Axat,
I confini dell'infinito, 2018
Alessio
è uno scrittore abbastanza affermato e che può considerarsi felice
perché circondato dall'affetto della moglie e di sua figlia a cui
rivolge tutte le sue attenzioni e il suo amore. Purtroppo la morte
della bambina in un brutto incidente lo priva per sempre di questo
legame, che si trasforma nella catena della depressione e della
disperazione. Affranto, cerca conforto in una ricerca esistenziale
che lo porta sul confine tra fede e incredulità, tra Dio e il nulla.
La
trama è, come si vede, piuttosto esile, ma il pregio del romanzo
risiede proprio in questo cammino ansioso verso una risposta alle
eterne domande dell'uomo : “ perché vivo, chi sono, esiste una
vita dopo la morte ? “
La
narrazione procede vertiginosa nella tensione rivolta a questi
interrogativi e a questa indagine che si può giustamente definire
filosofica. Perché di filosofia si tratta, anche se in una
veste letteraria apparentemente meno impegnativa. Infatti, nonostante
alcuni momenti in cui questa ricerca sembra arrestarsi in asserti
poco credibili o in illazioni un po' ingenue, dovute essenzialmente
all'ansia di conoscenza dei personaggi, essa avanza in un ritmo
inarrestabile verso una meta ancora lontana, ma che è destino
cercare in uno slancio nobile e direi quasi eroico.
Alla
lettura vengono in mente le parole di Nietzsche nel Così parlò
Zarathustra : “ Qual è la massima esperienza che possiate
vivere ? L'ora del grande disprezzo. L'ora in cui vi prenda lo
schifo anche per la vostra felicità e così pure per la vostra
ragione e la vostra virtù “ ( p. 7, ed. Adelphi ).
In
effetti trasuda da queste pagine un senso di nausea nei confronti
dell'attuale società consumistica, ammantata del suo ciarpame
pseudoscientifico e delle sue fedi buone per tappare la bocca alla
coscienza. Tale sconforto genera l'aforisma : “ La disperazione è
l'unica forma di serenità concessa ai miseri mortali “ ( p. 90 ).
E naturalmente a questa consapevolezza si accompagna la chiusura a
ogni entusiasmo, a ogni spensierato slancio verso la vita, e subentra
il labirinto della depressione : “ … restava solo lo spettacolo
uniforme del soffitto, cielo cieco senza profondità e senza nuvole “
( p. 102 ). Ma a questo tedio della vita si alternano i ricordi,
quali squarci di nubi irradiate nella tempesta e tra questi
l'immagine dell'orto del babbo e i variopinti ortaggi e il brillare
dell'acqua nei solchi e l'edenica vita delle formiche su per i
tronchi degli alberi. Ricordi spesso dell'autore e attribuiti al
personaggio, come appunto questo. Rammento che anni fa ( forse nel
1998 ? ) l'autore mi parlava dell'orto coltivato da suo padre.
E
ai ricordi si accompagnano impressioni bellissime quali anse di calme
acque nei meandri delle correnti, come gli occhi di un'anziana che
fissano per un istante Alessio : “ Può uno sguardo contenere tutto
l'universo ? Possono tutti i petali del cielo, le onde degli oceani,
l'erba dei prati, le foglie degli alberi, i chicchi degli astri …
riflettersi nel lago degli occhi ? Vi si può intravedere il volto
di Dio ? “ ( p. 125 )
Il
pensiero dell'autore è particolarmente rivolto alla religione e al
problema insolubile della morte, come della vita. Il suo personaggio
Alessio è ossessionato dalla presenza della morte e a un certo punto
( p. 130 ) la sua immaginazione si volge a considerare un possibile
al di là. Riflessioni di qualsiasi età ed epoca, ma alle quali non
c'è risposta. Solo la fede può darne, ma quale fede ? E questo è
un altro problema. Perché la fede tradizionale, quella cattolica,
non si mostra all'altezza di così arduo compito, ma piuttosto come
un tradimento dell'autentico messaggio di Cristo. E così questo
romanzo si rivela oltre una confessione anche un cammino verso la
vera fede, la definitiva speranza. Immagino che l'autore non rinunci
a ritenersi cristiano, dal momento che la figura di Cristo ispira
spesso i dialoghi tra gli amici di Alessio e l'intonazione del
racconto nella rappresentazione del dolore umano, della purezza e
sincerità degli affetti manifesta una sensibilità profondamente
cristiana. Quello che è certo è il rifiuto di qualsiasi
istituzione, di qualsiasi chiesa o assemblea o burocrazia
sacerdotale, il nostro autore è attratto invece dalla dimensione
privata, personale della religione, intesa semplicemente come
itinerario dell'anima verso Dio. E dunque viene privilegiata la
concezione del saggio Aurelio, altro personaggio e alter ego di
Alessio, di un cristianesimo “sentimentale” ( p. 135 ), dove il
rapporto con Dio si risolve e si compie nel rapimento dell'Amore e
nel riscatto definitivo dal Male e dalla Morte. Altrimenti, che cosa
ci rimane ? L' “ inutile sopravvivenza … disarticolata in
giorni, disarticolati in parti tutte egualmente insopportabili “ (
p. 136 ). Una vita senza senso non può che condurre inevitabilmente
ad un atroce stato di accidia, quella che oggi viene definita
depressione. Uno spiraglio di momentanea consolazione può essere
offerto dalla poesia. Ed ecco una bellissima analisi, frutto di un
ricordo scolastico di Alessio quale insegnante di liceo, della lirica
di Montale “Riviere”, e la conclusione : “ … l'Arte è un
lavacro che ci monda da ogni impurità e ci conduce al limite del
silenzio, là dove il timbro umano si trasfigura nella musica
dell'infinito “ ( p. 137 ).
E
infatti dopo un tragico epilogo, in cui la figura di Alessio sembra
dissolversi nel nulla, il romanzo prende congedo ( forse non
definitivo ) con la poesia intitolata “Caravaggio”, l'artista
incompreso e maledetto, e termina in un tramonto dove i suoni
della lirica si confondono con le nubi purpuree e si disperdono oltre
i confini dell'infinito.
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