sabato 15 dicembre 2018

Axat, I confini dell'infinito




Axat, I confini dell'infinito, 2018



Alessio è uno scrittore abbastanza affermato e che può considerarsi felice perché circondato dall'affetto della moglie e di sua figlia a cui rivolge tutte le sue attenzioni e il suo amore. Purtroppo la morte della bambina in un brutto incidente lo priva per sempre di questo legame, che si trasforma nella catena della depressione e della disperazione. Affranto, cerca conforto in una ricerca esistenziale che lo porta sul confine tra fede e incredulità, tra Dio e il nulla.
La trama è, come si vede, piuttosto esile, ma il pregio del romanzo risiede proprio in questo cammino ansioso verso una risposta alle eterne domande dell'uomo : “ perché vivo, chi sono, esiste una vita dopo la morte ? “
La narrazione procede vertiginosa nella tensione rivolta a questi interrogativi e a questa indagine che si può giustamente definire filosofica. Perché di filosofia si tratta, anche se in una veste letteraria apparentemente meno impegnativa. Infatti, nonostante alcuni momenti in cui questa ricerca sembra arrestarsi in asserti poco credibili o in illazioni un po' ingenue, dovute essenzialmente all'ansia di conoscenza dei personaggi, essa avanza in un ritmo inarrestabile verso una meta ancora lontana, ma che è destino cercare in uno slancio nobile e direi quasi eroico.
Alla lettura vengono in mente le parole di Nietzsche nel Così parlò Zarathustra : “ Qual è la massima esperienza che possiate vivere ? L'ora del grande disprezzo. L'ora in cui vi prenda lo schifo anche per la vostra felicità e così pure per la vostra ragione e la vostra virtù “ ( p. 7, ed. Adelphi ).
In effetti trasuda da queste pagine un senso di nausea nei confronti dell'attuale società consumistica, ammantata del suo ciarpame pseudoscientifico e delle sue fedi buone per tappare la bocca alla coscienza. Tale sconforto genera l'aforisma : “ La disperazione è l'unica forma di serenità concessa ai miseri mortali “ ( p. 90 ). E naturalmente a questa consapevolezza si accompagna la chiusura a ogni entusiasmo, a ogni spensierato slancio verso la vita, e subentra il labirinto della depressione : “ … restava solo lo spettacolo uniforme del soffitto, cielo cieco senza profondità e senza nuvole “ ( p. 102 ). Ma a questo tedio della vita si alternano i ricordi, quali squarci di nubi irradiate nella tempesta e tra questi l'immagine dell'orto del babbo e i variopinti ortaggi e il brillare dell'acqua nei solchi e l'edenica vita delle formiche su per i tronchi degli alberi. Ricordi spesso dell'autore e attribuiti al personaggio, come appunto questo. Rammento che anni fa ( forse nel 1998 ? ) l'autore mi parlava dell'orto coltivato da suo padre.
E ai ricordi si accompagnano impressioni bellissime quali anse di calme acque nei meandri delle correnti, come gli occhi di un'anziana che fissano per un istante Alessio : “ Può uno sguardo contenere tutto l'universo ? Possono tutti i petali del cielo, le onde degli oceani, l'erba dei prati, le foglie degli alberi, i chicchi degli astri … riflettersi nel lago degli occhi ? Vi si può intravedere il volto di Dio ? “ ( p. 125 )
Il pensiero dell'autore è particolarmente rivolto alla religione e al problema insolubile della morte, come della vita. Il suo personaggio Alessio è ossessionato dalla presenza della morte e a un certo punto ( p. 130 ) la sua immaginazione si volge a considerare un possibile al di là. Riflessioni di qualsiasi età ed epoca, ma alle quali non c'è risposta. Solo la fede può darne, ma quale fede ? E questo è un altro problema. Perché la fede tradizionale, quella cattolica, non si mostra all'altezza di così arduo compito, ma piuttosto come un tradimento dell'autentico messaggio di Cristo. E così questo romanzo si rivela oltre una confessione anche un cammino verso la vera fede, la definitiva speranza. Immagino che l'autore non rinunci a ritenersi cristiano, dal momento che la figura di Cristo ispira spesso i dialoghi tra gli amici di Alessio e l'intonazione del racconto nella rappresentazione del dolore umano, della purezza e sincerità degli affetti manifesta una sensibilità profondamente cristiana. Quello che è certo è il rifiuto di qualsiasi istituzione, di qualsiasi chiesa o assemblea o burocrazia sacerdotale, il nostro autore è attratto invece dalla dimensione privata, personale della religione, intesa semplicemente come itinerario dell'anima verso Dio. E dunque viene privilegiata la concezione del saggio Aurelio, altro personaggio e alter ego di Alessio, di un cristianesimo “sentimentale” ( p. 135 ), dove il rapporto con Dio si risolve e si compie nel rapimento dell'Amore e nel riscatto definitivo dal Male e dalla Morte. Altrimenti, che cosa ci rimane ? L' “ inutile sopravvivenza … disarticolata in giorni, disarticolati in parti tutte egualmente insopportabili “ ( p. 136 ). Una vita senza senso non può che condurre inevitabilmente ad un atroce stato di accidia, quella che oggi viene definita depressione. Uno spiraglio di momentanea consolazione può essere offerto dalla poesia. Ed ecco una bellissima analisi, frutto di un ricordo scolastico di Alessio quale insegnante di liceo, della lirica di Montale “Riviere”, e la conclusione : “ … l'Arte è un lavacro che ci monda da ogni impurità e ci conduce al limite del silenzio, là dove il timbro umano si trasfigura nella musica dell'infinito “ ( p. 137 ).
E infatti dopo un tragico epilogo, in cui la figura di Alessio sembra dissolversi nel nulla, il romanzo prende congedo ( forse non definitivo ) con la poesia intitolata “Caravaggio”, l'artista incompreso e maledetto, e termina in un tramonto dove i suoni della lirica si confondono con le nubi purpuree e si disperdono oltre i confini dell'infinito.


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