venerdì 15 agosto 2014

Cicero, De divinatione

Cicerone           Della divinazione           Milano, Garzanti, 1991



I, 12 pag. 10, “ Est enim vis et natura quaedam … “, gli antichi evidentemente prendevano molto in considerazione le manifestazioni dell'inconscio o dell'Es, i moderni nel loro sciocco razionalismo assoluto hanno fatto della religione un culto bonario o melenso oppure impostato su un umanitarismo di tipo laico, ma le hanno tolto il numen, mettendo al suo posto il fanatismo, l'infantilismo, se non la demenza.
Per l'importanza dell'inconscio vedi G. Groddeck, Il libro dell'Es.
I, 53, pag. 44, il sogno di Aristotele, interessante per il finale “orfico” : “ cum animus Eudemi e corpore excesserit, tum domum revertisse videatur. “
Pag. 54, “ animus … quippe qui deorum cognatione teneatur “. Nell'uomo è presente il divino, secondo l'insegnamento orfico e pitagorico ( cfr. Julius Evola, I versi d'oro e C. G. Jung, Simboli della trasformazione ).
I, 80, pag. 66, furore poetico, sia Democrito che Platone affermano che non può essere grande quel poeta che non sia come invasato.
I, 89, pag. 72 : “ nei tempi antichi i sovrani erano maestri in arte augurale “ ( “ apud veteres, qui rerum potiebantur, iidem auguria tenebant “ ), cfr. Frazer, Il ramo d'oro, sui re-sacerdoti ( “ Maghi come sovrani “ ) cap. VI, pag. 110.
I, 110, pag. 86, “ cumque omnia completa et referta sint aeterno sensu et mente divina, necesse est cognatione divinorum animorum animos humanos commoveri. “ : origine divina dell'anima umana.
I, 125, pag. 100, “ Fieri igitur omnia fato ratio cogit fateri “, fatum ossia l'eimarmene dei Greci; importante : “ Ea est ex omni aeternitate fluens veritas sempiterna. “ Concezione ciclica del tempo che ritorna sempre al punto di partenza e replica il replicato : “ … traductio temporis nihil novi efficientis et primum quidque replicantis. “
L'opera è estremamente interessante per il pitagorismo e l'orfismo in essa diffuso. La concezione della vita eterna delle anime è infatti orfica come platonica ( Fedone, Fedro ). Vedi pag. 287 de Il mulino di Amleto.
Nel II libro Cicerone esprime il proprio parere sulla divinazione con ragionamenti liberi da pregiudizi e rigorosamente “laici” ossia scettici. Per lui non vi è fondamento alcuno per la divinazione, la quale non ha nessun valore, al contrario di quanto nel libro I ha sostenuto il fratello Quinto.
II, 42 ( pag. 140 ) : “ Nonne perspicuum est ex prima admiratione hominum, quod tonitrua iactusque fulminum extimuissent, credidisse ea efficere rerum omnium praepotentem Iovem ? Itaque in nostris commentariis … “ ecc.
II, 45 ( pagg. 143-144 ), “ Caeli enim distributio, quam ante dixi, et certarum rerum notatio docet, unde fulmen venerit, quo concesserit; quid significet autem, nulla ratio docet. “ Contraddice chiaramente quanto sembra credere E. Zolla in Che cos'è la tradizione sul presunto valore degli auguri ( neppure Cicerone ci credeva ! ), cfr. pagg. 218-223.
Pag. 156, “ nihil fieri potuisse sine causa “, affermazione che implica un assunto razionalistico, Cicerone è uno scettico e imposta il problema alla luce di un razionalismo di stampo moderno ( ma nel senso non assolutistico e positivistico del termine ) : “ Quicquid enim oritur, qualecumque est, causam habeat a natura necesse est … “
II, 70, pag. 166, “ errabat enim multis in rebus antiquitas “, a proposito della fede di Romolo sulla verità degli auspici. Cicerone mostra la propria formazione razionalistica, essendo seguace della filosofia greca neoaccademica. Come dice E. Severino, nel suo volume sulla filosofia antica, è il razionalismo e la critica al mito a costituire l'essenza della ricerca della verità da parte dei filosofi greci. La posizione di Cicerone è comunque quella di uno scettico.
II, 94, pag. 186, ritiene addirittura, precorrendo i tempi, che le caratteristiche degli individui non siano dovute all'influsso degli astri ma alla vis seminum, all'influsso dei semi generativi, cioè alla trasmissione dei caratteri ereditari.
Seguono sillogismi pro e contro la divinazione, che servono a Cicerone per sottolineare la vacuità della fede negli oracoli.
II, 110, “ Quale autorità, d'altronde, può avere codesto stato di folle eccitazione che chiamate divino, in virtù del quale ciò che il savio non vede, lo vedrebbe il pazzo, e colui che ha perduto le facoltà sensoriali umane avrebbe acquisito quelle divine ? … Se questo è scritto nei libri sibillini, a quale uomo e a quale tempo si riferisce ? Colui che aveva scritto quei versi aveva agito furbescamente : omettendo ogni precisazione di persona e di tempo, aveva fatto in modo che, qualunque cosa accadesse, sembrasse l'avveramento di una profezia. “ ( Trad. di Sebastiano Timpanaro ). Tutto questo può essere riferito al nostro moderno Nostradamus e agli astrologhi che prosperano sulla credulità della gente e riempiono le pagine dei giornali, trionfano alla televisione e furoreggiano sul web.
Paragrafo 119, pag. 206, allusione alla credenza nei sogni profetici a causa dell'influsso di anime esterne, cfr. I misteri egiziani di Giamblico : “ Similis est error in somniis; quorum quidem defensio repetita quam longe est! Divinos animos censent esse nostros, eosque esse tractos extrinsecus, animorumque consentientium multitudine completum esse mundum; hac igitur mentis et ipsius divinitate, et coniunctione cum externis mentibus cerni quae sint futura. Contrahi autem animum Zeno et quasi labi putat atque concidere, et ipsum esse dormire. Iam Pythagoras et Plato, locupletissimi auctores, quo in somnis certiora videamus, praeparatos quodam cultu atque victu proficisci ad dormiendum iubent; faba quidem Pythagorei utique abstinere, quasi vero eo cibo mens, non venter infletur. Sed nescio quo modo nihil tam absurde dici potest quod non dicatur ab aliquo philosophorum. “
Par. 120-122, argomentazione molto efficace a favore del razionalismo. Cicerone si rivela un propugnatore e un precursore del pensiero moderno e scientifico.
Par. 123-126, con una serie fitta di ragionamenti continua a smontare la fede negli oracoli durante il sonno.
Pag. 216, bisogno di chiarezza espressiva, istanza simile a quella degli illuministi del '700.
Pag. 219, esigenza di razionalità ( “ ma chi è garante di queste cose ? “ )
Par. 139, “ Omnia igitur quae volumus nota nobis esse possunt … “ ecc. considerazioni da vero empirista.
Par. 140, qui si mostra un perfetto psicologo ( è stupefacente questa modernità di Cicerone ) : “ Haec scilicet in imbecillo remissoque animo multa omnibus modis confusa et variata versantur, maxumeque reliquiae rerum earum moventur in animis et agitantur, de quibus vigilantes aut cogitavimus aut egimus ... “
Pag. 228, par. 148, condanna della superstitio, seguono affermazioni da “deista” ante litteram ( quest'opera avrebbe potuto scriverla anche Voltaire ) : “ Nam, ut vere loquamur, superstitio fusa per gentis oppressit omnium fere animos atque hominum imbecillitatem occupavit. “
Par. 150, professione di “socratismo”, atteggiamento tipico dell'Accademia di Carneade ( Accademia nuova ) :
Cum autem proprium sit Academiae iudicium suum nullum interponere, ea probare quae simillima veri videantur, conferre causas et quid in quamque sententiam dici possit expromere, nulla adhibita sua auctoritate iudicium audientium relinquere integrum ac liberum, tenebimus hanc consuetudinem a Socrate traditam eaque inter nos, si tibi, Quinte frater, placebit, quam saepissime utemur." "Mihi vero", inquit ille, "nihil potest esse iucundius." 

 

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