martedì 16 giugno 2015

Dryas






Immoti custodi del silenzio
figli della roccia
tesi sui baratri
baluardi nella nebbia,
annosi vegliardi
cinti di muschio
alberi giganti,
sono ora a voi
nel tempo destinato
sotto il cielo.
Innalzati al cielo
bevete la luce
come da ròrida rupe
s'abbeverano gli uomini,
assetati di fresca
ebbrezza. Voi abbracciate
l'aria fredda dei monti,
di voi fremono
i dorsi selvosi.
Voi udite anche il fremito
del mio desiderio triste,
esso cerca tra voi
colei che ha rapito il tempo.
In quale tronco disparve
da quale torso si svelse ?
E ai venti scorreva
dei suoi capelli nel flutto
rapida corrente d'aromi di resine,
quasi abbagliante candore
di colonne marmoree nel sole.
Ai raggi baluginò il dorso
suo eburneo, curvo nell'ansimo
del fuggitivo amore,
la sfioravano i rami tremanti.
Ah, rivelazione degli istanti,
suprema conoscenza sola,
ai mortali concessa.
Così trascorse agli occhi
miei, bella e altera
di gioventù e si volse
a me impietrato.
E nell'attimo il viso
si fisse radioso e divino
a me e mi trafisse.
La sua fuga seguiva
la foresta odorante di pino
e di linfe d'ignoto sentore
e vaga vaniva ignara
dove fosse la meta.
E nell'ora di Pane,
quasi colto dall'estro,
l'impresa tentai,
la caccia della mirata preda.
Bramata dal salino
alito del vento
l'ombra sua s'insinuava
tra i tronchi e le branche
nodose a brani
inghiottita, fagocitata
dal florido fogliame.
Né cedeva la figlia del bosco
oscuro, del sortilegio conscia
nella magica selva, esperta
d'arte e d'insidia.
E come via via profondava
tra frasche fremide di rubee bacche
d'arboree trame il labirinto,
ella quale Circe maliosa
volgeva a sfida il viso.
E dietro il velame velloso,
sonoro di sùbite tenebre
quasi per bronzei scudi,
carpii la traccia
quale segugio
d'aroma ebbro del corpo suo
divino. Ma nella caccia
l'orma smarrii e la scia
lucente delle candide membra.
Calava allora l'orrore
del tacito bosco, l'afflato
d'un funebre velo.
Fruscianti fronde fervevano
d'un iroso timore
nel sacro silenzio.
Bruiva l'arborata sede
dell'antico culto,
malaugurati alati
gracchiavano neri.
Per quale esito
misterioso si trasse
la creatura avernale,
sogno della terra ?
O annosi vegliardi,
alberi giganti,
allora pervenni tra voi,
la fera suadente perduta,
ai piedi pervenni di voi,
regali signori dell'ombra.
E voi lentamente ondeggiando
tralucere il lume dal mare
fra il folto faceste dei fusti
ferali, già chiusi nel buio.
E dall'oscuro glauco manto
dell'erbe e di strame
un lamento fioco s'estese
quasi fondiglio di penoso fiato.
E il mio sguardo colse
dell'aria nell'aperto spiraglio
un fluire rubido diramarsi
sulle radici e sui cresputi veli
secchi, e di salso sangue
rapprese pozze violacee.
E una sagoma cupa,
sotto le branche rabbrividenti
dell'umido chiostro vivente,
m'apparve terribile annuncio
dell'aduncata morte.
Eri tu, Attis, eri
della vita il tenero germoglio
stroncato alla crudele dea ?
Da quale cielo cadesti
qui sulla terra,
ingenuo fiore ?
A dura legge offerto,
vittima della Vita,
ora giaci
reso alla Madre.
Gemevano allora gli alberi
tremavano le fronde,
ma furtiva la pupilla
brillò di lei dietro un tronco,
verde come foglia alla rugiada.
Brillò lo sguardo della fiera
bella e indomita,
della legge silvana
inflessibile custode.
Nacque sul suo labbro
un accenno di scherno
vago, tra l'errante chimera
dei suoi sospiri.
Fra i cespi si confuse
l'iridata chioma
nell'ansito oltremarino,
d'inesausti segreti
la lascivia l'apprese,
magica evocatrice
dei riti sotterranei.
A quali segreti si chinava la sera
nelle nebbie dell'aria
immota, obliosa
nel desiderio profondo della morte,
come nell'Ade ove discese Orfeo ?
Nell'umido traspirare dei muschi
qualche foglia cadeva,
quasi un'anima
verso la remota porta di Persefone.
Giacque l'Emonia nel brivido,
intesa all'acre odore
del sangue, s'abbandonava
al piacere immondo
dell'indomata femmina.
Ma il rimorso la trasse
indietro verso il ricordo
dell'età trascorse felici
nell'isole beate,
prima che giungesse il mondo
sotto la nuova legge terribile.
E una lacrima le colse la guancia,
subitanea, rapida, quasi goccia
scesa da resinoso pino.
E un sospiro profondo la trasse
sino al battito del misterioso cuore,
e uno sgomento l'assalse
sapido d'amaro,
nel mare vasto della memoria.
E si vide nella corsa
fra i bimbi dei Campi Elisi
nel sorriso dei venti
nella gioia d'una danza
perpetua, là dove la luce
divina trae all'alto l'anime
e celeste visione di sé
è perpetuo oblìo.
O alberi giganti,
annosi vegli della terra,
annuiste voi allo spiraglio
dell'eterno palpito di vita,
ondosi nelle fronde sommesse,
melodie secrete
nei cori delle foglie
tremanti nel seno del bosco.
O saggi, o solerti custodi
dei lunghi anni,
o silenti ombre
dell'esilio d'un Nume,
quali misteri mi rivelaste
allora quando soltanto alzai
tra le vostre fronde lo sguardo,
incantato nel vibrante murmure
e rapito dalla voce del vento !

Nessun commento:

Posta un commento