : accusa l'opera di origine italiana e in genere l'opera lirica
di avere realizzato un'illusoria fusione delle tre arti, di fatto di
avere messo insieme parti tra loro profondamente diverse e di avere
dato vita a un meccanismo in cui trionfa l'artificio a discapito
della naturalezza, tutto insomma è finto nell'opera lirica, è
affettazione e subordinazione alle esigenze melodiche di un momento
culminante, avendo come mira un semplice effetto musicale che risalta
come una macchia di colore su un abito logoro e sbiadito.
P.
237. Il capitolo su Gluck è originale per la tesi che individua nel
compositore tedesco il creatore del dramma musicale, come Beethoven è
stato l'Omero della sinfonia, Gluck è stato l'Eschilo del dramma
musicale ed ha fatto rivivere l'essenza dell'antica tragedia greca.
Questo il parere di Schuré, che considera l'Orfeo di Gluck
come la rivelazione del suo genio musicale e il ritorno della
tragedia e del mondo ellenico. Effettivamente i recitativi di Gluck
insieme ai cori hanno qualcosa della tragedia antica. Ma questo
insistere sul genio di Gluck in quanto interprete musicale del mito
di Orfeo ed Euridice emulo degli antichi tragici greci, anzi, in
quanto la musica dei moderni con la scoperta dell'armonia è
superiore a quella degli antichi, superiore addirittura agli stessi
Greci, mi sembra esagerato. Del resto nella tragedia antica non era
certo la musica l'elemento fondamentale, ma piuttosto la parola,
anche se il motivo ispiratore poteva condensarsi in qualche melodia.
Mi sembra che, come in genere nella cultura ottocentesca, la
concezione dell'unione primitiva di poesia, musica e danza fosse
basata sull'equivoco, e l'equivoco era che queste arti fossero per
così dire fuse nella tragedia o prima nell'opera di Pindaro. Ma
pensare a una intima fusione delle arti è un assurdo. Si può invece
pensare a un linguaggio poetico, qual era appunto, estremamente
metaforico, allusivo e talvolta misterioso e per ciò tanto più
suggestivo. Che cioè il risultato, l'efficacia della poesia
gareggiasse nella capacità suggestiva ed evocativa con la musica,
questo può ragionevolmente considerarsi una sorta di unione con la
musica, ma è ovvio che la parola e il puro suono sono cose diverse,
così come lo è il movimento armonioso del corpo.
Direi
che unione di poesia e musica si realizza laddove la parola svolge la
stessa funzione di una melodia, e molti versi insieme quella di una
sinfonia, cioè la funzione evocatrice, allusiva, che è di per sé
fonte di sensazioni, sentimenti, fantasie la cui origine è del tutto
irrazionale e scaturisce dalle regioni ignote dell'anima,
dall'inconscio. Un esempio può essere offerto dai sonetti di
Shakespeare, pregevoli proprio per il loro carattere squisitamente
alogico e musicale, la stessa passione d'amore, che ne è l'argomento
esclusivo, difficilmente si può cogliere nella sua realtà, ma è
sempre sfumata, suggerita, evocata nel ricordo della bellezza come un
motivo musicale che ci ossessiona pur avendone perduto la traccia.
P.
253-54-55. Quando al dramma musicale si dedicano musicisti puri come
Mozart e Rossini ecco che esso scompare per dare luogo all'opera
lirica originaria dove la melodia la faccia da padrona. Allora la
musica governa sovrana e la poesia e la danza le sono sottomesse, è
impossibile la nascita del dramma perché il poeta non esercita più
il suo ruolo ma è una figura di secondo piano, è un librettista, un
rimaiolo che scrive secondo le esigenze del musicista creatore di
belle melodie. Solo in Wagner il poeta si è imposto al musicista e
infatti la sua musica è squisitamente evocativa, allude a qualcosa
fuori di sé o nascosto in sé.
Pur
essendo l'argomentazione di Schuré assai suggestiva, non mi convince
del tutto. Secondo lui con Wagner la musica si unisce finalmente alla
parola e non la sovrasta né la rende sua schiava perché è una
musica essenzialmente drammatica e scaturisce dall'impeto stesso
dell'azione scenica. A mio parere al contrario si tratta di una
musica che come ha bene intuito il Nietzsche costituisce lo “spirito”
della tragedia e perciò è prima e dopo di essa, tant'è vero che la
si apprezza maggiormente se ascoltata senza il canto degli attori,
separata dal testo del dramma. Allora si coglie veramente quello che
Schopenhauer intendeva per Volontà, per espressione della pura e
semplice Volontà nell'arte suprema e cioè nella musica. L'arte dei
suoni all'epoca di Wagner, e anche prima, era troppo evoluta, troppo
complessa per potere limitarsi ad essere ancella della parola, questo
poteva accadere soltanto all'epoca dei Greci, dal momento che essi
ignoravano tutte le risorse dell'armonia. E così si rivela
l'equivoco di fondo sul quale volle reggersi la teoria di Wagner e di
Schuré, il fatto che con Wagner e prima con Gluck si fosse ritornati
alla tragedia antica. Nulla di più falso e di più illusorio. La
musica dei Greci doveva essere di una semplicità veramente per noi
sbalorditiva, pari a una cantilena o al più ai canti gregoriani (
che già rappresentano uno sviluppo dell'arte ). Lo “spirito”
della musica è poi un altro equivoco, perché Nietzsche
probabilmente nella sua concezione della musica dionisiaca aspirava,
come poi dimostrò, a qualcosa di sostanzialmente diverso dalla
musica di Wagner, ma il fatto di aver dedicato la sua opera a
Riccardo Wagner ha contribuito in maniera irrimediabile
all'investitura del musicista tedesco quale restauratore dell'antica
tragedia.