Walter
Benjamin, Liberami dal tempo e altre poesie, cura e traduzione
di Claudia Ciardi, Pistoia, Via del vento, 2011
Sono
sonetti dedicati a un uomo, un giovane poeta morto prematuramente nel
1914. Ebbene per lo stile e per la forma queste poesie suggeriscono
un nome, che forse potrà sembrare un azzardo o forse introdurre un
confronto troppo facile e anacronistico : Shakespeare. In effetti
subito a una prima lettura è stata questa l'impressione : questi
sonetti assomigliano a quelli di Shakespeare. E non solo perché
siano sonetti rivolti a un uomo ma ovviamente per la loro foggia, il
loro stile, la loro essenza, il fondo musicale, cangiantesi in
metafore e analogie come riverbero marino del mare infinito. In
breve, si tratta di poesia simbolista, come del resto la poesia del
Nord, da Shakespeare a Hoelderlin.
E'
stato Edmund Wilson a proposito del verso di Eliot a sottolineare il
fatto che nella sua poesia confluisce tutta quella tradizione del
blank verse che ha in Shakespeare il rappresentante più famoso.
Scrive Wilson : “ Non è forse questo il linguaggio naturale della
poesia ? Non è la norma rispetto alla quale, nella letteratura
inglese, il Settecento rappresenta un'eresia e alla quale i romantici
si sforzarono di ritornare ? “ (1)
E
il dionisiaco Hoelderlin e il mistico Rilke sono evidenti
manifestazioni della natura simbolista cioè della natura musicale
della poesia nordica, che non si sviluppa seguendo le tracce
consapevoli di un disegno, ma piuttosto scaturisce delle profondità
dell'animo o dal subconscio con l'impeto di un prodigioso turbine.
E
come evidenti risultano le somiglianze tra la poesia di Hoelderlin e
quella dell'americano Edgar Allan Poe ( si confronti ad esempio l'
“Inno alla dea dell'armonia” con “Al Aaraaf” ) (2), così
evidenti sono le analogie tra questi sonetti di Benjamin e quelli di
Rilke.
Prendiamo
in considerazione quale esempio questa poesia della raccolta di
Benjamin :
Siccome
già perduta nel fondo mare dei dolori
della
tua vita rotola l'onda, perdona
il
sommesso canto che l'amante abbandonato
versa
dalla bocca leggera dei folli
il
canto che nella dimenticata oscurità come un brigante
sui
passi montani tra cui sei nato
erra
fino alla cima, semmai le spente orecchie
il
tuo affanno nel mulinare del vento avessero raccolto
piangendo
il tempo di un'ora benevola
quando
tendesti alla sua rima e un dolente fulgore
dal
canto le accordasti di una bocca accesa.
Tu
ancora di amare strofe intrecciavi la corona
prima
che tra bianche onde i suoi tralci spogli
nei
capelli neri ti torcesse il dio dei morti.
(
p. 9 )
Tentiamo
ora un accostamento a un sonetto di Shakespeare :
Dalle
belle creature un frutto amiamo,
che
mai non muoia di beltà la rosa
ma
come al tempo ceda, maturando,
rechi
un tenero erede la memoria.
Ma
ai tuoi splendenti occhi sposo sei
tu,
di te nutri il fuoco tuo, la luce,
dov'è
abbondanza carestia facendo,
a
te, alla tua dolce essenza crudo.
Tu,
l'ornamento fresco ora del mondo,
unico
araldo a gaia primavera,
il
tuo contento seppellisci in boccio,
tenero
avaro, e ammucchiando sperperi.
Pietà del mondo !
O quanto al mondo devi
ingordo inghiotti, e
nella tomba e in te. (3)
Passiamo
ora a una poesia di Rilke, “Apollo primitivo” : (4)
Come
talvolta in mezzo ai rami
ancora
spogli un mattino sorge, e in quel momento
è
primavera : così nulla affiora
dal
suo capo, che il subito portento
della
poesia non ci ferisca; il muro
d'ombra
è lontano dal suo sguardo incauto
troppo
fresca è la fronte per il lauro,
e
solo tardi all'arco delle pure
sue
sopracciglia sorgerà il rosaio,
da
cui foglie cadute e sparse il lieve
tremito
della bocca veleranno,
quella
che tace adesso e accenna solo
a
un sorriso da cui nitida beve
il
canto come un'acqua nella gola.
Alla
poesia di Benjamin si potrebbe anche accostare quella di Georg Trakl
“Al ragazzo Elis” : (5)
Elis,
se il merlo chiama da nere foreste,
allora
è il tuo tramonto.
Bevono
le tue labbra il fresco di azzurre sorgenti.
Lascia,
se la tua fronte piano sanguina,
le
remote leggende
e
il presagio oscuro del volo.
Tu
che vai con passi taciti nella notte
carica
di grappoli purpurei
levi
più belle nell'azzurro le braccia.
Batte
un cespo di rovi
dove
i tuoi occhi guardano, lunari.
Elis
da quanto tempo tu sei morto.
Il
tuo corpo è un giacinto
in
cui fruga con ceree dita un monaco.
Il
silenzio è una nera grotta; sbuca
di
tanto in tanto timida una fiera,
abbassa
lenta le palpebre gravi.
Nera
rugiada cola alle tue tempie,
ultimo
oro di stelle cadute.
Si
notino elementi di somiglianza in questo sonetto di Benjamin ( p.12 )
:
Una
volta delle sue orme era piena la città bianca
come
una canzone moriva nelle sue finestre,
riflesso
il suo sguardo, e il giorno si schermiva
fissandolo
da cieli inermi
che
ardenti pendevano sull'antico parco
dove
al battito d'onda di grazie offerte
lo
circuì un torpore il cui verde riflusso slittò via
alla
nascita dei soli, quando in segreta forza
angeli
lo sottrassero per paesi più distanti
d'imbiancate
montagne dove l'anima dell'amica
precipitando
volteggiava abiti di lino.
Il
giovane un groviglio di schegge luccicanti
l'involse,
sul capo stanco si curvò
dallo
strale di un'eterna luna la fronte circonfusa.
Che
dire di fronte a tanta bellezza ? La poesia ha i suoi misteri che si
rivelano nell'intimo dei suoi fedeli. Posso soltanto notare che la
lettura di esse non è agevole e meno che mai la possibilità di
attribuire ad esse un senso logico. Esse come un brano musicale
parlano direttamente alla coscienza, senza l'intermediario del
raziocinio, agiscono come una magia su di noi e ci trasformano. E
questo incanto avviene mediante quell'oscuro procedimento che è
chiamato “analogia” (6) e che è una sorta di metafora estrema i
cui confini si perdono al limite dell'incomprensibile. Perché non è
la ragione che deve comprendere, né la poesia è fatta di ragione
(7). Si può forse definire l'emozione che suscita un quadro ? O il
brivido che ci pervade all'ascolto di una sinfonia ?
Ringraziamo
dunque Claudia Ciardi per averci offerto questa bella e accurata
traduzione, che suggerisce la profondità dell'originale e ne evoca
il segreto.
- Edmund Wilson, Il castello di Axel, Milano, SE, 1996, p. 21.
- E' evidente l'influsso della poesia di Schiller, “Inno alla gioia” ( “An die Freude”, 1785 ), l'inno di Hoelderlin è del 1792, ma il suo discorso poetico si trasforma in un fiume di immagini musicali.
- W. Shakespeare, I sonetti, a cura di Rina Sara Virgillito, Roma, Newton Compton, 1999, p. 31, sonetto n.1.
- Rainer Maria Rilke, Poesie, tradotte da Giaime Pintor, con due prose dai quaderni di Malte Laurids Brigge, Torino, Einaudi, 1983, E-Book, p. 13.
- Ibidem, p. 69.
- E' Baudelaire a fornirci una delucidazione assai suggestiva del termine nei Paradis artificiels (1860), cap. IV, a proposito ovviamente dell'ebbrezza provocata dall'hashish.
- Bisogna ricordare a questo proposito il magistero di Stéphane Mallarmé, i cui sonetti (1893) rappresentano un modello sicuramente presente a Benjamin.
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