domenica 16 luglio 2017

Il dramma musicale







Edouard Schuré Storia del dramma musicale ( 1872 )
Milano, Bottega di Poesia, 1924


L'indagine di S. coincide con l'asserto del Nietzsche nella Nascita della tragedia, anche il francese considera il dramma musicale “ la forma drammatica più elevata e più completa che l'arte umana è riuscita a creare. Questa forma apparve la prima volta, con una purezza e una maestà senza pari, nella tragedia greca. “ ( p. 11 )
P. 12. Quell'unità dell'Arte che i Greci avevano realizzato, quell'unità dell'Uomo, ora è distrutta nonostante il progresso della scienza e della tecnica, “ l'unità dell'uomo è distrutta, il suo equilibrio è rotto. Non altrimenti l'arte divina non è più viva : vive solo nelle sue parti. Le due Muse sorelle, che furono unite, sono adesso separate. Vuol forse dire questo che ciascuna basta a se stessa ? Ambedue lo credono, lo dicono; ma non è così, e istintivamente esse non fanno che cercarsi. “
P. 13. Sede dell'unità originaria di musica e poesia è il dramma musicale. Sia Shakespeare che Beethoven mostrano di anelare all'antica unità, ma è soprattutto Wagner colui che ha tentato di riunificare le due arti.
P. 20. “ Il popolo greco fu il popolo educatore per eccellenza. Se l'arte è stata lo scopo unico della sua vita, riconosciamo che tutta la sua vita, pubblica e privata, è stata un'opera d'arte. “ La scintilla divina che giace sopita nell'uomo dei secoli precedenti e seguenti si è rivelata appieno nel mondo ellenico e ha dato vita alla civiltà della bellezza, dell'umanità più elevata e aristocratica che ci sia mai stata. Schuré al contrario di Nietzsche punta il dito su quello che a lui sembra essere il pregio principale di quella civiltà, cioè l'equilibrio, la razionalità, l'armonia d'anima e corpo. Ma dopo tutto questa è una concezione che anche il Nietzsche condivide ( come tutti gli uomini colti del suo tempo ).
P. 22. “ Il genio ellenico culmina nell'arte tragica. Nel mito questo è il regno del mago Dioniso, che nel tempio augusto della tragedia svolge i destini degli uomini e degli dei. “ Come si vede, Schuré non si discosta poi molto dal dionisismo di Nietzsche.
P. 26. Il mito viene fatto risalire ai primordi della civiltà greca, quando l'uomo era ancora primitivo ma “ chi può assicurarci che l'uomo primitivo non abbia avuto un sentimento della vita più vero di noi, con tutte le nostre scienze e tutte le nostre filosofie ? “ L'ebbrezza pànica, la mistica unione col tutto, ecco gli stessi ingredienti del dionisismo nicciano : “ ebbrezza senza confini, profondo amplesso dello spirito e della natura, simile a quello della terra e del cielo nell'uragano. Da questo grande, ardente amplesso nacquero gli dei. “
P. 30. Se il Nietzsche ci parla di apollineo e dionisiaco, Schuré forse più esattamente si rifà ai due elementi opposti ma indispensabili dell'anima ellenica cioè quello orgiastico dei riti di Cibele e dei coribanti e quello euritmico dello Zeus pelasgico, simbolo di luce, saggezza e misura. Due entità opposte ma compenetrantisi, il Cielo e la Terra, Zeus e Cibele, il culto pelasgico e quello frigio sono per Schuré gli elementi originali di quell'antitesi che sta alla base della futura tragedia e che Nietzsche ha identificato in divinità posteriori e seguenti all'epoca omerica. L'interpretazione di Schuré mi sembra più calzante e attendibile.
P. 39-40. Importanza fondamentale della musica per lo sviluppo della lirica greca, nata appunto dalla stessa ispirazione musicale. Schuré intuisce molto bene che la metrica greca è prima di tutto notazione musicale e in ciò la lirica antica si distingue nettamente da quella moderna, in cui la metrica è un dettaglio secondario rispetto all'ispirazione poetica ( e infatti molta poesia moderna potrebbe anche essersi espressa in prosa, vedi ad es. Shakespeare che alterna versi a prosa ).
P. 40-47. Dopo le belle pagine dedicate a Saffo, Alceo, Alcmane e Pindaro, in cui si sottolinea l'importanza della coesistenza di musica e poesia, nonché della danza, soprattutto in Alcmane e Pindaro, ecco che si arriva al punto fondamentale per collegare quest'opera con quella di Nietzsche e cioè il culto di Dioniso.
P. 57. Schuré, trattando del culto dionisiaco, cita in nota La nascita della tragedia dallo spirito della musica di Nietzsche, e le assegna la data del 1870. Senza dubbio l'opera precede di qualche anno quella di Schuré, altrimenti è ovvio che il francese non l'avrebbe potuta citare. E' interessante, comunque, l'apprezzamento da parte di Schuré, quando sappiamo che in ambiente filologico tedesco il libro del Nietzsche fu piuttosto denigrato. D'altra parte tra i due autori vi sono non pochi punti in comune, uno dei quali è senza dubbio l'entusiasmo poetico.
P. 67. Generalmente in accordo con Nietzsche, Schuré attribuisce alle tragedie di Eschilo il preponderante peso del coro e l'impeto musicale che sostiene tutto l'impianto dell'opera. Con Sofocle comincia a stagliarsi sullo sfondo del coro l'eroe e ad essere rappresentato in modo più realistico. Tuttavia, se si sottrae alle tragedie di Sofocle il coro, le si priva della loro componente essenziale. Tanto in Eschilo che in Sofocle l'elemento religioso e musicale, cioè, per dirla con Nietzsche, dionisiaco, è inscindibile dall'opera drammatica.
P. 70. Non è detto esplicitamente, ma ( anche nel brano citato da Opera e dramma di R. Wagner ) è evidente che l'atto d'amore assoluto d'Antigone prelude al messaggio cristiano. Qui Schuré mostra il suo punto di vista radicalmente diverso da quello di Nietzsche, l'istinto dionisiaco viene superato dalla superiore coscienza dell'essere uomo.
P. 72. A proposito di Euripide Schuré si attiene sostanzialmente al giudizio di Nietzsche di cui riporta l'espressione secondo la quale Euripide portò sulla scena lo spettatore. Anche a parere di Schuré il senso critico è stato fatale ad Euripide perché ha soffocato il poeta ch'era in lui. Il giudizio sulla commedia di Aristofane e poi sul dramma “borghese” di Menandro è sempre concorde con quello di Nietzsche. L'Arte vivente della tragedia venne sostituita dalla letteratura così come al grande greco dell'epoca classica animato da eroismo e amore della misura e del bello, subentrò il greculo meschino dell'età romana.
NB : sia Schuré che Nietzsche ( cap. 11 ) riportano l'aneddoto riferito da Plutarco ne “ La morte degli oracoli “ e cioè il grido udito dal navigante che costeggiava l'isola di Paxo e che annunciava la morte di Pan. Questo racconto di Plutarco, diversamente interpretato da Frazer e Reinach, evidentemente colpì molto la fantasia dell'autore francese e del filosofo tedesco, sicuramente per il suo fascino romantico.
P. 114. Interessante, relativamente a Shakespeare, la considerazione della musica celeste del dramma “La tempesta” che si contrappone alle tempeste dell'anima proprie della precedente produzione artistica del grande inglese. Shakespeare è visto infatti come l'evocatore delle passioni più violente dell'animo, conoscitore di tutto quel mondo magmatico e vario che s'agita mirabilmente nel cuore umano.
P. 128. Nelle pagine precedenti Schuré delinea il ritratto artistico di lord Byron, genio del romanticismo ribelle, assetato di libertà, ma è nell'opera di Shelley che vede il ritorno al panteismo ellenico, la riconquista dell'armonia originaria perduta e di una musica che risulta dall'accordo universale di tutto il creato. Cfr. “Ode alla libertà” di Shelley ( si noti l'influsso su Carducci es. “Alle fonti del Clitumno” ) : “ poiché tu gemesti, non piangesti, allorché dal suo mare di morte – per uccidere e bruciare – il serpe di Galilea uscì, strisciando, fuori, e fece del tuo mondo un mucchio di rovine indistinguibili ! “ vedi p. 152, strofa 8 di “Ode to liberty”, in P. B. Shelley, Liriche e frammenti, a cura di Cino Chiarini, Firenze, Sansoni, 1985.
P. 135-136. Con Goethe ritorna il culto ellenico della bellezza vivente. Il poeta tedesco fonde insieme il ribellismo di Byron con la religiosità panteista di Shelley, filosofo e poeta è l'araldo d'una futura Ellade che sola può dare slancio allo spirito umano, per lui la natura è l'immagine, il corpo della divinità e la scienza non è un'applicazione arida all'osservazione dei fenomeni, ma la divinazione vera e propria del verbo divino che s'agita nella materia ( cfr. Italo Alighiero Chiusano, Vita di Goethe, per il panteismo di origine spinoziana del poeta tedesco ).
P. 145. Con Goethe la poesia ritorna al mito e “ al dramma ideale che rappresenta l'uomo eterno e innalza l'arte all'altezza di una religione. “ NB : “ La poesia, tornata con Shakespeare alla mimica viva e suggestiva, col Fausto ritorna verso la musica e già sembra tenderle la mano fin quasi a toccarla. “
P. 151. Dopo la storia della poesia da Dante a Goethe, inizia la storia della musica dal Rinascimento in poi. Quando con Goethe la poesia raggiunge il suo più alto grado di idealità tende a trasformarsi in musica, la quale in poesia non è testimoniata dalla sonorità verbale, si badi bene, ma dall'alto grado di universalità dei contenuti e di idealità d'espressione. Nella musica lo spirito umano viene a contatto con il mistero profondo della Vita universale, con la Volontà di cui aveva già parlato Schopenhauer. La concezione di Schuré nella sua esaltazione di Goethe e della musica ( nonché di Wagner ) si avvicina moltissimo a quella di Nietzsche. In fin dei conti Faust è un precursore di Zarathustra, forse un Zarathustra un po' meno rivoluzionario ( e per nulla misogino ! ).
P. 154. Interessante la nota a piè di pagina, nella quale Schuré rivela con chiarezza l'influsso diretto della filosofia di Schopenhauer nella sua concezione della musica. Del resto tale concezione è la stessa di Wagner, del romanticismo decadente. Ma in un punto Schuré non concorda con il filosofo tedesco e quindi neppure col Nietzsche, cioè nel fatto di considerare il noumeno, l'al di là del fenomeno, il Wille, come Natura incosciente. Per Schuré si tratta invece di Natura cosciente e in questo la sua posizione si avvicina a quella dello stoicismo e di Spinoza.
P. 169, Schuré, a proposito del Palestrina, definisce la musica moderna come “ sentimento infinito “, mentre quella di Palestrina sarebbe armonia pura.
P. 177, Schuré ci informa riguardo alla musica greca in maniera decisamente dettagliata, distinguendo i modi musicali ellenici, cioè lo ionio, il lidio, il dorio, il frigio. Queste nozioni non ci sono in alcun modo fornite dal Nietzsche la cui argomentazione si mantiene sempre piuttosto generica. Il passaggio dalla melodia all'armonia si ha con la fusione dei vari e distinti modi e questo avviene con la musica rinascimentale.
P. 185, Schuré fa derivare la sinfonia dalla danza : “ La sinfonia di Haydn è dunque la danza armonizzata “. E inventore della sinfonia è appunto secondo S. proprio Haydn.
P. 186, NB : importante l'affermazione secondo la quale “ Mozart diresse il fiume inesausto dell'armonia nell'intimo cuore della melodia come per darle tutto il fervore del sentimento che risiede nel cuore dell'uomo. “ Inoltre “ fa cantare gli strumenti con una passione in cui si sente il desiderio della voce umana. “ Dunque l'intenzione della musica, se non vuol naufragare nel mare dei suoni, è pur sempre quello di volgersi alla poesia, cioè alla creazione di un cosmo di immagini, di sentimenti, di pensieri in germe.
P. 189. Beethoven è definito lo Shakespeare della musica. In particolare è apprezzata la famosa sonata patetica : “ Il fiume della sua melodia scorre libero e grandioso al di sopra delle dighe formali. Ci incanta e ci avvolge quella melodia infinita, in tanti dei suoi adagio. Ricordiamo qui solo l'adagio cantabile della sonata patetica. Come non riconoscervi il canto che vien direttamente dall'anima, prima e al di sopra del linguaggio articolato, dolce cantilena che afferma un amore ineffabile di cui l'obbietto ci sfugge, ma di cui l'essenza divina si espande in un abbandono, in una dedizione senza limiti ? “
Seguono osservazioni tratte anche dagli scritti di Wagner sulle sinfonie di Beethoven, tra le quali la nona esprime una sorta di religione dionisiaca, un inno alla vita, alla divinità che si manifesta in tutti gli uomini, alla fratellanza universale.
P. 226. Origine artificiale dell'opera lirica. Il tentativo di unificare poesia e musica sfocia nel melodramma, ma la sua origine non è spontanea, esso nasce nelle corti dei signori e non è un prodotto ingenuo del popolo né corrisponde a un intimo bisogno dell'anima.
P. 232 : accusa l'opera di origine italiana e in genere l'opera lirica di avere realizzato un'illusoria fusione delle tre arti, di fatto di avere messo insieme parti tra loro profondamente diverse e di avere dato vita a un meccanismo in cui trionfa l'artificio a discapito della naturalezza, tutto insomma è finto nell'opera lirica, è affettazione e subordinazione alle esigenze melodiche di un momento culminante, avendo come mira un semplice effetto musicale che risalta come una macchia di colore su un abito logoro e sbiadito.
P. 237. Il capitolo su Gluck è originale per la tesi che individua nel compositore tedesco il creatore del dramma musicale, come Beethoven è stato l'Omero della sinfonia, Gluck è stato l'Eschilo del dramma musicale ed ha fatto rivivere l'essenza dell'antica tragedia greca. Questo il parere di Schuré, che considera l'Orfeo di Gluck come la rivelazione del suo genio musicale e il ritorno della tragedia e del mondo ellenico. Effettivamente i recitativi di Gluck insieme ai cori hanno qualcosa della tragedia antica. Ma questo insistere sul genio di Gluck in quanto interprete musicale del mito di Orfeo ed Euridice emulo degli antichi tragici greci, anzi, in quanto la musica dei moderni con la scoperta dell'armonia è superiore a quella degli antichi, superiore addirittura agli stessi Greci, mi sembra esagerato. Del resto nella tragedia antica non era certo la musica l'elemento fondamentale, ma piuttosto la parola, anche se il motivo ispiratore poteva condensarsi in qualche melodia. Mi sembra che, come in genere nella cultura ottocentesca, la concezione dell'unione primitiva di poesia, musica e danza fosse basata sull'equivoco, e l'equivoco era che queste arti fossero per così dire fuse nella tragedia o prima nell'opera di Pindaro. Ma pensare a una intima fusione delle arti è un assurdo. Si può invece pensare a un linguaggio poetico, qual era appunto, estremamente metaforico, allusivo e talvolta misterioso e per ciò tanto più suggestivo. Che cioè il risultato, l'efficacia della poesia gareggiasse nella capacità suggestiva ed evocativa con la musica, questo può ragionevolmente considerarsi una sorta di unione con la musica, ma è ovvio che la parola e il puro suono sono cose diverse, così come lo è il movimento armonioso del corpo.
Direi che unione di poesia e musica si realizza laddove la parola svolge la stessa funzione di una melodia, e molti versi insieme quella di una sinfonia, cioè la funzione evocatrice, allusiva, che è di per sé fonte di sensazioni, sentimenti, fantasie la cui origine è del tutto irrazionale e scaturisce dalle regioni ignote dell'anima, dall'inconscio. Un esempio può essere offerto dai sonetti di Shakespeare, pregevoli proprio per il loro carattere squisitamente alogico e musicale, la stessa passione d'amore, che ne è l'argomento esclusivo, difficilmente si può cogliere nella sua realtà, ma è sempre sfumata, suggerita, evocata nel ricordo della bellezza come un motivo musicale che ci ossessiona pur avendone perduto la traccia.
P. 253-54-55. Quando al dramma musicale si dedicano musicisti puri come Mozart e Rossini ecco che esso scompare per dare luogo all'opera lirica originaria dove la melodia la faccia da padrona. Allora la musica governa sovrana e la poesia e la danza le sono sottomesse, è impossibile la nascita del dramma perché il poeta non esercita più il suo ruolo ma è una figura di secondo piano, è un librettista, un rimaiolo che scrive secondo le esigenze del musicista creatore di belle melodie. Solo in Wagner il poeta si è imposto al musicista e infatti la sua musica è squisitamente evocativa, allude a qualcosa fuori di sé o nascosto in sé.
Pur essendo l'argomentazione di Schuré assai suggestiva, non mi convince del tutto. Secondo lui con Wagner la musica si unisce finalmente alla parola e non la sovrasta né la rende sua schiava perché è una musica essenzialmente drammatica e scaturisce dall'impeto stesso dell'azione scenica. A mio parere al contrario si tratta di una musica che come ha bene intuito il Nietzsche costituisce lo “spirito” della tragedia e perciò è prima e dopo di essa, tant'è vero che la si apprezza maggiormente se ascoltata senza il canto degli attori, separata dal testo del dramma. Allora si coglie veramente quello che Schopenhauer intendeva per Volontà, per espressione della pura e semplice Volontà nell'arte suprema e cioè nella musica. L'arte dei suoni all'epoca di Wagner, e anche prima, era troppo evoluta, troppo complessa per potere limitarsi ad essere ancella della parola, questo poteva accadere soltanto all'epoca dei Greci, dal momento che essi ignoravano tutte le risorse dell'armonia. E così si rivela l'equivoco di fondo sul quale volle reggersi la teoria di Wagner e di Schuré, il fatto che con Wagner e prima con Gluck si fosse ritornati alla tragedia antica. Nulla di più falso e di più illusorio. La musica dei Greci doveva essere di una semplicità veramente per noi sbalorditiva, pari a una cantilena o al più ai canti gregoriani ( che già rappresentano uno sviluppo dell'arte ). Lo “spirito” della musica è poi un altro equivoco, perché Nietzsche probabilmente nella sua concezione della musica dionisiaca aspirava, come poi dimostrò, a qualcosa di sostanzialmente diverso dalla musica di Wagner, ma il fatto di aver dedicato la sua opera a Riccardo Wagner ha contribuito in maniera irrimediabile all'investitura del musicista tedesco quale restauratore dell'antica tragedia.










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