Cicerone
Della divinazione Milano, Garzanti,
1991
I,
12 pag. 10, “ Est enim vis et natura quaedam … “, gli antichi
evidentemente prendevano molto in considerazione le manifestazioni
dell'inconscio o dell'Es, i moderni nel loro sciocco razionalismo
assoluto hanno fatto della religione un culto bonario o melenso
oppure impostato su un umanitarismo di tipo laico, ma le hanno tolto
il numen, mettendo al suo posto il fanatismo, l'infantilismo, se non
la demenza.
Per
l'importanza dell'inconscio vedi G. Groddeck, Il libro dell'Es.
I,
53, pag. 44, il sogno di Aristotele, interessante per il finale
“orfico” : “ cum animus Eudemi e corpore excesserit, tum domum
revertisse videatur. “
Pag.
54, “ animus … quippe qui deorum cognatione teneatur “.
Nell'uomo è presente il divino, secondo l'insegnamento orfico e
pitagorico ( cfr. Julius Evola, I versi d'oro e C. G. Jung,
Simboli della trasformazione ).
I,
80, pag. 66, furore poetico, sia Democrito che Platone
affermano che non può essere grande quel poeta che non sia come
invasato.
I,
89, pag. 72 : “ nei tempi antichi i sovrani erano maestri in arte
augurale “ ( “ apud veteres, qui rerum potiebantur, iidem auguria
tenebant “ ), cfr. Frazer, Il ramo d'oro, sui re-sacerdoti (
“ Maghi come sovrani “ ) cap. VI, pag. 110.
I,
110, pag. 86, “ cumque omnia completa et referta sint aeterno sensu
et mente divina, necesse est cognatione divinorum animorum animos
humanos commoveri. “ : origine divina dell'anima umana.
I,
125, pag. 100, “ Fieri igitur omnia fato ratio cogit fateri “,
fatum ossia l'eimarmene dei Greci;
importante : “ Ea est ex omni aeternitate fluens veritas
sempiterna. “ Concezione ciclica del tempo che ritorna sempre al
punto di partenza e replica il replicato : “ … traductio temporis
nihil novi efficientis et primum quidque replicantis. “
L'opera
è estremamente interessante per il pitagorismo e l'orfismo in essa
diffuso. La concezione della vita eterna delle anime è infatti
orfica come platonica ( Fedone, Fedro ). Vedi pag. 287 de Il
mulino di Amleto.
Nel
II libro Cicerone esprime il proprio parere sulla divinazione con
ragionamenti liberi da pregiudizi e rigorosamente “laici” ossia
scettici. Per lui non vi è fondamento alcuno per la divinazione, la
quale non ha nessun valore, al contrario di quanto nel libro I ha
sostenuto il fratello Quinto.
II,
42 ( pag. 140 ) : “ Nonne perspicuum est ex prima admiratione
hominum, quod tonitrua iactusque fulminum extimuissent, credidisse ea
efficere rerum omnium praepotentem Iovem ? Itaque in nostris
commentariis … “ ecc.
II,
45 ( pagg. 143-144 ), “ Caeli enim distributio, quam ante dixi, et
certarum rerum notatio docet, unde fulmen venerit, quo concesserit;
quid significet autem, nulla ratio docet. “ Contraddice chiaramente
quanto sembra credere E. Zolla in Che cos'è la tradizione sul
presunto valore degli auguri ( neppure Cicerone ci credeva ! ), cfr.
pagg. 218-223.
Pag.
156, “ nihil fieri potuisse sine causa “, affermazione che
implica un assunto razionalistico, Cicerone è uno scettico e imposta
il problema alla luce di un razionalismo di stampo moderno ( ma nel
senso non assolutistico e positivistico del termine ) : “ Quicquid
enim oritur, qualecumque est, causam habeat a natura necesse est …
“
II,
70, pag. 166, “ errabat enim multis in rebus antiquitas “, a
proposito della fede di Romolo sulla verità degli auspici. Cicerone
mostra la propria formazione razionalistica, essendo seguace della
filosofia greca neoaccademica. Come dice E. Severino, nel suo volume
sulla filosofia antica, è il razionalismo e la critica al mito a
costituire l'essenza della ricerca della verità da parte dei
filosofi greci. La posizione di Cicerone è comunque quella di uno
scettico.
II,
94, pag. 186, ritiene addirittura, precorrendo i tempi, che le
caratteristiche degli individui non siano dovute all'influsso degli
astri ma alla vis seminum, all'influsso dei semi generativi, cioè
alla trasmissione dei caratteri ereditari.
Seguono
sillogismi pro e contro la divinazione, che servono a Cicerone per
sottolineare la vacuità della fede negli oracoli.
II,
110, “ Quale autorità, d'altronde, può avere codesto stato di
folle eccitazione che chiamate divino, in virtù del quale ciò che
il savio non vede, lo vedrebbe il pazzo, e colui che ha perduto le
facoltà sensoriali umane avrebbe acquisito quelle divine ? … Se
questo è scritto nei libri sibillini, a quale uomo e a quale tempo
si riferisce ? Colui che aveva scritto quei versi aveva agito
furbescamente : omettendo ogni precisazione di persona e di tempo,
aveva fatto in modo che, qualunque cosa accadesse, sembrasse
l'avveramento di una profezia. “ ( Trad. di Sebastiano Timpanaro ).
Tutto questo può essere riferito al nostro moderno Nostradamus e
agli astrologhi che prosperano sulla credulità della gente e
riempiono le pagine dei giornali, trionfano alla televisione e
furoreggiano sul web.
Paragrafo
119, pag. 206, allusione alla credenza nei sogni profetici a causa
dell'influsso di anime esterne, cfr. I
misteri egiziani
di Giamblico : “ Similis
est error in somniis; quorum quidem defensio repetita quam longe est!
Divinos animos censent esse nostros, eosque esse tractos extrinsecus,
animorumque consentientium multitudine completum esse mundum; hac
igitur mentis et ipsius divinitate, et coniunctione cum externis
mentibus cerni quae sint futura. Contrahi autem animum Zeno et quasi
labi putat atque concidere, et ipsum esse dormire. Iam Pythagoras et
Plato, locupletissimi auctores, quo in somnis certiora videamus,
praeparatos quodam cultu atque victu proficisci ad dormiendum iubent;
faba quidem Pythagorei utique abstinere, quasi vero eo cibo mens, non
venter infletur. Sed nescio quo modo nihil tam absurde dici potest
quod non dicatur ab aliquo philosophorum. “
Par.
120-122, argomentazione molto efficace a favore del razionalismo.
Cicerone si rivela un propugnatore e un precursore del pensiero
moderno e scientifico.
Par.
123-126, con una serie fitta di ragionamenti continua a smontare la
fede negli oracoli durante il sonno.
Pag.
216, bisogno di chiarezza espressiva, istanza simile a quella degli
illuministi del '700.
Pag.
219, esigenza di razionalità ( “ ma chi è garante di queste cose
? “ )
Par.
139, “ Omnia igitur quae volumus nota nobis esse possunt … “
ecc. considerazioni da vero empirista.
Par.
140, qui si mostra un perfetto psicologo ( è stupefacente questa
modernità di Cicerone ) : “ Haec
scilicet in imbecillo remissoque animo multa omnibus modis confusa et
variata versantur, maxumeque reliquiae rerum earum moventur in animis
et agitantur, de quibus vigilantes aut cogitavimus aut egimus ... “
Pag.
228, par. 148, condanna della superstitio, seguono affermazioni da
“deista” ante litteram ( quest'opera avrebbe potuto scriverla
anche Voltaire ) : “ Nam, ut vere loquamur, superstitio fusa per
gentis oppressit omnium fere animos atque hominum imbecillitatem
occupavit. “
Par.
150, professione di “socratismo”, atteggiamento tipico
dell'Accademia di Carneade ( Accademia nuova ) :
Cum autem
proprium sit Academiae iudicium suum nullum interponere, ea probare
quae simillima veri videantur, conferre causas et quid in quamque
sententiam dici possit expromere, nulla adhibita sua auctoritate
iudicium audientium relinquere integrum ac liberum, tenebimus hanc
consuetudinem a Socrate traditam eaque inter nos, si tibi, Quinte
frater, placebit, quam saepissime utemur." "Mihi vero",
inquit ille, "nihil potest esse iucundius."