Platone,
Liside, ( Tutte
le opere, Roma, Newton,
1997, vol. III )
Walter
Pater, Il Rinascimento,
Napoli, Ricciardi, 1925, p. 166, a proposito di Platone : “ … ma
l'elemento di affinità ch'egli presenta con Winckelmann è quello
completamente greco, alieno dal mondo cristiano, rappresentato da
quel gruppo di brillanti giovani nel Lysis,
non anche tocco da alcuna malattia spirituale, ma che trova il fine
d'ogni ricerca nello apparire della forma umana e nel moto continuo
di una vita bella. “
207a
… οὐ
τὸ καλὸς εἶναι μόνον ἄξιος ἀκοῦσαι,
ἀλλ᾽ ὅτι καλός τε κἀγαθός.
(
“ … degno non solo della sua fama di bel ragazzo, ma anche di
eccellente. “, op. cit. p. 155 ). Viene qui sottolineata la
concezione greca della bellezza, che non è semplicemente simmetria
di forme, ma bellezza interiore, valore, virtù. Ciò è detto nei
riguardi di Liside, il bel giovinetto di cui è innamorato Ippotale.
Il dialogo sfrutta le risorse dialettiche dei sofisti e abbonda di
giochi di parole girando intorno alla definizione dell'amicizia. Ma
pur partendo da una situazione iniziale improntata a una vaga
sensualità e a un tono apparentemente superficiale, via via si svela
l'indagine e la malia dell'indagatore. L'opera brilla per la fresca
naturalezza delle risposte e l'ironico e inelusibile assedio delle
domande. Pertanto si giunge all'inevitabile definizione del filosofo
: colui che sa di non sapere e che non essendo né assolutamente
buono né assolutamente cattivo è il naturale amante del bene,
perché appunto è alla sua ricerca e ne sente la mancanza.
Caratteristica
del dialogo è di non arrivare a nessuna conclusione. E infatti, dopo
un gran discorrere su cosa è l'amicizia e vari tentativi di definire
l'amico partendo dal verso di Omero ( Odissea,
XVII, 218 ) che “ il dio conduce sempre il simile verso il simile “
e ribaltando la sentenza di questo verso per poi ritornare a
confermarla, come un serpente che si morde la coda, si giunge di
nuovo al punto di partenza e non si capisce più nulla. Ma il
messaggio si coglie : non è il raggiungimento della meta che conta,
è la ricerca di essa che conta, perché il filosofo è colui che
cerca la verità, non è il saggio che la possiede. Infatti chi è
già sapiente non è più filosofo perché possiede la sapienza e chi
è malvagio non può amarla, solo chi non possiede la sapienza, ma ne
sente la mancanza perché non è malvagio, la cerca ed è filosofo.
La filosofia dunque è questo amore per la sapienza e non deve dare
necessariamente delle risposte, infatti essa esaurisce il suo compito
essenziale nelle domande.
E
nella descrizione dell'atteggiamento di Menesseno e Liside, del
pudore da innamorato di Ippotale e nelle scene di vita quotidiana ( i
pedagoghi che sul far della sera vengono a prendere i loro pupilli
per portarli a casa ) traspare la profonda umanità di Platone, la
sua “simpatia” ossia la consapevolezza della comune natura umana
e la condivisione dei sentimenti e delle emozioni. Platone sa di
essere un uomo che cerca la verità, ma non l'ha ancora raggiunta,
tant'è vero che il protagonista del dialogo è Socrate, colui che sa
di non sapere. Forse nel Timeo
potrà apparire come chi ha colto ormai la verità e conosce, ma io
non credo a un Platone dogmatico, perché nel Timeo
dopo tutto espone più che altro le tesi pitagoriche che in qualche
modo gli danno ragione dei fenomeni del mondo. E se oggi proviamo
interesse per gli scritti di Platone non è certo per la scienza del
Timeo.
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