Immoti
custodi del silenzio
figli
della roccia
tesi
sui baratri
baluardi
nella nebbia,
annosi
vegliardi
cinti
di muschio
alberi
giganti,
sono
ora a voi
nel
tempo destinato
sotto
il cielo.
Innalzati
al cielo
bevete
la luce
come
da ròrida rupe
s'abbeverano
gli uomini,
assetati
di fresca
ebbrezza.
Voi abbracciate
l'aria
fredda dei monti,
di
voi fremono
i
dorsi selvosi.
Voi
udite anche il fremito
del
mio desiderio triste,
esso
cerca tra voi
colei
che ha rapito il tempo.
In
quale tronco disparve
da
quale torso si svelse ?
E
ai venti scorreva
dei
suoi capelli nel flutto
rapida
corrente d'aromi di resine,
quasi
abbagliante candore
di
colonne marmoree nel sole.
Ai
raggi baluginò il dorso
suo
eburneo, curvo nell'ansimo
del
fuggitivo amore,
la
sfioravano i rami tremanti.
Ah,
rivelazione degli istanti,
suprema
conoscenza sola,
ai
mortali concessa.
Così
trascorse agli occhi
miei,
bella e altera
di
gioventù e si volse
a
me impietrato.
E
nell'attimo il viso
si
fisse radioso e divino
a
me e mi trafisse.
La
sua fuga seguiva
la
foresta odorante di pino
e
di linfe d'ignoto sentore
e
vaga vaniva ignara
dove
fosse la meta.
E
nell'ora di Pane,
quasi
colto dall'estro,
l'impresa
tentai,
la
caccia della mirata preda.
Bramata
dal salino
alito
del vento
l'ombra
sua s'insinuava
tra
i tronchi e le branche
nodose
a brani
inghiottita,
fagocitata
dal
florido fogliame.
Né
cedeva la figlia del bosco
oscuro,
del sortilegio conscia
nella
magica selva, esperta
d'arte
e d'insidia.
E
come via via profondava
tra
frasche fremide di rubee bacche
d'arboree
trame il labirinto,
ella
quale Circe maliosa
volgeva
a sfida il viso.
E
dietro il velame velloso,
sonoro
di sùbite tenebre
quasi
per bronzei scudi,
carpii
la traccia
quale
segugio
d'aroma
ebbro del corpo suo
divino.
Ma nella caccia
l'orma
smarrii e la scia
lucente
delle candide membra.
Calava
allora l'orrore
del
tacito bosco, l'afflato
d'un
funebre velo.
Fruscianti
fronde fervevano
d'un
iroso timore
nel
sacro silenzio.
Bruiva
l'arborata sede
dell'antico
culto,
malaugurati
alati
gracchiavano
neri.
Per
quale esito
misterioso
si trasse
la
creatura avernale,
sogno
della terra ?
O
annosi vegliardi,
alberi
giganti,
allora
pervenni tra voi,
la
fera suadente perduta,
ai
piedi pervenni di voi,
regali
signori dell'ombra.
E
voi lentamente ondeggiando
tralucere
il lume dal mare
fra
il folto faceste dei fusti
ferali,
già chiusi nel buio.
E
dall'oscuro glauco manto
dell'erbe
e di strame
un
lamento fioco s'estese
quasi
fondiglio di penoso fiato.
E
il mio sguardo colse
dell'aria
nell'aperto spiraglio
un
fluire rubido diramarsi
sulle
radici e sui cresputi veli
secchi,
e di salso sangue
rapprese
pozze violacee.
E
una sagoma cupa,
sotto
le branche rabbrividenti
dell'umido
chiostro vivente,
m'apparve
terribile annuncio
dell'aduncata
morte.
Eri
tu, Attis, eri
della
vita il tenero germoglio
stroncato
alla crudele dea ?
Da
quale cielo cadesti
qui
sulla terra,
ingenuo
fiore ?
A
dura legge offerto,
vittima
della Vita,
ora
giaci
reso
alla Madre.
Gemevano
allora gli alberi
tremavano
le fronde,
ma
furtiva la pupilla
brillò
di lei dietro un tronco,
verde
come foglia alla rugiada.
Brillò
lo sguardo della fiera
bella
e indomita,
della
legge silvana
inflessibile
custode.
Nacque
sul suo labbro
un
accenno di scherno
vago,
tra l'errante chimera
dei
suoi sospiri.
Fra
i cespi si confuse
l'iridata
chioma
nell'ansito
oltremarino,
d'inesausti
segreti
la
lascivia l'apprese,
magica
evocatrice
dei
riti sotterranei.
A
quali segreti si chinava la sera
nelle
nebbie dell'aria
immota,
obliosa
nel
desiderio profondo della morte,
come
nell'Ade ove discese Orfeo ?
Nell'umido
traspirare dei muschi
qualche
foglia cadeva,
quasi
un'anima
verso
la remota porta di Persefone.
Giacque
l'Emonia nel brivido,
intesa
all'acre odore
del
sangue, s'abbandonava
al
piacere immondo
dell'indomata
femmina.
Ma
il rimorso la trasse
indietro
verso il ricordo
dell'età
trascorse felici
nell'isole
beate,
prima
che giungesse il mondo
sotto
la nuova legge terribile.
E
una lacrima le colse la guancia,
subitanea,
rapida, quasi goccia
scesa
da resinoso pino.
E
un sospiro profondo la trasse
sino
al battito del misterioso cuore,
e
uno sgomento l'assalse
sapido
d'amaro,
nel
mare vasto della memoria.
E
si vide nella corsa
fra
i bimbi dei Campi Elisi
nel
sorriso dei venti
nella
gioia d'una danza
perpetua,
là dove la luce
divina
trae all'alto l'anime
e
celeste visione di sé
è
perpetuo oblìo.
O
alberi giganti,
annosi
vegli della terra,
annuiste
voi allo spiraglio
dell'eterno
palpito di vita,
ondosi
nelle fronde sommesse,
melodie
secrete
nei
cori delle foglie
tremanti
nel seno del bosco.
O
saggi, o solerti custodi
dei
lunghi anni,
o
silenti ombre
dell'esilio
d'un Nume,
quali
misteri mi rivelaste
allora
quando soltanto alzai
tra
le vostre fronde lo sguardo,
incantato
nel vibrante murmure
e
rapito dalla voce del vento !
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