G. D'Annunzio
Il Fuoco
Milano, Mondadori, 1996
( 1898 )
Pag.
34, Stelio guardando nel pozzo vede il proprio Sé, l'immagine della
Verità ( influsso del Buddismo e della religione indiana, cfr.
Bhagavat-gita ) :
“ Stelio
si soffermò al pozzo indicato dalla Foscarina; si chinò sul margine
di bronzo, sentendo contro le sue ginocchia i rilievi delle piccole
cariatidi, e scorse nel cupo specchio interiore il riflesso vago
delle lontane stelle. Per qualche attimo la sua anima si isolò, si
fece sorda ai rumori circostanti, si raccolse in quel cerchio di
ombra donde saliva un tenue gelo che rivelava la muta presenza
dell′acqua; e sentì la fatica della sua tensione e il desiderio
d′essere altrove e il bisogno indistinto di trascendere pur
quell′ebrezza che le ore notturne gli promettevano e, nell′ultima
profondità del suo essere, un′anima segreta che a simiglianza di
quello specchio d′acqua rimaneva immota estranea ed intangibile.
–
Che vedi? – gli chiese Piero Martello chinandosi
anch′egli sul margine consunto dalle funi delle secchie secolari.
– Il volto della
Verità – rispose il maestro. “
Pagg. 48-49, Stelio,
parlando alla folla radunata nel palazzo dei dogi, ha la rivelazione
della “misteriosa volontà”, dell' “Idea eterna”, è chiaro
l'influsso di Schopenhauer e del valore catartico dell'Arte
attraverso la quale l'individuo trova l'oblio completo della propria
effimera individualità e l'annullamento nella contemplazione della
Volontà universale, della Voluntas-Noluntas.
La lettura del testo è
faticosa, nondimeno attrae se centellinata, come affascina la voce di
Tucidide, pure tanto diversa, ma colma dell'azione, della forza e del
mistero del destino.
Pag. 51, I Centauri : cita
un frammento di Pindaro sui centauri e la virtù del vino ( fr. 166
). NB : influsso di Walter Pater, Il Rinascimento
( La scuola di Giorgione ), vedi Mario Praz, “ D'Annunzio e l'amor
sensuale della parola “ in La carne, la morte e il
diavolo nella letteratura romantica.
‟ Tal
sembra veramente a me la creazione d′arte compresa tra la
giovinezza di Giorgione e la vecchiezza del Tintoretto. Essa è
purpurea, dorata, opulenta ed espressiva come la pompa della terra
sotto l′ultima fiamma del sole. Se io considero i creatori
impetuosi di sì forte bellezza, mi si presenta allo spirito
l′imagine che sorge da quel frammento pindarico: – Quando i
Centauri conobbero la virtù del vino soave come il miele, che vince
gli uomini, subito respinsero dalle lor mense il bianco latte; e
s′affrettarono a bere il vino in corni d′argento.... – Nessuno
al mondo conobbe e assaporò meglio di loro il vino della vita. Essi
ne traggono una lucida ebrietà che moltiplica il lor potere e
comunica alla loro eloquenza una energia fecondatrice. E nelle loro
creature più belle il battito violento dei loro polsi sembra
persistere a traverso i secoli come il ritmo stesso dell′arte
veneziana. “
Pag.
94 e seg. : considerazioni sul teatro e sull'opera di Wagner.
Contrapposizione tra lo spirito germanico e il genio latino. Seguono
considerazioni e descrizioni a proposito del “Parsifal”.
“ – L′opera
di Riccardo Wagner – egli rispose – è fondata su lo spirito
germanico, è d′essenza puramente settentrionale. La sua riforma ha
qualche analogia con quella tentata da Lutero. Il suo drama non è se
non il fiore supremo del genio d′una stirpe, non è se non il
compendio straordinariamente efficace delle aspirazioni che
affaticarono l′anima dei sinfoneti e dei poeti nazionali, dal Bach
al Beethoven, dal Wieland al Goethe.
Se voi imaginaste la sua
opera su le rive del Mediterraneo, tra i nostri chiari olivi, tra i
nostri lauri svelti, sotto la gloria del cielo latino, la vedreste
impallidire e dissolversi. Poiché – secondo la sua stessa parola –
all′artefice è dato di veder risplender della perfezione futura un
mondo ancora informe e di gioirne profeticamente nel desiderio e
nella speranza, io annunzio l′avvento d′un′arte novella o
rinnovellata che per la semplicità forte e sincera delle sue linee,
per la sua grazia vigorosa, per l′ardore de′ suoi spiriti, per la
pura potenza delle sue armonie, continui e coroni l′immenso
edifizio ideale della nostra stirpe eletta. Io mi glorio d′essere
un latino; e – perdonatemi, o sognante Lady Myrta, perdonatemi, o
delicato Hoditz – riconosco un barbaro in ogni uomo di sangue
diverso.
– Ma anch′egli,
Riccardo Wagner, sviluppando il filo delle sue teorie, si parte dai
Greci – disse Baldassare Stampa che, reduce da Bayreuth, era ancor
tutto pieno dell′estasi.
– Filo ineguale e
confuso – rispose il maestro. – Nulla è più lontano
dall′Orestiade quanto la tetralogia dell′Anello. Penetrarono
assai più profondamente l′essenza della tragedia greca i
Fiorentini di Casa Bardi. Omaggio alla Camerata del Conte di Vernio!
– Io ho sempre
pensato che la Camerata fosse un′adunanza oziosa di eruditi e di
retori – disse Baldassare Stampa.
– Hai udito,
Daniele? – esclamò Stelio rivolgendosi al dottor mistico. –
Quando mai vi fu al mondo un focolare d′intelligenza più fervido?
Essi cercavano nell′antichità greca lo spirito di vita: essi
tentavano di sviluppare armoniosamente tutte le energie umane, di
manifestare con tutti i mezzi dell′arte l′uomo integro. Giulio
Caccini insegnava che all′eccellenza del musico non servono solo le
cose particolari ma tutte insieme le cose. La capellatura fulva di
Jacopo Peri, dello Zazzerino, fiammeggiava nel canto come quella di
Apollo. Nel discorso preposto alla Rappresentazione di Anima et di
Corpo Emilio del Cavaliere espone intorno alla formazione del
teatro novello le medesime idee che furono attuate a Bayreuth,
compresi i precetti del perfetto silenzio, dell′orchestra
invisibile e dell′ombra favorevole. Marco da Gagliano, nel
celebrare lo spettacolo di festa, fa l′elogio di tutte le arti che
vi concorrono ‟di maniera che con l′intelletto vien lusingato in
uno stesso tempo ogni sentimento più nobile dalle più dilettevoli
arti ch′abbia ritrovato l′ingegno umano”. Non basta?
– Il Bernino –
disse Francesco de Lizo – fece rappresentare a Roma un′opera per
la quale egli stesso costruì il teatro, dipinse le scene, scolpì le
statue ornamentali, inventò le macchine, scrisse le parole, compose
la musica, regolò le danze, ammaestrò gli attori, danzò, cantò,
recitò.
– Basta, basta ! –
gridò il principe Hoditz ridendo. – Il barbaro è vinto.
– Non basta ancora
– disse Antimo della Bella. – Bisogna glorificare il più grande
degli innovatori, che la passione e la morte consacrarono veneziano,
colui che ha il sepolcro nella chiesa dei Frari, degno d′un
pellegrinaggio: il divino Claudio Monteverde.
– Ecco un′anima
eroica, di pura essenza italiana! – assentì Daniele Glàuro con
reverenza.
– Egli compì
l′opera sua nella tempesta, amando, soffrendo, combattendo, solo
con la sua fede, con la sua passione e col suo genio – disse la
Foscarina lentamente, come assorta nella visione di quella vita
dolorosa e coraggiosa che aveva nutrito del più caldo suo sangue le
creature della sua arte. – Parlateci di lui, Èffrena.
Stelio vibrò come se ella
lo avesse toccato all′improvviso. Ancora una volta la virtù
espressiva di quella bocca divulgatrice evocò da una indefinita
profondità una figura ideale che risorse come da un sepolcro dinanzi
agli occhi dei poeti assumendo il colore e il soffio dell′esistenza.
L′antico sonator di viola, vedovo ardente e triste come l′Orfeo
della sua favola, apparve nel cenacolo.
Fu un′apparizione di
fuoco assai più fiera e più abbagliante di quella che aveva acceso
il bacino di San Marco: una infiammata forza di vita, espulsa
dall′imo grembo della natura verso l′ansia delle moltitudini; una
veemente zona di luce, erotta da un cielo interiore a rischiarare i
fondi più segreti della volontà e del desiderio umano; un inaudito
verbo, emerso dal silenzio originario a esprimere quel che v′è di
eterno e di eternamente indicibile nel cuore del mondo. “
Pag. 102, si parla di
Volontà cosmiche, con un cenno al pastore Arya, per questo vedi
Schuré, I grandi iniziati.
“
Stelio Èffrena taceva, sconvolto da forze vorticose che
lo travagliavano con una sorta di furor cieco, simili alle energie
sotterranee che sollevano squarciano trasfigurano i paesi vulcanici
creandovi i nuovi monti e i nuovi abissi. Tutti gli elementi della
sua vita interiore, investiti da quell′impeto, parevano nel tempo
medesimo dissolversi e moltiplicarsi. Imagini grandiose e terribili
passavano su quel tumulto accompagnate da nembi di musiche.
Concentrazioni e dispersioni rapidissime di pensieri si succedevano
come le scariche elettriche nell′uragano. A tratti, era come s′egli
udisse clamori e canti per una porta che si spalancasse e si
richiudesse di continuo; era come se le raffiche gli recassero le
grida di una strage e di un′apoteosi lontana alterne. Vide
all′improvviso, con l′intensità delle visioni febrili, la terra
arsa e fatale dove egli voleva far vivere le anime della sua
tragedia; ne sentì tutta la sete in sè. Vide la fonte mitica che
sola interrompeva l′arsura, e sul palpito delle polle il candore
della vergine che quivi doveva morire. Vide la maschera dell′eroina
sul volto di Perdita, composta nella bellezza di un dolore
straordinariamente calmo. Poi l′antica arsura del piano d′Argo si
convertì in fiamme; la fonte Perseia fluì come un fiume volubile.
Il fuoco e l′acqua, i due elementi primordiali, passarono su tutte
le cose, cancellarono ogni segno, si diffusero, errarono, lottarono,
trionfarono, favellarono, ebbero un verbo, ebbero un linguaggio per
rivelare la loro intima essenza, per raccontare i miti innumerevoli
ch′eran nati dalla loro eternità. La sinfonia espresse il drama
delle due Anime elementari su la scena dell′Universo, la lotta
patetica dei due grandi Esseri viventi e mobili, delle due Volontà
cosmiche, quale se la fingeva il pastore Arya su gli altipiani
contemplando gli spettacoli con occhi puri. “
Pag.
104, nell'argomentazione di Effrena ritorna il motivo platonico del
corpo carcere dell'anima. E' ribadito il concetto della funzione
liberatrice e purificatrice dell'Arte.
‟Verso
la Gioia, verso l′eterna Gioia!”, pensava Stelio Èffrena. ‟Il
popolo consiste di tutti coloro i quali sentono un oscuro bisogno di
elevarsi, per mezzo della Finzione, fuor della carcere cotidiana in
cui servono e soffrono.” Scomparivano gli angusti teatri urbani
ove, nel calore soffocante e pregno di tutte le impurità, dinanzi a
una schiera di crapuloni e di meretrici, gli attori fanno ufficio di
spintrie. Egli vedeva su le gradinate del novo teatro la folla vera,
l′immensa folla unanime di cui aveva sentito l′odore e udito il
clamore dianzi nella conca marmorea sotto le stelle. Nelle anime rudi
e ignare la sua arte, pur non compresa, per il potere misterioso del
ritmo recava un turbamento profondo, simile a quello del prigioniere
che sia sul punto di essere liberato dai duri vincoli. “
Pag.
113, di nuovo il motivo platonico del corpo carcere dell'anima, “
la pesante carcere umana “.
Pag.
114, “ l'amplesso intero del mio amore ti farà divino “ ricorda
esclamazioni simili di Kundry nel Parsifal
di Wagner, così come a pag. 115 è presente il motivo del filtro
d'amore che ricorda la vicenda di Tristano e Isotta ( Wagner ).
Pag.
115, la donna viene paragonata a Persefone ( mito del melagrano ). La
pagina evoca parole simili del Pater nella famosa celebrazione della
Gioconda di Leonardo.
“
Ella stava sotto l′arbusto ornato di monili e carico
di frutti, vivamente inarcata a guisa delle sue labbra, partendosi da
tutte le sue membra la febbre come dalle labbra si parte il respiro.
La bellezza repentina che l′aveva illuminata nel cenacolo, fatta di
mille forze ideali, si rinnovellava in lei ma ancor più intensa,
fatta della fiamma che non appassisce, del fervore che non langue. I
frutti magnifici pendevano sul suo capo, recanti in sommo la corona
d′un re donatore. Il mito del melagrano riviveva nella notte come
al passaggio della barca ricolma su l′acqua vespertina. – Chi era
ella? Persefone signora delle Ombre? Aveva ella vissuto là dove
tutte le agitazioni umane sembrano un gioco di vènti nella polvere
d′un cammino senza termine? Aveva ella guardato il mondo delle
sorgenti, numerato nella terra sotterranea le radici dei fiori immote
come le vene in un corpo impietrito? Era ella stanca o ebra delle
lacrime e delle risa e delle lussurie umane, e dell′aver toccato a
una a una tutte le cose mortali per farle fiorire, per farle perire?
Chi era mai? Aveva colpito le città come un flagello? chiuso per
sempre col suo bacio le labbra che cantavano, arrestato i battiti di
un′anima tirannica, attossicato i giovinetti col suo sudore salso
come la schiuma del mare? Chi era? Chi era? Quale passato la faceva
così smorta, così cocente e così perigliosa? Aveva ella già detto
tutti i suoi segreti e donato tutti i suoi doni? O poteva ella ancora
meravigliare con nuove opere il suo nuovo amante, pel quale la vita
il desiderio e la vittoria erano una cosa sola? – Tanto, e più e
più, davano al sogno le esili vene delle sue tempie, l′ondulazione
delle sue gote, la possa dei suoi fianchi, l′ombra glauca e quasi
marina che era l′elemento in cui viveva quel volto come l′occhio
nella sua propria umidità. “
E
Pater :
" The
presence that rose thus so strangely beside the waters, is expressive
of what in the ways of a thousand years men had come to desire. Hers
is the head upon which all “the ends of the world are come,” and
the eyelids are a little [125] weary. It is a beauty wrought out from
within upon the flesh, the deposit, little cell by cell, of strange
thoughts and fantastic reveries and exquisite passions. Set it for a
moment beside one of those white Greek goddesses or beautiful women
of antiquity, and how would they be troubled by this beauty, into
which the soul with all its maladies has passed! All the thoughts and
experience of the world have etched and moulded there, in that which
they have of power to refine and make expressive the outward form,
the animalism of Greece, the lust of Rome, the mysticism of the
middle age with its spiritual ambition and imaginative loves, the
return of the Pagan world, the sins of the Borgias. She is older than
the rocks among which she sits; like the vampire, she has been dead
many times, and learned the secrets of the grave; and has been a
diver in deep seas, and keeps their fallen day about her; and
trafficked for strange webs with Eastern merchants; and, as Leda, was
the mother of Helen of Troy, and, as Saint Anne, the mother of Mary;
and all this has been to her but as the sound of lyres and flutes,
and lives only in the delicacy with which it has moulded the changing
lineaments, and tinged the eyelids and the hands. The fancy of a
perpetual life, sweeping together ten thousand experiences, is an old
one; and modern philosophy has conceived the idea of humanity as
wrought upon by, and summing up in itself, all modes of thought and
life. Certainly [126] Lady Lisa might stand as the embodiment of the
old fancy, the symbol of the modern idea. "
Pag.
116, “ La vita e il sogno erano una cosa sola “ . motivo
romantico dell'evasione dalla realtà.
Pag.
117, unione del mito di Persefone con la leggenda wagneriana di
Parsifal.
“ La
donna si chinò a raccogliere su l′erba la melagrana. Era matura,
s′era aperta cadendo, versava il succo sanguigno; che bagnò la
mano arida, macchiò la chiara veste. Con la visione della barca
onusta e dell′isola pallida e della prateria d′asfodelo,
tornarono allo spirito amante le parole dell′animatore: ‟Questo è
il mio corpo.... Prendete e mangiate! ”
Pag.
136 ( II, “ L'impero del silenzio “ ), la libidine della
Foscarina ( “ Le sue narici palpitarono. Una forza spaventosa
s'agitò nella sua cintura “ ecc. ) richiama la lussuria di Pasifae
( pag. 612, vv 433-436 ) del Ditirambo IV di Alcyone.
Pag.
148, la musica come la più alta manifestazione della Volontà : “
Il suo bisogno musicale non si tendeva verso colei che cantava e
trasfigurava col suo canto l'Universo ? “ Tutte le arti tendono
alla condizione della musica, secondo Pater.
E
Paul Verlaine aveva scritto nell' “Art
poétique” :
De la musique avant toute
chose,
Et pour cela préfère
l’Impair
Plus vague et plus soluble
dans l’air,
Sans rien en lui qui pèse
ou qui pose.
Il faut aussi que tu
n’ailles point
Choisir tes mots sans
quelque méprise :
Rien de plus cher que la
chanson grise
Où l’Indécis au Précis
se joint.
C’est des beaux yeux
derrière des voiles,
C’est le grand jour
tremblant de midi,
C’est, par un ciel
d’automne attiédi,
Le bleu fouillis des
claires étoiles !
Car nous voulons la Nuance
encor,
Pas la Couleur, rien que
la nuance !
Oh ! la nuance seule
fiance
Le rêve au rêve et la
flûte au cor !
Fuis du plus loin la
Pointe assassine,
L’Esprit cruel et le
Rire impur,
Qui font pleurer les yeux
de l’Azur,
Et tout cet ail de basse
cuisine !
Prends l’éloquence et
tords-lui son cou !
Tu feras bien, en train
d’énergie,
De rendre un peu la Rime
assagie.
Si l’on n’y veille,
elle ira jusqu’où ?
Ô qui dira les torts de
la Rime !
Quel enfant sourd ou quel
nègre fou
Nous a forgé ce bijou
d’un sou
Qui sonne creux et faux
sous la lime ?
De la musique encore et
toujours !
Que ton vers soit la chose
envolée
Qu’on sent qui fuit
d’une âme en allée
Vers d’autres cieux à
d’autres amours.
Que ton vers soit la bonne
aventure
Éparse au vent crispé du
matin
Qui va fleurant la menthe
et le thym...
Et tout le reste est
littérature.
Pag. 149, sadismo (
dionisismo ? ) : “ … l'istinto di ferocia bestiale che si celava
in fondo alla sua sensualità possente “, la frase è riferita a
Stelio Effrena e richiama l'idea dei satiri ne La nascita della
tragedia di Nietzsche.
Pag. 153, si avverte un
salto logico nella narrazione. All'improvviso da una camera in un
palazzo siamo su un battello nella laguna. Ma la tematica è la
stessa : l'antica anima tragica, il sentimento eroico di Lord Byron.
Notare a pag. 152 : “ … uno stato di mistero musicale ove l'opera
inespressa risorse e s'illuminò. “ Più avanti : “ L'antica
anima tragica era presente nell'anima novella. Con la parola e con la
musica il poeta ricomponeva l'unità della vita ideale. “
Pag. 153, alla vista di
Wagner : “ … solo rimase il sentimento di sovrumana potenza
suscitato da quel nome … “
Pag. 154 e seg., pagine
ispirate al superomismo, “ supreme apparizioni della natura eroica
“, l' “eroe che pativa il fato umano”, il poema sinfonico di
Liszt ( 1848 ) che esprime “ quel che si ode su la montagna “ (
da Victor Hugo, V poesia delle Feuilles d'automne ). Le
espressioni tra virgolette richiamano il motivo conduttore dell'opera
di Nietzsche Così parlò Zarathustra, compendio di tutta
questa mitologia eroica.
Pag. 161 : pagina
fondamentale di poetica. Posto che musica, poesia e danza non possono
più essere fuse in un solo corpo, data l'evoluzione di ciascuna per
diverse vie verso una singola potenza d'espressione, solo la Parola
in quanto Idea può racchiudere in sé l'unità originaria. Si cita
il Coro dell'Edipo re di Sofocle, precisamente il terzo
stasimo ( vedi ed. Oscar Mondadori, pag. 115, v. 1086 e seg., i versi
riportati n. 1089, 1090 non sono tradotti letteralmente ). Notare
l'espressione a pag. 162 : “ … l'apparizione consolatrice della
grande Madre comune … “
Notare che a pag. 161,
laddove l'autore scrive “ … stato fugace d'inconsapevolezza “,
“ … sorgente eterna, dal mistero stesso della Natura, dall'anima
stessa delle cose universe ! “ si sente l'influsso indiretto della
filosofia di Schelling.
Ecco i versi di Sofocle :
Χορός
εἴπερ ἐγὼ
μάντις εἰμὶ καὶ κατὰ γνώμαν ἴδρις,
οὐ τὸν Ὄλυμπον
ἀπείρων, ὦ Κιθαιρών,
οὐκ ἔσει τὰν
αὔριον
πανσέληνον, μὴ
οὐ σέ γε καὶ πατριώταν Οἰδίπουν
καὶ τροφὸν καὶ
ματέρ᾽ αὔξειν,
καὶ χορεύεσθαι
πρὸς ἡμῶν, ὡς ἐπὶ ἦρα φέροντα τοῖς
ἐμοῖς τυράννοις.
ἰήϊε Φοῖβε, σοὶ
δὲ ταῦτ᾽ ἀρέστ᾽ εἴη.
E
nella traduzione di Ettore
Romagnoli :
CORO:
Strofe prima
Se buon profeta io sono
- né sottil me a torto reputo -,
Alpe del Citerone, tu,
per l'Olimpo, ci vedrai dimani
festeggiarti al
plenilunio,
quale madre d'Èdipo,
quale nutrice e patria,
e con danze onorarti:
poiché tu di lieta sorte i signor nostri gratifichi.
E a te grato il voto
giunga, Febo re, che i morbi sani.
Il brano di D'Annunzio :
–“ Hai
tu mai pensato quale potesse essere la musica di quella specie d′ode
pastorale che il Coro canta nell′Edipo
re
quando Giocasta fugge inorridita e il figlio di Laio è tuttavia
illuso da un′ultima speranza? Te ne ricordi? ‟O Citerone, sia
testimonio l′Olimpo, prima che un altro plenilunio si compia....”
L′imagine delle montagne interrompe per alcuni attimi l′orrore
del drama; la serenità agreste dà una tregua allo spavento umano.
Te ne ricordi? Cerca di rappresentarti la strofe in guisa d′una
cornice, entro le cui linee si svolga una serie di movimenti
corporei, una espressiva figura di danza, che la melodia animi della
sua vita perfetta. Ecco evocato dinanzi a te lo spirito della Terra
nel disegno essenziale delle cose; eccoti l′apparizione
consolatrice della grande Madre comune su la sventura dei suoi figli
percossi e tremanti; eccoti, infine, una celebrazione di ciò che è
divino ed eterno, su gli uomini trascinati alla demenza e alla morte
dal Fato crudele. Cerca ora di intuire in qual modo quel canto mi
abbia aiutato a trovare per la mia tragedia i mezzi della più alta e
della più semplice espressione.... “
Pag. 166, si parla del
dramma per musica e Daniele Glauro afferma : “ … la musica è il
principio e la fine del verbo umano. “ Motivo tòpico della
celebrazione della Musica come madre di tutte le arti.
Pag. 167, motivo romantico
della poesia primitiva quale vera poesia :
“ – Io avvicino così
le persone del drama allo spettatore. Ti ricordi tu di quella figura
che Federico Schiller, nell′ode da lui composta a celebrare la
traduzione goethiana del Maometto, adopera, per significare
che su le scene non può aver vita se non un mondo ideale? Il
Carro di Tespi, come la Barca d′Acheronte, è così lieve da
non poter sopportare se non il peso delle ombre o delle imagini
umane. Su la scena comune quelle imagini sono distanti così che
qualunque contatto con loro ci sembra impossibile come il contatto
con i fantasmi mentali. Esse sono distanti ed estranee. Ma facendole
apparire nel silenzio ritmico, facendole accompagnare dalla musica
alla soglia del mondo visibile, io le avvicino meravigliosamente
poiché rischiaro i fondi più segreti della volontà che le produce.
Intendi? La loro intima essenza è là, discoperta e messa in
comunione immediata con l′anima della folla che sente sotto le Idee
significate dalle voci e dai gesti la profondità dei Motivi musicali
che a quelle corrispondono nelle sinfonie. Io mostro insomma le
imagini dipinte sul velo e ciò che accade di là dal velo. Intendi?
E per mezzo della musica, della danza e del canto lirico creo intorno
ai miei eroi un′atmosfera ideale in cui vibra tutta la vita della
Natura così che in ogni loro atto sembrino convergere non soltanto
le potenze dei loro destini prefissi ma pur anche le più oscure
volontà delle cose circostanti, delle anime elementari che vivono
nel gran cerchio tragico; poiché vorrei che, come le creature di
Eschilo portano in loro qualche cosa dei miti naturali ond′escirono,
le mie creature fossero sentite palpitare nel torrente delle forze
selvagge, dolorare al contatto della terra, accomunarsi con l′aria,
con l′acqua, col fuoco, con le montagne, con le nubi nella lotta
patetica contro il Fato che deve esser vinto, e la Natura fosse
intorno a loro quale fu veduta dagli antichissimi padri: l′attrice
appassionata di un eterno drama. “
Pag. 194, ritorna il
motivo della “bestialità primitiva” :
“ Ed ella medesima, con
i piedi nella terra calda, sotto i soffii del cielo, simile nel color
della veste al predatore fulvo, sentiva sorgere dalle radici della
sua sostanza uno strano senso di bestialità primitiva, quasi
l′illusione di una lenta metamorfosi in cui ella perdesse una parte
della sua consapevolezza umana e ridivenisse una figlia della natura,
una forza ingenua e breve, una vita selvaggia. “
Ricorda la “ Pioggia nel
pineto “ di Alcyone. Più
sotto “ il senso dionisiaco della natura naturante “ è un altro
motivo dominante del decadentismo, frutto dell'insegnamento di
Nietzsche e di Swinburne :
“ Non
toccava egli così in lei il più oscuro mistero dell′essere? non
le faceva sentire così la profondità animale da cui erano scaturite
quelle rivelazioni del suo genio tragico inattese che avevano scosso
e inebriato la moltitudine come gli spettacoli del cielo e del mare,
come le aurore, come le tempeste? Quando egli le aveva parlato dello
sloughi tremante, non aveva egli divinato da quali analogie naturali
traesse ella le potenze d′espressione che meravigliavano i poeti e
i popoli? Per aver ritrovato il senso dionisiaco della natura
naturante, l′antico fervore delle energie istintive e creatrici,
l′entusiasmo del dio multiforme emerso dal fermento di tutti i
succhi, ella appariva nel teatro così nuova e così grande. Ella
aveva sentito in sè talvolta, quasi l′imminenza di quel prodigio
che faceva gonfiare d′un latte divino il seno delle menadi
all′appressarsi delle piccole pantere avide di nutrimento. “
Pag. 204, solita icona
della “bellezza medusea”, vedi M. Praz, La carne, la morte e
il diavolo nella letteratura romantica
:
“ Si appressò al pozzo.
Com′ella lo considerava, ogni particolarità le s′imprimeva nello
spirito e assumeva una strana forza di vita fatale: il solco delle
funi nel metallo, l′ossido verde che rigava la pietra della base,
le mammelle delle cariatidi consunte dalle ginocchia delle donne che
un tempo le premettero nello sforzo dell′attingere, e quel profondo
specchio interiore che l′urto delle secchie non turbava più, quel
breve cerchio sotterraneo che rifletteva il cielo divino. Si chinò
su la sponda, vide la sua faccia, vide il suo spavento e la sua
perdizione, vide la Medusa immobile ch′ella portava nel centro
della sua anima. “
Pag. 208, il quadro
ricorda l'alleanza di tutte le arti ne Le Grazie
di Foscolo, inoltre si apre sullo scenario di una Firenze primaverile
( il padre di Donatella Arvale scultore, Donatella cantatrice,
Foscarina attrice ) :
“ Ella
ritrovò la sua bontà profonda. Ritrovò la sua tenerezza per la
bella creatura in cui ella aveva illuso un giorno il suo bisogno di
amare Sofia, la buona sorella. Ripensò le ore passate nella villa
solitaria su la collina di Settignano, dove Lorenzo Arvale creava le
sue statue nella pienezza della forza e del fervore, ignaro della
folgore che stava per colpirlo. Rivisse in quel tempo, rivide quei
luoghi: – ella stava dinanzi al famoso artefice che la ritraeva
nella creta, e Donatella cantava qualche canzone antica, e lo spirito
del canto animava il modello e l′effigie, e i suoi pensieri e la
pura voce e il mistero dell′arte componevano quasi una parvenza di
vita divina in quel grande studio aperto da ogni parte al giorno,
onde si scopriva nella valle primaverile Firenze e il suo fiume. “
Pag.
213, misticismo sensuale. La sensazione come mezzo per raggiungere
l'estasi poetica, immergendosi nella “ Vita dai mille volti “ :
“ Il
battello toccò la riva di Fusina. Riscossi, si guardarono con gli
occhi abbacinati; e provarono entrambi una specie di smarrimento che
somigliava alla delusione, quando posero il piede a terra, quando
videro quella riva squallida ove crescevano pallide erbe rade. E il
muovere i primi passi fu ad entrambi increscioso perchè sentirono il
peso della loro carne ch′era parso alleviarsi nel fluido tragitto.
‟Mi ama, dunque?” Nel
cuore della donna si ravvivava la pena con la speranza. Ella non
dubitava che l′ebrezza dell′amato fosse sincera, che le sue
parole rispondessero a un interno fervore. Ella sapeva com′egli
s′abbandonasse interamente ad ogni onda della sua sensibilità e
fosse incapace di simulazione e di menzogna. Ella lo aveva udito più
d′una volta proferire le verità crudeli con quella medesima grazia
pieghevole e felina che hanno nel mentire certi uomini dati alla
seduzione. Ella conosceva bene quello sguardo limpido e diritto, che
diveniva talora glaciale o tagliente e non mai obliquo. Ma conosceva
anche le meravigliose rapidità e diversità del sentire e del
pensare che rendevano quello spirito inafferrabile. Eravi in lui
sempre qualche cosa di ondeggiante, di volubile e di possente, che le
suscitava l′imagine duplice e diversa della fiamma e dell′acqua.
Ed ella voleva fermarlo, tenerlo, possederlo! Eravi in lui sempre un
ardore di vivere smisurato, quasi che ogni attimo gli sembrasse il
supremo ed egli stesse per dipartirsi dalla gioia e dalla doglia
dell′esistenza come dalle carezze e dalle lacrime di un commiato
d′amore. Ed ella voleva attrarre al suo solo cibo quell′avidità
insaziabile !
Che era ella dunque per
lui se non un aspetto di quella ‟Vita dai mille e mille volti”
verso di cui il desiderio, secondo un′imagine della sua poesia,
scoteva di continuo ‟tutti i suoi tirsi?” Ella era per lui un
motivo di visioni e d′invenzioni come le colline, come i boschi,
come le piogge. Egli beveva da lei il mistero e la bellezza come da
tutte le forme dell′ Universo. Ed ecco, egli era già discosto, era
già a una ricerca nuova: i suoi occhi ingenui e mobili cercavano
intorno il miracolo per meravigliarsi e per adorare. “
Pag. 216, allusione,
riguardo al sorriso di Foscarina, al sorriso della Gioconda :
“ – Taci! –
ella disse con un fievole soffio, come se andasse per un sepolcreto;
e le apparve a fior della bocca un sorriso tenuissimo, eguale a
quello ch′era diffuso nelle campagne, e vi si fermò, vi rimase
immobile come su le labbra d′un ritratto. “
Pag. 221, la descrizione
della villa Pisani, ove aveva soggiornato anche Napoleone I, ha tutte
le caratteristiche dell'edificio prediletto dai decadenti, lo stesso
pittore citato ( Tiepolo ) è l'esponente del settecento sensuale e
morente ( vedi Marcel Brion, Pittura romantica
) :
“ Traversarono
la stanza in un bagliore vermiglio. Il sole batteva su un canapè di
cremisi, svegliava l′iride in un gracile lampadario a gocciole di
cristallo pendente dalla volta, accendeva le strisce rosse
perpendicolari nella parete. Stelio si soffermò su la soglia, si
rivolse indietro, evocò in quel sangue splendente la figura pensosa
del giovine arciduca dagli occhi cerulei, il bel fiore d′Asburgo
caduto su la terra barbarica in un mattino d′estate.
– Andiamo! –
pregò di nuovo la Foscarina che lo vide indugiarsi.
Ella fuggiva attraverso la
sala immensa istoriata dal Tiepolo, mentre dietro di lei il bronzo
corintio del cancello nel chiudersi dava un suono chiaro come un
tintinno che propagavasi per la concavità in lunghe vibrazioni. Ella
fuggiva sbigottita, quasi che tutto stesse per crollarle addosso e la
luce fosse per mancare ed ella temesse di ritrovarsi sola nelle
tenebre con quei fantasmi di sventura e di morte. Camminando
nell′aria mossa da quella fuga tra quelle pareti gravi di reliquie
e di larve, dietro l′attrice famosa che su tutte le scene del mondo
aveva simulato il furore delle passioni mortali, gli sforzi disperati
della volontà e del desiderio, il contrasto violento delle sorti
superbe, Stelio Èffrena perdeva il calore delle sue vene come se
camminasse in un vento gelido, sentiva il suo cuore agghiacciarsi, il
suo coraggio affievolirsi, la sua ragione di vivere perdere ogni
forza, i suoi legami con gli esseri e con le cose allentarsi,
vacillare e dileguare le illusioni magnifiche ch′egli aveva date
alla sua anima per incitarla a sorpassar sé medesima e il suo
destino. “
Pag. 231 : “ … la
comunione della sua vita con la vita arborea … “, “ …
l'industria del primo fabbro di ali, il mito del mostro nato da
Pasifae e dal Toro … “ sono un evidente richiamo ad Alcyone.
“
Carponi egli s′era insinuato nel cespuglio, a capo
scoperto. Sentiva sotto i ginocchi le foglie macere, il musco molle.
E come egli respirava nei rami e palpitava in essi e aveva tutti i
sensi presi da quel piacere, la comunione della sua vita con la vita
arborea si fece più stretta e l′incanto della sua imaginazione
rinnovò in quel viluppo di vie dubbie l′industria del primo fabbro
di ali, il mito del mostro nato da Pasifae e dal Toro, la favola
attica di Teseo in Creta. Tutto quel mondo si fece reale per lui.
Sotto la sera purpurea d′autunno egli si trasfigurava, secondo gli
istinti del suo sangue e i ricordi del suo intelletto, in una di
quelle forme ancipiti tra bestiali e divine, in uno di quei genii
agresti la cui gola era gonfia delle glandule stesse che pendono dal
collo delle capre. Una salacità ilare gli suggeriva atti e gesti
strani, sorprese, insidie; gli figurava l′allegrezza d′un
inseguimento, d′un abbattimento, d′un congiungimento rapido sul
musco o contro il busso inculto. Egli desiderò allora una creatura
che gli somigliasse, un petto fresco a cui egli potesse comunicare le
sue risa, due gambe veloci, due braccia pronte alla lotta, una preda
da ghermire, una verginità da sforzare, una violenza da compiere.
Donatella dalle reni falcate gli riapparve. “
Pag.
273, il personaggio di Dante Alighieri è concepito secondo una
visione eroica dell'esistenza. Si sente l'influsso de Gli
Eroi ( 1841 ) di Carlyle.
“ –
Imaginate, Fosca, se potete, senza sbigottirvi, l′empito
e l′ardore della smisurata anima nel mescolarsi alle energie
elementari per concepire questi suoi mondi! Imaginate l′Alighieri,
pieno già della sua visione, su le vie dell′esilio, pellegrino
implacabile, cacciato dalla sua passione e dalla sua miseria di terra
in terra, di rifugio in rifugio, a traverso le campagne, a traverso
le montagne, lungo i fiumi, lungo i mari, in ogni stagione, soffocato
dalla dolcezza della primavèra, percosso dall′asprezza
dell′inverno, sempre vigile, attento, aperto gli occhi voraci,
ansioso del travaglio interiore ond′era per formarsi l′opera
gigantesca. Imaginate la plenitudine di quell′anima nel contrasto
delle necessità comuni e delle infiammate apparizioni che gli si
facevano incontro di repente allo svolto di un cammino, sopra un
argine, nella cavità di una roccia, pel declivio di una collina, nel
folto di una selva, in una prateria canora di allodole. Per i tramiti
dei sensi la vita molteplice e multiforme gli si precipitava nello
spirito trasfigurando in viventi imagini le idee astratte ond′esso
era ingombro. Ovunque, sotto il passo doloroso, scaturivano sorgenti
imprevedute di poesia. Le voci le parvenze e le essenze degli
elementi entravano nell′occulto lavoro e lo aumentavano di suoni,
di linee, di colori, di movimenti, di misteri innumerabili. Il Fuoco
l′Aria l′Acqua e la Terra collaboravano al poema sacro,
pervadevano la somma della dottrina, la riscaldavano, l′attenuavano,
la irrigavano, la coprivano di foglie e di fiori.... Aprite questo
libro cristiano e imaginate aperta a riscontro la statua di un dio
greco. Non vedete erompere dall′uno e dall′altra la nube o la
luce, i baleni o i venti del cielo? “
Pag.
278, concezione wagneriana, ma anche schellinghiana dell'Arte : “ …
sia manifesta quella unità della vita a cui tende lo sforzo della
mia arte. “
“ – Tu devi evocare
Cassandra dal suo sonno, tu devi sentir rivivere le sue ceneri nelle
tue mani, tu devi averla presente nella tua veggenza. Vuoi tu?
Comprendi! Bisogna che la tua anima viva tocchi l′anima antica e si
confonda con quella e faccia un′anima sola e una sola sventura,
cosicché l′errore del tempo sembri distrutto e sia manifesta
quella unità della vita a cui tende lo sforzo della mia arte.
Cassandra è in te e tu sei in lei. Non l′hai amata, non l′ami
anche tu la figlia di Priamo? Chi dimenticherà mai, se una volta ti
udì, chi dimenticherà mai il suono della tua voce e la convulsione
delle tue labbra al primo grido del furore fatidico: ‟Oh Terra! Oh
Apollo!., Ti rivedo muta e sorda sul tuo carro, con quel tuo aspetto
di fiera presa di recente. Ah, ma fra tante grida terribili v′era
qualche anelito infinitamente dolce e triste. I Vecchi ti
paragonavano al ‟fulvo usignuolo”. Come dicevano, come dicevano
le tue parole quando tu ti ricordavi del tuo bel fiume? e quando i
vecchi ti domandavano dell′amore del dio? Non le hai tu in mente? “
Pag. 280, influssi
evidenti delle idee di Nietzsche e di Wagner : “ Il sentimento
musicale, generatore del drama, … “
“ Allora egli fu
interamente avvolto dal turbine lirico; non respirò se non
nell′etere infiammato della sua poesia. Il sentimento musicale,
generatore del drama, si determinò nelle forme del Preludio ch′egli
componeva. La tragedia trovò su quel fulcro sonoro il suo equilibrio
perfetto tra le due forze che dovevano animarla, tra la forza della
scena e la forza dell′orchestra. Un motivo di straordinaria potenza
segnò nel mare sinfonico l′apparizione dell′antico Destino. “
Pag. 283, “ L'arte, come
la magia, è una metafisica pratica “ dice Daniele Glauro. Vedi
Novalis e Schelling ( Sistema dell'idealismo trascendentale
) :
“ –
Bisogna, intendi?, che io sollevi dinanzi agli occhi
della moltitudine questa massa enorme in un sol tratto. Ecco in che
consiste la difficoltà del mio Preludio. Questo primo sforzo è il
massimo che l′opera mi chieda. Io debbo nel tempo medesimo
sollevare dal nulla il mio mondo e porre l′anima innumerevole nello
stato musicale più atto a ricevere l′insolita rivelazione.
L′orchestra deve produrre questo prodigio. ‟L′arte, come la
magìa, è una metafisica pratica” dice Daniele Glàuro. Ed ha
ragione. “
Pag.
299, citazione da Eraclito ( influsso di Nietzsche ) : “ L'arco ha
per nome Bios e per opera la morte. “
“ – Conosci tu questa
parola del grande Eraclito? ‟L′arco ha per nome Bios e per opera
la morte.” Questa è una parola che, prima di comunicare agli
spiriti il suo significato certo, li eccita. La udivo di continuo
entro di me, quando ero seduto alla tua tavola, in quella notte
d′autunno, nell′Epifanìa del Fuoco. Ebbi un′ora di vita
veramente dionisiaca, un′ora di delirio chiuso ma terribile come se
io contenessi la montagna incendiata dove urlano e si divincolano le
Tìadi. Veramente mi pareva di udire, ora sì e ora no, clamori e
canti e le grida di una strage lontana. E mi stupivo di rimanere
immobile, e il senso della mia immobilità corporea aumentava la mia
frenesia profonda. E non vedevo più nulla fuorché la tua figura che
a un tratto era divenuta bellissima, e nella tua figura la forza di
tutte le tue anime e, dietro, anche i paesi e le moltitudini. Ah, se
potessi dirti come io ti vidi! Nel tumulto, mentre passavano imagini
meravigliose accompagnate da nembi di musiche, ti parlavo come a
traverso una battaglia, ti gittavo qualche richiamo che forse tu
udivi, non per l′amore soltanto ma per la gloria, non per una sete
sola ma per due seti; e non sapevo quale fosse la più ardente. E,
come mi appariva la tua faccia, così allora m′appariva anche la
faccia della mia opera. La vidi! Intendi? Con una incredibile
celerità, nella parola nel canto nel gesto nella sinfonia la mia
opera s′integrò e visse d′una tal vita –che, se io riescissi a
infonderne pur una parte nelle forme che voglio esprimere, veramente
potrei infiammare di me il mondo. “
Pag. 301, Stelio esprime
la sua sconfinata ammirazione per Wagner : “ … la mia
riconoscenza verso Colui che doveva imporre al mio spirito la
necessità di essere eroico nel suo sforzo di liberazione e di
creazione. “ Si noti l'enfatizzazione del destino eroico e la
concezione dell'arte come liberazione ( vedi Schelling ) :
“ L′imagine del
creatore barbarico gli riapparve: gli occhi cerulei brillarono sotto
la fronte vasta, le labbra si serrarono sul robusto mento armate di
sensualità, di superbia e di dispregio. Poi rivide i capelli
bianchi, che il vento crudo agitava su quella nuca senile, sotto le
larghe falde del feltro, e l′orecchio quasi livido dal lobo gonfio.
Poi rivide il corpo immobile, abbandonato su le ginocchia della donna
dal viso di neve e il lieve tremito che agitava uno dei piedi
pendente. Ripensò quel suo brivido ineffabile di spavento e di gioia
nel sentire all′improvviso sotto la sua mano ripalpitare il cuore
sacro.
– Ah, non dinanzi
ma intorno al mio spirito, dovevo dire. Talvolta è come un oceano in
tempesta, che tenti di travolgermi e d′inghiottirmi. La mia Temòdia
è una roccia di granito in alto mare, e io sono come un artefice che
vi costruisca un puro tempio dorico tra la violenza dei flutti contro
i quali egli debba difendere l′ordine delle sue colonne, teso il
suo spirito incessantemente per non cessar mai di udire tra quel
fragore l′intimo ritmo che solo regolerà gli intervalli delle sue
linee e dei suoi spazii. Anche in questo senso la mia tragedia è un
combattimento.
Egli rivide il palazzo
patrizio quale eragli apparso nella prima alba d′ottobre, con le
aquile con i corsieri con le anfore con le rose, chiuso e muto come
un alto sepolcro mentre sul fastigio il cielo s′infiammava
all′alito dell′aurora.
– In quell′alba,
– egli soggiunse, – dopo la notte di delirio, passando pel
canale, lungo il muro di un orto, colsi certi fiori violetti negli
interstizii del mattone e feci accostare la gondola al Palazzo
Vendramin per gettarli dinanzi alla porta. L′offerta era troppo
esigua, e io pensai agli allori ai mirti e ai cipressi. Ma in quel
mio atto spontaneo si esprimeva la mia riconoscenza verso Colui che
doveva imporre al mio spirito la necessità di essere eroico nel suo
sforzo di liberazione e di creazione. “
Pag. 319, descrizione
d'una stampa, nell'appartamento della Foscarina, rappresentante la
Melancholia di Albert Duerer, simbolo del genio artistico :
“ Il grande Angelo
terrestre dalle ali d′aquila, lo Spirito senza sonno, coronato di
pazienza, stava seduto su la pietra nuda, con il cubito poggiato al
ginocchio, con la gota sorretta dal pugno, tenendo su l′altra
coscia un libro e le seste nell′altra mano. Ai suoi piedi giaceva,
raccolto in giro come un serpente, il levriere fedele, il cane che
primo nell′alba dei tempi cacciò in compagnia dell′uomo. Al suo
fianco, quasi appollaiato sul taglio di una macina come un uccello,
dormiva il fanciullo già triste tenendo lo stilo e la tavoletta in
cui doveva scrivere la prima parola della sua scienza. E intorno
erano sparsi gli strumenti delle opere umane; e sul capo vigile,
presso l′apice di un′ala, scorreva nella duplice ampolla la
sabbia silenziosa del Tempo; e scorgevasi in fondo il Mare con i suoi
golfi con i suoi porti con i suoi fari calmo e indomabile, su cui,
tramontando il Sole nella gloria dell′arcobaleno, volava il
vipistrello vespertino recando inscritta nelle sue membrane la parola
rivelatrice. E quei porti e quei fari e quelle città, li aveva
costrutti lo Spirito senza sonno, coronato di pazienza. Egli aveva
tagliato la pietra per le torri, abbattuto il pino per i navigli,
temprato il ferro per ogni lotta. Egli stesso aveva imposto al Tempo
il congegno che lo misura. Assiso, non per riposarsi ma per meditare
un altro lavoro, egli fissava la Vita con i suoi occhi forti ove
splendeva l′anima libera. Da tutte le forme intorno a lui saliva il
silenzio, tranne da una. Sola s′udiva la voce del fuoco ruggente,
nel fornello, sotto il crogiuolo ove dalla materia sublimata doveva
generarsi qualche virtù nuova per vincere un male o per conoscere
una legge. E il grande Angelo terrestre dalle ali d′aquila, al cui
fianco fasciato d′acciaio pendevano le chiavi che aprono e
chiudono, così rispondeva a coloro che l′interrogavano: ‟Il Sole
tramonta. La luce, che nasce dal cielo, muore nel cielo; e un giorno
ignora la luce di un altro giorno. Ma la notte è una; e la sua ombra
sta su tutti i volti e la sua cecità su tutti gli occhi, tranne sul
volto e su gli occhi di colui che tiene acceso il suo fuoco per
illuminare la sua forza. Io so che il vivo è come il morto, il desto
è come il dormiente, il giovine è come il vecchio, poiché la
mutazione dell′uno dà l′altro; e ogni mutazione ha il dolore e
la gioia per compagni eguali. Io so che l′armonia dell′Universo è
fatta di discordie, come nella lira e nell′arco. So che io sono e
non sono; e che uno stesso è il cammino, in basso e in alto. So gli
odori della putredine e le infezioni innumerevoli che sono congiunte
alla natura umana. Tuttavia, di là dal mio sapere, séguito a
compiere le mie opere palesi o segrete. Ne veggo talune perire mentre
io ancora duro; ne veggo altre che sembrano dover durare eternamente
belle e immuni da ogni miseria, non più mie, se bene nate dai miei
mali più profondi. Veggo dinanzi al fuoco mutarsi tutte le cose,
come i beni dinanzi all′oro. Una sola è costante: il mio coraggio.
Non m′assido se non per rialzarmi.”
Nella seconda parte del
brano vi sono probabili citazioni dai Frammenti di Eraclito, non è
da escludere il Pimandro
di Ermete Trismegisto. L'episodio riferito ( il colloquio tra
Foscarina e Stelio ) avviene dopo l'annuncio della morte dell'eroe :
Wagner.
Pag.
323, Wagner nunzio d'una nuova religione ( la stessa cosa fece il
Nietzsche ! ) : “ L'alto silenzio era degno di Colui che aveva
trasformato in infinito canto per la religione degli uomini la forza
dell'Universo. “
Pag.
324, gli artieri con i fasci dei lauri colti sul Gianicolo sembrano
preannunciare l'iconografia fascista :
“
Allora s′avanzarono i due artieri con i loro fasci di
lauri colti sul Gianicolo.
Membruti e possenti,
eletti tra i più forti e tra i più belli, parevano foggiati
nell′antica impronta della stirpe romana. Erano gravi e tranquilli,
con la libertà selvaggia dell′Agro nei loro occhi venati di
sangue. I loro lineamenti risentiti, la fronte bassa, la chioma corta
e crespa, le mascelle salde, il collo taurino, ricordavano i profili
consolari. La loro attitudine scevra d′ogni ossequio servile li
faceva degni del carico. “