O tu che frenasti l'impeto
barbaro
di Dario e Serse,
sorgi ora Grecia,
da Capo Sunio un coro
unanime
per te s'effonda
alla tua gloria,
di nuova vita fremente
palpito
sia il tuo coraggio, terra
dei forti !
Tu, sotto al giogo
eletta vittima
d'avidi satrapi servi
dell'oro,
troppo hai sofferto con
voci fievoli
del ladro nordico
il ceppo odioso.
S'alzi ora
il responso sacro di Delfi
e a precipizio dalle
Fedriadi
vergogna cada
e tradimento !
Splenda al sole alta
fronte,
all'astro rida
presàga vergine fiera,
nei cori
fulgenti echeggi
di Tirteo il valore
d'una rinata Sparta ed
atterri
il morboso serpente, delle
nebbie
cimmerie cinto.
Dilaga esso figlio
dell'inferno e di Pluto,
orrido drago
della Germania,
e a fiumi beve il sangue
dell'Europa.
E tu madre
dall'antico servaggio
assolta e libera,
ora sei serva
all'usuraio impero ?
Te che di Byron il gran
nome onora,
che d'orgoglio ancor
fremendo
esalti sull'are tue
solenni,
o bianca Atene,
nemica dei tiranni,
invitta vergine,
il risorto Demostene ti
sproni
all'alta impresa.
Come quando addusse dal
diluvio recente
nuovi mostri
la terra
e dall'ardente trasse
fango
di specie immani
immagine insperata,
così rinacque in ceneri
innovate
un infausto Pitone
dalle fauci
fuoco e veleno vomitando
nero
sul mondo appena
ridestato.
Colmo
del suo morbo era il
cielo,
volitanti
nembi empivano silenti
spazi senza stelle
e i monti e le vallate
agitavano fiamme.
Ed ecco
udì Febo Apollo e dalla
vetta
giù venne dell'Olimpo in
cuore irato,
il dio arco d'argento, e
d'accecante
luce scoccò
terribile saetta.
Un lampo lacerò la notte
e il crollo colse
il maligno mostro e
abbattute
furono nebbie e nubi e il
buio vinto.
E s'effuse nei cieli
lo splendore
dell'eterno sorriso
sopra il mare.
O Figlia dell'Arciere,
dell'ignito Occhio
del cielo, ogni armonia,
ogni arte, ogni carme
da Te viene,
di Natura ogni luce,
la vittoria
sia il sigillo
dei secoli futuri.
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