La somma della teoria del
piacere, e si può dir anche, della natura dell’animo nostro e di qualunque
vivente, è questa. Il vivente si ama senza limite nessuno, e non cessa mai di
amarsi. Dunque non cessa mai di desiderarsi il bene, e si desidera il bene
senza limiti. Questo bene in sostanza non è altro che il piacere. Qualunque
piacere ancorchè grande, ancorchè reale, ha limiti. Dunque nessun piacere
possibile è proporzionato ed uguale alla [647]misura dell’amore che il
vivente porta a se stesso. Quindi nessun piacere può soddisfare il vivente. Se
non lo può soddisfare, nessun piacere, ancorchè reale astrattamente e
assolutamente, è reale relativamente a chi lo prova. Perchè questi desidera
sempre di più, giacchè per essenza si ama, e quindi senza limiti. Ottenuto
anche di più, quel di più similmente non gli basta. Dunque nell’atto del
piacere, o nella felicità, non sentendosi soddisfatto, non sentendo pago il
desiderio, il vivente non può provar pieno piacere; dunque non vero piacere,
perchè inferiore al desiderio, e perchè il desiderio soprabbonda. Ed eccoti la
tendenza naturale e necessaria dell’animale all’indefinito, a un piacere senza
limiti. Quindi il piacere che deriva dall’indefinito, piacere sommo possibile,
ma non pieno, perchè l’indefinito non si possiede, anzi non è. E bisognerebbe
possederlo pienamente,
e al tempo stesso indefinitamente, perchè l’animale fosse pago, cioè felice, cioè l’amor proprio suo che
non ha limiti, fosse definitamente soddisfatto: cosa [648]contraddittoria
e impossibile. Dunque la felicità è impossibile a chi la desidera, perchè il
desiderio, sì come è desiderio assoluto di felicità, e non di una tal felicità,
è senza limiti necessariamente, perchè la felicità assoluta è indefinita, e non
ha limiti. Dunque questo desiderio stesso è cagione a se medesimo di non poter
essere soddisfatto. Ora questo desiderio è conseguenza necessaria, anzi si può
dir tutt’uno coll’amor proprio. E questo amore è conseguenza necessaria della
vita, in quell’ordine di cose che esiste, e che noi concepiamo, e altro non
possiamo concepire, ancorchè possa essere, ancorchè fosse realmente. Dunque
ogni vivente, per ciò stesso che vive (e quindi si ama, e quindi desidera
assolutamente la felicità, vale a dire una felicità senza limiti, e questa è
impossibile, e quindi il desiderio suo non può esser soddisfatto) perciò
stesso, dico, che vive, non può essere attualmente felice. E la felicità ed il
piacere è sempre futuro, cioè non esistendo, nè potendo esistere realmente,
esiste solo nel desiderio del vivente, e nella speranza, o aspettativa che ne
segue. Le [649]présent n’est jamais
notre but; le passé et le présent sont nos moyens; le seul avenir est notre
objet: ainsi nous ne vivons pas, mais nous espérons de vivre, dice Pascal. Quindi segue che il più felice possibile, è il più
distratto dalla intenzione della mente alla felicità assoluta. Tali sono gli
animali, tale era l’uomo in natura. Nei quali il desiderio della felicità
cangiato nei desiderii di questa o di quella felicità, o fine, e soprattutto
mortificato e dissipato dall’azione continua, da’ presenti bisogni ec. non
aveva e non ha tanta forza di rendere il vivente infelice. Quindi l’attività
massimamente, è il maggior mezzo di felicità possibile. Oltre l’attività,
altri mezzi meno universali o durevoli o valevoli, ma pur mezzi, sono gli altri
da me notati nella teoria del piacere, p.e. (ed è uno de’ principali) lo
stupore 1. di carattere e d’indole: gli uomini così fatti sono i più felici:
gli uomini incapaci di questa qualità, sono i più infelici: sii grande e infelice, detto
di D’Alembert, Éloges de l’Académie Françoise (così, Françoise) dice la natura agli uomini grandi, agli uomini
sensibili, passionati ec.: il senso vivo del desiderio di felicità li tormenta:
questo desiderio[650]bisogna sentirlo il meno possibile, quantunque
innato, e continuo necessariamente. 2. derivato da languore o torpore ec.
artefatto, come per via dell’oppio, o proveniente da lassezza ec. ec. 3.
derivato da impressioni straordinarie, dalla maraviglia di qualunque sorta, da
avvenimenti, da cose vedute, udite ec. insomma da sensazioni straordinarie di
qualsivoglia genere: 4. dalla immaginazione, dall’estasi che deriva dalla
fantasia, da un sentimento indefinito, dalla bella natura ec. e v. la teoria
del piacere. Notate che l’immaginazione la vivacità, la sensibilità, le quali
nocciono alla felicità per la parte dello stupore, giovano per la parte
dell’attività. E perciò sono piuttosto un dono della natura (ancorchè spesso
doloroso), di quello che un danno; perchè effettivamente l’attività è il mezzo
di distrazione il più facile, più sicuro e forte, più durevole, più frequente e
generale e realizzabile nella vita. (12. Feb. 1828.).
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