martedì 26 dicembre 2023

Il dramma musicale

 

L'indagine di Schuré coincide con l'asserto del Nietzsche nella Nascita della tragedia, anche il francese considera il dramma musicale


la forma drammatica più elevata e più completa che l'arte umana è riuscita a creare. Questa forma apparve la prima volta, con una purezza e una maestà senza pari, nella tragedia greca 1.


Quell'unità dell'Arte che i Greci avevano realizzato, quell'unità dell'Uomo, ora è distrutta nonostante il progresso della scienza e della tecnica,


l'unità dell'uomo è distrutta, il suo equilibrio è rotto. Non altrimenti l'arte divina non è più viva : vive solo nelle sue parti. Le due Muse sorelle, che furono unite, sono adesso separate. Vuol forse dire questo che ciascuna basta a se stessa ? Ambedue lo credono, lo dicono; ma non è così, e istintivamente esse non fanno che cercarsi 2.


Sede dell'unità originaria di musica e poesia è il dramma musicale. Sia Shakespeare che Beethoven mostrano di anelare all'antica unità, ma è soprattutto Wagner colui che ha tentato di riunificare le due arti.


Il popolo greco fu il popolo educatore per eccellenza. Se l'arte è stata lo scopo unico della sua vita, riconosciamo che tutta la sua vita, pubblica e privata, è stata un'opera d'arte 3.


La scintilla divina che giace sopita nell'uomo dei secoli precedenti e seguenti si è rivelata appieno nel mondo ellenico e ha dato vita alla civiltà della bellezza, dell'umanità più elevata e aristocratica che ci sia mai stata. Schuré al contrario di Nietzsche punta il dito su quello che a lui sembra essere il pregio principale di quella civiltà, cioè l'equilibrio, la razionalità, l'armonia d'anima e corpo. Ma dopo tutto questa è una concezione che anche il Nietzsche condivide (come tutti gli uomini colti del suo tempo).


Il genio ellenico culmina nell'arte tragica. Nel mito questo è il regno del mago Dioniso, che nel tempio augusto della tragedia svolge i destini degli uomini e degli dei 4.


Come si vede, Schuré non si discosta poi molto dal dionisismo di Nietzsche.

Il mito viene fatto risalire ai primordi della civiltà greca, quando l'uomo era ancora primitivo ma


chi può assicurarci che l'uomo primitivo non abbia avuto un sentimento della vita più vero di noi, con tutte le nostre scienze e tutte le nostre filosofie 5?


L'ebbrezza pànica, la mistica unione col tutto, ecco gli stessi ingredienti del dionisismo nicciano :


ebbrezza senza confini, profondo amplesso dello spirito e della natura, simile a quello della terra e del cielo nell'uragano. Da questo grande, ardente amplesso nacquero gli dei 6.


Se il Nietzsche ci parla di apollineo e dionisiaco, Schuré forse più esattamente si rifà ai due elementi opposti ma indispensabili dell'anima ellenica cioè quello orgiastico dei riti di Cibele e dei coribanti e quello euritmico dello Zeus pelasgico, simbolo di luce, saggezza e misura. Due entità opposte ma compenetrantisi, il Cielo e la Terra, Zeus e Cibele, il culto pelasgico e quello frigio sono per Schuré gli elementi originali di quell'antitesi che sta alla base della futura tragedia e che Nietzsche ha identificato in divinità posteriori e seguenti all'epoca omerica. L'interpretazione di Schuré mi sembra più calzante e attendibile.

La musica assume un'importanza fondamentale per lo sviluppo della lirica greca, nata appunto dalla stessa ispirazione musicale 7. Schuré intuisce molto bene che la metrica greca è prima di tutto notazione musicale e in ciò la lirica antica si distingue nettamente da quella moderna, in cui la metrica è un dettaglio secondario rispetto all'ispirazione poetica (e infatti molta poesia moderna potrebbe anche essersi espressa in prosa, vedi Shakespeare che alterna versi a prosa).

Dopo le belle pagine dedicate a Saffo, Alceo, Alcmane e Pindaro, in cui si sottolinea l'importanza della coesistenza di musica e poesia, nonché della danza, soprattutto in Alcmane e Pindaro, ecco che si arriva al punto fondamentale per collegare quest'opera con quella di Nietzsche e cioè il culto di Dioniso.

Schuré, trattando del culto dionisiaco, cita in nota La nascita della tragedia dallo spirito della musica di Nietzsche, e le assegna la data del 1870. Senza dubbio l'opera precede di qualche anno quella di Schuré, altrimenti è ovvio che il francese non l'avrebbe potuta citare. E' interessante, comunque, l'apprezzamento da parte di Schuré, quando sappiamo che in ambiente filologico tedesco il libro del Nietzsche fu piuttosto denigrato. D'altra parte tra i due autori vi sono non pochi punti in comune, uno dei quali è senza dubbio l'entusiasmo poetico.

Generalmente in accordo con Nietzsche, Schuré attribuisce alle tragedie di Eschilo il preponderante peso del coro e l'impeto musicale che sostiene tutto l'impianto dell'opera. Con Sofocle comincia a stagliarsi sullo sfondo del coro l'eroe e ad essere rappresentato in modo più realistico. Tuttavia, se si sottrae alle tragedie di Sofocle il coro, le si priva della loro componente essenziale. Tanto in Eschilo che in Sofocle l'elemento religioso e musicale, cioè, per dirla con Nietzsche, dionisiaco, è inscindibile dall'opera drammatica.

Non è detto esplicitamente, ma (anche nel brano citato da Opera e dramma di R. Wagner) è evidente che l'atto d'amore assoluto d'Antigone prelude al messaggio cristiano. Qui Schuré mostra il suo punto di vista radicalmente diverso da quello di Nietzsche, l'istinto dionisiaco viene superato dalla superiore coscienza dell'essere uomo.

A proposito di Euripide Schuré si attiene sostanzialmente al giudizio di Nietzsche di cui riporta l'espressione secondo la quale Euripide portò sulla scena lo spettatore. Anche a parere di Schuré il senso critico è stato fatale ad Euripide perché ha soffocato il poeta ch'era in lui. Il giudizio sulla commedia di Aristofane e poi sul dramma “borghese” di Menandro è sempre concorde con quello di Nietzsche. L'Arte vivente della tragedia venne sostituita dalla letteratura così come al grande greco dell'epoca classica animato da eroismo e amore della misura e del bello, subentrò il greculo meschino dell'età romana.

Sia Schuré che Nietzsche (cap. 11 de La nascita della tragedia) riportano l'aneddoto riferito da Plutarco ne La morte degli oracoli e cioè il grido udito dal navigante che costeggiava l'isola di Paxo e che annunciava la morte di Pan. Questo racconto di Plutarco 8, diversamente interpretato da Frazer e Reinach, evidentemente colpì molto la fantasia dell'autore francese e del filosofo tedesco, sicuramente per il suo fascino romantico .

Interessante, relativamente a Shakespeare, la considerazione della musica celeste del dramma La tempesta che si contrappone alle tempeste dell'anima proprie della precedente produzione artistica del grande inglese. Shakespeare è visto infatti come l'evocatore delle passioni più violente dell'animo, conoscitore di tutto quel mondo magmatico e vario che s'agita mirabilmente nel cuore umano.

Nelle pagine seguenti Schuré delinea il ritratto artistico di lord Byron, genio del romanticismo ribelle, assetato di libertà, ma è nell'opera di Shelley che vede il ritorno al panteismo ellenico, la riconquista dell'armonia originaria perduta e di una musica che risulta dall'accordo universale di tutto il creato. E questa celebrazione di un risorto paganesimo è presente nell'Ode alla libertà (si noti l'influsso su Carducci in Alle fonti del Clitumno) :


poiché tu gemesti, non piangesti, allorché dal suo mare di morte – per uccidere e bruciare – il serpe di Galilea uscì, strisciando, fuori, e fece del tuo mondo un mucchio di rovine indistinguibili 9!


Con Goethe ritorna il culto ellenico della bellezza vivente. Il poeta tedesco fonde insieme il ribellismo di Byron con la religiosità panteista di Shelley, filosofo e poeta è l'araldo d'una futura Ellade che sola può dare slancio allo spirito umano, per lui la natura è l'immagine, il corpo della divinità e la scienza non è un'applicazione arida all'osservazione dei fenomeni, ma la divinazione vera e propria del verbo divino che s'agita nella materia 10.

Con Goethe la poesia ritorna al mito e


al dramma ideale che rappresenta l'uomo eterno e innalza l'arte all'altezza di una religione 11.


La poesia, tornata con Shakespeare alla mimica viva e suggestiva, col Fausto ritorna verso la musica e già sembra tenderle la mano fin quasi a toccarla 12.


Dopo la storia della poesia da Dante a Goethe, inizia la storia della musica dal Rinascimento in poi. Quando con Goethe la poesia raggiunge il suo più alto grado di idealità tende a trasformarsi in musica, la quale in poesia non è testimoniata dalla sonorità verbale, ma dall'alto grado di universalità dei contenuti e di idealità d'espressione. Nella musica lo spirito umano viene a contatto con il mistero profondo della Vita universale, con la Volontà di cui aveva già parlato Schopenhauer. La concezione di Schuré nella sua esaltazione di Goethe e della musica (nonché di Wagner) si avvicina moltissimo a quella di Nietzsche. In fin dei conti Faust è un precursore di Zarathustra, forse Zarathustra un po' meno rivoluzionario (e per nulla misogino !).

Interessante la nota a piè di pagina 13, nella quale Schuré rivela con chiarezza l'influsso diretto della filosofia di Schopenhauer nella sua concezione della musica. Del resto tale concezione è la stessa di Wagner, del romanticismo decadente. Ma in un punto Schuré non concorda con il filosofo tedesco e quindi neppure col Nietzsche, cioè nel fatto di considerare il noumeno, l'al di là del fenomeno, il Wille, come Natura incosciente. Per Schuré si tratta invece di Natura cosciente e in questo la sua posizione si avvicina a quella dello stoicismo e di Spinoza.

Schuré, a proposito del Palestrina, definisce la musica moderna come “sentimento infinito“, mentre quella di Palestrina sarebbe armonia pura.

Schuré ci informa riguardo alla musica greca in maniera decisamente dettagliata, distinguendo i modi musicali ellenici, cioè lo ionio, il lidio, il dorio, il frigio. Queste nozioni non ci sono in alcun modo fornite dal Nietzsche, la cui argomentazione si mantiene sempre piuttosto generica. Il passaggio dalla melodia all'armonia si ha con la fusione dei vari e distinti modi e questo avviene con la musica rinascimentale.

Lo scrittore francese fa derivare la sinfonia dalla danza :


La sinfonia di Haydn è dunque la danza armonizzata 14.


E inventore della sinfonia è appunto secondo Schuré proprio Haydn.

E' importante l'affermazione secondo la quale


Mozart diresse il fiume inesausto dell'armonia nell'intimo cuore della melodia come per darle tutto il fervore del sentimento che risiede nel cuore dell'uomo 15.


Inoltre


fa cantare gli strumenti con una passione in cui si sente il desiderio della voce umana 16.


Dunque l'intenzione della musica, se non vuol naufragare nel mare dei suoni, è pur sempre quello di volgersi alla poesia, cioè alla creazione di un cosmo di immagini, di sentimenti, di pensieri in germe.

Beethoven è definito lo Shakespeare della musica. In particolare è apprezzata la famosa sonata patetica :


Il fiume della sua melodia scorre libero e grandioso al di sopra delle dighe formali. Ci incanta e ci avvolge quella melodia infinita, in tanti dei suoi adagio. Ricordiamo qui solo l'adagio cantabile della sonata patetica. Come non riconoscervi il canto che vien direttamente dall'anima, prima e al di sopra del linguaggio articolato, dolce cantilena che afferma un amore ineffabile di cui l'obbietto ci sfugge, ma di cui l'essenza divina si espande in un abbandono, in una dedizione senza limiti 17?


Seguono osservazioni tratte anche dagli scritti di Wagner sulle sinfonie di Beethoven, tra le quali la nona esprime una sorta di religione dionisiaca, un inno alla vita, alla divinità che si manifesta in tutti gli uomini, alla fratellanza universale.

Considera artificiale l'origine dell'opera lirica. Il tentativo di unificare poesia e musica sfocia nel melodramma, ma la sua origine non è spontanea, esso nasce nelle corti dei signori e non è un prodotto ingenuo del popolo né corrisponde a un intimo bisogno dell'anima.

Accusa l'opera italiana e in genere l'opera lirica di avere realizzato un'illusoria fusione delle tre arti, di fatto di avere messo insieme parti tra loro profondamente diverse e di avere dato vita a un meccanismo in cui trionfa l'artificio a discapito della naturalezza, tutto insomma è finto nell'opera lirica, è affettazione e subordinazione alle esigenze melodiche di un momento culminante, avendo come mira un semplice effetto musicale che risalta come una macchia di colore su un abito logoro e sbiadito.

Il capitolo su Gluck è originale per la tesi che individua nel compositore tedesco il creatore del dramma musicale, come Beethoven è stato l'Omero della sinfonia, Gluck è stato l'Eschilo del dramma musicale ed ha fatto rivivere l'essenza dell'antica tragedia greca. Questo il parere di Schuré, che considera l'Orfeo di Gluck come la rivelazione del suo genio musicale e il ritorno della tragedia e del mondo ellenico. Effettivamente i recitativi di Gluck insieme ai cori hanno qualcosa della tragedia antica. Ma questo insistere sul genio di Gluck in quanto interprete musicale del mito di Orfeo ed Euridice emulo degli antichi tragici greci, anzi, in quanto la musica dei moderni con la scoperta dell'armonia è superiore a quella degli antichi, superiore addirittura agli stessi Greci, mi sembra esagerato. Del resto nella tragedia antica non era certo la musica l'elemento fondamentale, ma piuttosto la parola, anche se il motivo ispiratore poteva condensarsi in qualche melodia. Mi sembra che, come in genere nella cultura ottocentesca, la concezione dell'unione primitiva di poesia, musica e danza fosse basata sull'equivoco, e l'equivoco era che queste arti fossero per così dire fuse nella tragedia o prima nell'opera di Pindaro. Ma pensare a una intima fusione delle arti è un assurdo. Si può invece pensare a un linguaggio poetico, qual era appunto, estremamente metaforico, allusivo e talvolta misterioso e per ciò tanto più suggestivo. Che cioè il risultato, l'efficacia della poesia gareggiasse nella capacità suggestiva ed evocativa con la musica, questo può ragionevolmente considerarsi una sorta di unione con la musica, ma è ovvio che la parola e il puro suono sono cose diverse, così come lo è il movimento armonioso del corpo.

Direi che unione di poesia e musica si realizza laddove la parola svolge la stessa funzione di una melodia, e molti versi insieme quella di una sinfonia, cioè la funzione evocatrice, allusiva, che è di per sé fonte di sensazioni, sentimenti, fantasie la cui origine è del tutto irrazionale e scaturisce dalle regioni ignote dell'anima, dall'inconscio. Un esempio può essere offerto dai sonetti di Shakespeare, pregevoli proprio per il loro carattere squisitamente alogico e musicale, la stessa passione d'amore, che ne è l'argomento esclusivo, difficilmente si può cogliere nella sua realtà, ma è sempre sfumata, suggerita, evocata nel ricordo della bellezza come un motivo musicale che ci ossessiona pur avendone perduto la traccia.

Quando al dramma musicale si dedicano musicisti puri come Mozart e Rossini ecco che esso scompare per dare luogo all'opera lirica originaria dove la melodia la fa da padrona. Allora la musica governa sovrana e la poesia e la danza le sono sottomesse, è impossibile la nascita del dramma perché il poeta non esercita più il suo ruolo ma è una figura di secondo piano, è un librettista, un rimaiolo che scrive secondo le esigenze del musicista creatore di belle melodie. Solo in Wagner il poeta si è imposto al musicista e infatti la sua musica è squisitamente evocativa, allude a qualcosa fuori di sé o nascosto in sé.

Pur essendo l'argomentazione di Schuré assai suggestiva, non mi convince del tutto. Secondo lui con Wagner la musica si unisce finalmente alla parola e non la sovrasta né la rende sua schiava perché è una musica essenzialmente drammatica e scaturisce dall'impeto stesso dell'azione scenica. A mio parere al contrario si tratta di una musica che, come ha bene intuito il Nietzsche, costituisce lo “spirito” della tragedia e perciò è prima e dopo di essa, tant'è vero che la si apprezza maggiormente se ascoltata senza il canto degli attori, separata dal testo del dramma. Allora si coglie veramente quello che Schopenhauer intendeva per Volontà, per espressione della pura e semplice Volontà nell'arte suprema e cioè nella musica. L'arte dei suoni all'epoca di Wagner, e anche prima, era troppo evoluta, troppo complessa per limitarsi ad essere ancella della parola, questo poteva accadere soltanto all'epoca dei Greci, dal momento che essi ignoravano tutte le risorse dell'armonia. E così si rivela l'equivoco di fondo 18 sul quale volle reggersi la teoria di Wagner e di Schuré, il fatto che con Wagner e prima con Gluck si fosse ritornati alla tragedia antica. Nulla di più falso e di più illusorio. La musica dei Greci doveva essere di una semplicità veramente sbalorditiva per noi, pari a una cantilena o al più ai canti gregoriani (che già rappresentano uno sviluppo dell'arte). Lo “spirito” della musica poi è un altro equivoco, perché Nietzsche probabilmente nella sua concezione della musica dionisiaca aspirava, come dimostrò, a qualcosa di sostanzialmente diverso dalla musica di Wagner, ma il fatto di aver dedicato la sua opera a Riccardo Wagner ha contribuito in maniera irrimediabile all'investitura del musicista tedesco quale restauratore dell'antica tragedia.

1 Edouard Schuré, Storia del dramma musicale (1872), Milano, Bottega di Poesia, 1924, p. 11

2 Ivi, p. 12

3 Ivi, p. 20

4 Ivi, p. 22

5 Ivi, p. 26

6 Ibidem.

7 Cfr. Cicerone, Orator, 183

8 Plutarco, De defectu oraculorum, 17

9 P. B. Shelley, Liriche e frammenti, a cura di Cino Chiarini, Firenze, Sansoni, 1985, p. 152, strofa 8 di Ode to liberty.

10 Cfr. I. A. Chiusano, Vita di Goethe, Milano, Rusconi, 1994, per il panteismo di origine spinoziana del poeta tedesco.

11 Op. cit. p. 145

12 Ibidem.

13 Ivi, p. 154

14 Ivi, p. 185

15 Ivi, p. 186

16 Ibidem.

17 Ivi, p. 189

18 Anche G. Colli in Apollineo e Dionisiaco ritiene il dramma estraneo all'essenza della musica. Cfr. G. Colli, Apollineo e Dionisiaco (1940), Milano, Adelphi, 2012, pp. 204-210.

sabato 23 dicembre 2023

Arthur Schopenhauer, Critica della filosofia kantiana

 


Arthur Schopenhauer, Critica della filosofia kantiana in Il mondo come volontà e rappresentazione, vol. II, Bari, Laterza, 1991


Scheda di lettura


P. 541, riconosce in Kant il suo maestro moderno, insieme agli antichi scritti induisti e Platone.

P. 544, NB : Hegel definito “goffo ed insulso”.

P. 547, Kant afferma sostanzialmente che le verità dogmatiche sono frutto della mente umana.

P. 548, mi sembra che qui Schopenhauer forzi un po' il testo di Kant, perché K. non dice che il comportamento umano sia forzatamente morale, ma è morale perché segue la legge morale. Invece S. afferma che il comportamento è determinato assolutamente dalla cosa in sé.

Ibidem, NB : elogio di Giordano Bruno, paragonato a Platone.

P. 556, attacca con veemenza gli idealisti, la cui filosofia ritiene senza senso.

P. 559, rimprovera a Kant di non aver a sufficienza distinto la conoscenza astratta dall'intuitiva.

P. 561, rimprovera a K. incoerenza e forzatura nell'uso dei termini, adattandoli al suo prefissato schema dimostrativo (senza preoccuparsi seriamente dell'oggetto della trattazione). In parole povere a Kant (come agli idealisti) interessa più il sistema che la verità.

P. 564, Schopenhauer non disistima Kant, tanto che definisce la Critica della ragion pura “l'opera più importante della letteratura tedesca” !

P. 566, rimprovera a Kant di non aver debitamente separato la conoscenza intuitiva e l'astratta.

P. 569, Kant commette un grave errore nella mistione della conoscenza intuitiva con l'astratta. Questo passo falso inficia tutta la sua teoria della conoscenza.

P. 570, Kant afferma all'inizio che l'intuizione sta a sé, che ci è data.

P. 571, nel subordinare tutta la natura all'intelletto, K. è chiaramente padre dell'idealismo, almeno secondo l'interpretazione di Schopenhauer.

P. 572, Kant non riesce a spiegare l'intuizione del mondo esterno, di qui il suo sostanziale fallimento.

P. 573, posizione chiaramente antiidealistica di Schopenhauer, mentre Kant, facendo dipendere la natura dall'intelletto, inizia la tradizione idealistica.

P. 574, dicendo che Kant nega che l'intuizione sia intellettuale, mi sembra che S. sia un po' troppo severo e tenda a giocare con le parole.

Ibidem : il discepolo è uno specchio d'ingrandimento degli errori del maestro. Detto valido per ogni epoca.

P. 575, grande errore di Kant fu introdurre un oggetto della rappresentazione tra la rappresentazione e la cosa in sé, di cui si sarebbero valse le categorie, ma sia l'uno sia le altre sono superflue. Di qua l'assoluta inutilità della dottrina delle categorie, vera e propria acrobazia cerebrale, che oscura la filosofia di Kant.

P. 580, è evidente che quando K. afferma che degli oggetti si hanno concetti, sbaglia ed ha invece ragione Schopenhauer dicendo che degli oggetti abbiamo intuizioni, perché i concetti sono astrazioni.

P. 581, l'amore per l'astrazione condusse Kant all'errore fondamentale dell'elaborazione del concetto puro.

P. 582, S. fa dell'ironia sull'oscurità della filosofia di Kant nel cap. “Sullo schematismo dei concetti puri dell'intelletto”.

P. 584, l'invenzione aberrante delle categorie è dovuta all'errore psicologico di K. dell'elaborazione architettonica, cioè ipotassi, a tutti i costi. E questo ovviamente non solo nel periodare, ma anche e soprattutto nella deduzione logica.

P. 586, per S. l'unica vera fonte di conoscenza è la conoscenza intuitiva, per Kant è quella concettuale.

P. 588, (contro gli idealisti) il mondo intuitivo non corrisponde affatto alla forma della riflessione, la quale potrebbe adattarsi così com'è anche a un altro mondo.

Ibidem : inconsistenza della deduzione delle categorie.

P. 589, dove parla del giudizio generale, speciale e particolare S. non è molto chiaro.

P. 592, si ha giudizio categorico solo dove viene espressa la causalità.

P. 601, 602, false considerazioni di Kant e di Aristotele sul concetto di necessario e accidentale. Il necessario assoluto (cioè libero da cause) è impossibile, l'accidentale se visto come effetto di una causa non è tale ma necessario. Senza dubbio l'argomentazione di Schopenhauer è più precisa, meno “tedesca” e più concreta.

P. 606, infondatezza della teoria delle categorie, dovuta alla mania simmetrica e architettonica di Kant.

P. 607, la tavola delle categorie è una gabbia basata su considerazioni casuali e arbitrarie, meglio : denominazioni casuali e arbitrarie.

P. 610, la materia è la rappresentazione della causalità ed esiste solo relativamente all'intelletto, la cui facoltà consiste nel riconoscimento di causa ed effetto.

P. 611, errore fondamentale di Kant : la mancata distinzione tra conoscenza astratta e conoscenza intuitiva.

P. 612, grande errore di Kant di avere sottovalutato l'intuizione a vantaggio del concetto astratto, anzi di averla considerata come un apporto della sensazione e di avere affermato che contribuisce alla conoscenza solo il concetto astratto ! Ibidem, invece per S. nell'intuizione “si obiettiva la cosa in sé”, l'intuizione è il fondamento della conoscenza.

P. 615, Kant confonde sempre la conoscenza data dall'intuizione con quella del pensiero e quindi dà luogo a una grande confusione. K. salta subito al pensiero astratto, senza analizzare il passaggio dalla sensazione al pensiero, senza definire né sensazione, né intelletto, né ragione. Fenomeni e noumeni sarebbero intesi da K., in senso suo proprio soltanto, come realtà manifesta e cosa in sé immanifesta, mentre il loro significato originario è quello relativo alla conoscenza intuitiva e alla conoscenza astratta. E' qui che K. non indaga, dando per scontata l'esperienza nella conoscenza intuitiva e non separando quest'ultima dall'astratta.

P. 616, invece di opinabili categorie, non avrebbe fatto meglio K. a ricorrere alle forme proprie della grammatica, ad es. sostantivi, aggettivi, verbi ?

P. 623, Schopenhauer non considera la ragione umana una facoltà principe come fa Kant, tanto che per lui l'incondizionato per la ragione è un nonsenso. S. attribuisce maggiore importanza all'intelletto e all'intuizione.

P. 626, Kant nella sua ricerca dell'incondizionato non è stato tanto guidato dalla ragione quanto dalla religione, egli perviene con sofismi a dimostrazioni pseudorazionali.

P. 627, 628, le notizie che S. fornisce del fatto che Platone avrebbe derivato la sua concezione della divinità da Mosé, sono errate. Platone è un seguace del pitagorismo e dell'orfismo, non aveva nessuna notizia della religione ebraica.

P. 629, Kant fa un cattivo uso della parola idea, perché la intende come concetto astratto, mentre il suo vero significato platonico è “immagine, visione” e la sua comprensione non è affidata alla riflessione razionale, ma all'intuizione.

P. 630, errore di Kant nell'identificare il quid metafisico nel soggetto, perché quest'ultimo appartiene alla logica, se identificato giustamente nella sostanza esso allora in quanto sostanza permanente è la materia. Equivoco di Kant che ha identificato soggetto e predicato in sostanza e accidente e ha confuso concetti astratti propri della logica e del regno della ragione con oggetti intuiti dall'intelletto in un rapporto diretto con il mondo fenomenico.

P. 633, contrariamente al procedimento logico della ragione che ricava i concetti generici dall'assemblaggio di quelli specifici, il concetto generico di sostanza fu ricavato soltanto da quello specifico di materia, in quanto un suo accidente, la permanenza, venne preso come unico significato di sostanza. Si tratta perciò di un'operazione di falsificazione volta solo a incamerare nel concetto di sostanza di per sé fasullo il concetto di sostanza immateriale accanto a quello della materia, di qui il concetto falso di anima intesa come sostanza.

P. 635, le categorie di Kant sono derivate dalla sua mania della simmetria, puri sofismi.

P. 639, cita il libro di Giordano Bruno, De l'infinito, universo e mondi, S. apprezza molto il Nolano.

P. 641, l'ammettere un principio nella serie delle cause, risulta surrettizio e falso.

P. 644, l'infinito non è esauribile con alcuna rappresentazione, cioè non si può pensare l'infinito. Per altro il mondo non esiste in sé, ma solo nella rappresentazione, vale a dire che la totalità non esiste e l'incondizionato non è conoscibile. NB : il mondo deve esistere solo nella rappresentazione del soggetto, che può seguire la serie di cause e di effetti all'infinito nel regresso (ma mai nel progresso !).

Si noti che se l'infinito non è conoscibile né si può supporre un principio dello spazio, allora il Soggetto primo (Dio) deve essere fuori della serie delle cause. Ciò dà ragione a Platone e alla sua concezione del Demiurgo, non creatore, ma ordinatore del mondo. Allora il Soggetto non è neppure infinito e non si identifica con l'universo, ma è Intelligenza che conosce e opera. Vide Cicerone, Tusculanae disputationes, I, 25 e Platone, Timeo, 38 a e 39 b. (Il corsivo è mio).

P. 647, Kant ha erroneamente ritenuto che il substrato del fenomeno sia la cosa in sé, la quale invece non appartiene minimamente al fenomeno, ma è solo soggetto, mai oggetto.

Dal mio punto di vista, non capisco perché Schopenhauer, dopo avere indicato nella volontà dell'individuo il suo essere in sé, passi a una Volontà universale che si individua nel singolo, visto come momentanea manifestazione. Io come soggetto individuale come posso essere nello stesso tempo universale ? Come posso essere cosa in sé individuale e cosa in sé universale ?

P. 648, critica la concezione di Kant della perfetta libertà umana espressa nella Critica della ragion pratica, si tratta di mera illusione.

P. 651, molto acutamente rimprovera a Kant di avere negato la presenza della cosa in sé nei semplici fenomeni della natura anche animale, tranne che nell'uomo. Si tratta infatti di una inconseguenza, se al fenomeno è sotteso il noumeno, questo deve valere per tutti i fenomeni.

Tanto per esemplificare, il termine νοούμενον è usato dagli stoici nel significato di “pensiero” (vedi Diogene Laerzio, VII, 59). Quindi la terminologia che sia Kant che Schopenhauer utilizzano non è molto chiara.

P. 654, accusa Kant di aver proseguito nella concezione della filosofia scolastica dell'Ens realissimum e di aver dato inizio all'astrazione epistemica propria dell'Idealismo.

P. 656, attacca la filosofia delle università, il cui intento è chiaramente politico.

P. 659, riconosce a Kant il grande merito di avere considerato tutta la realtà come semplice fenomeno. Kant ha aperto la via ad una nuova visione del mondo (che è quella naturalmente di Schopenhauer).

P. 663, giustamente per quanto riguarda la morale, Rousseau attribuisce più importanza alla coscienza che non alla ragione.

P. 664, cita Cicerone, De natura deorum, III, c. 26-31, riguardo alla ragione come mezzo e strumento per tutti i delitti.

P. 666, dotta dissertazione sul “nihil admirari” oraziano. Schopenhauer mostra di possedere una raffinata cultura umanistica.

P. 668, fa dell'ironia sul concetto di ragione in Kant, “il sesto senso delle nottole”.

P. 669-670, Kant non ha mai dato una definizione chiara ed esaustiva del termine “ragione”.

P. 671, il concetto di dovere incondizionato di Kant è contraddittorio e la sua concezione della virtù fine a se stessa è già in Platone.

P. 674, contesta l'impostazione teorica dell'etica di Kant basata su un complicato formalismo che invece si può risolvere nel precetto “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”. Ma questo è pur sempre un precetto egoistico. L'imperativo categorico disinteressato è una illusione.

P. 675, la massima della Critica della ragion pratica, del dovere per il dovere, è assurda e pedantesca. Il fondamento di un'azione a beneficio del prossimo non è il dovere per se stesso, ma l'amore.

P. 676, impostazione tutto sommato errata della Critica della ragion pratica, svolta tutta sulla falsariga della Critica della ragion pura e basata su concetti non dimostrati come dignità e felicità, la quale ultima è erroneamente collegata al concetto di virtù.

P. 677, la dottrina del diritto di Kant viene definita “una parodia satirica della maniera kantiana”, a sottolineare la sua intrinseca debolezza.



domenica 10 dicembre 2023

Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge

 


Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge (1910), Milano, Adelphi, 2020


P. 14-18, la morte del ciambellano Brigge. Rilke personifica gli oggetti della casa, dà sentimento a tutto e naturalmente agli animali. Rende viva la morte.

P. 24-33. Infatti in un ricordo d'infanzia rivive l'emozione subita alla vista d'un fantasma, nell'antica dimora del nonno materno. La rievocazione è surreale e dominata dal tema della morte.

P. 43, vede il suo doppio. Estraniamento psichico, cfr. Il sosia di Dostoevskij. Segue una serie di impressioni senza capo né coda di tipo surrealista, a volte cervellotiche, e ciò, secondo me, costituisce il principale limite di questa prosa.

P. 70, il racconto del cane e dello spettro di Ingeborg è assai suggestivo, come già nel racconto della vita di famiglia in casa del nonno. In questi episodi Rilke dà la miglior prova di sé.

P. 74, l'episodio della mano sotto il tavolo conferma l'atmosfera surreale. La mano infatti non è unita ad alcun corpo.

P. 76, il rapporto del protagonista narratore con la madre è molto simile a quello di Proust (personaggio) in Dalla parte di Swann (Du côté de chez Swann).

P. 117-122, le pagine sulla morte del padre e di Cristiano IV sono estremamente suggestive e intense. Rilke sa comunicare sentimenti d'una profondità che colpisce al cuore.

P. 152, l'amore adolescenziale per Abelone, ineffabile e irraggiungibile.

Nelle pagine seguenti la narrazione si fa sempre più surreale ed ermetica, come a proposito di un re di Francia. Tempo e spazio sembrano aboliti e il lettore subisce una sorta di smarrimento.

P. 178, interpretazione dell'amore di Saffo. Si sente qui l'amante della Lou Salomé.

P. 182, il canto di Abelone, anche qui una celebrazione dell'eterno femminino, del potere divino della grazia e della bellezza.

P. 184, l'ultimo brano del figliol prodigo sembra l'esternazione della propria inconfessata solitudine.

Lo stile dell'opera è quanto mai allusivo, si tratta decisamente di una prosa “simbolista”.


venerdì 8 dicembre 2023

Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica




Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 2022



P. 11, evidente impostazione di origine linguistica nella trattazione. Influsso dello strutturalismo (quindi “positivismo”).

P. 18, le considerazioni teoriche di Frye hanno del ridicolo (come quasi tutte le teorie !) e Todorov (forse) ne coglie l'assurdità con velata ironia.

P. 24, il solito e assurdo predominio dell'astratto sul concreto. Subordinare un fatto storico a una classificazione è una presunzione.

P. 25, approvo queste affermazioni di Todorov. La vera critica è prima di tutto letteratura e di per sé non è essenziale all'intendimento delle altre opere letterarie.

P. 36, le considerazioni di Todorov rivelano una riflessione puramente formale sul testo, senza coglierne il valore artistico e il contenuto. Quanto è più acuto e profondo il Praz, anche solo con il suo metodo comparatistico e qualche notazione psicologica e molto personale !

P. 40, Aurélia di G. de Nerval, esempio di racconto fantastico incentrato sulla follia del protagonista.

P. 40-43, sul contenuto visionario di Aurélia.

P. 45, definizioni di strano e meraviglioso, distinto dal fantastico.

P. 65, le immagini poetiche non si riferiscono alla realtà, tante grazie, ci voleva Todorov per capirlo ! Questi formalisti dicono delle ovvietà in un linguaggio complicato e tecnico, mostrando anche poca intelligenza.

P. 72, in realtà le considerazioni fatte da Todorov sono di per sé inutili, ma servono d'introduzione alla presentazione di racconti e romanzi.

P. 78, mi piace l'accenno all'interpretazione senza fine da parte dei lettori.

P. 90, quando Todorov deduce dai dati di fatto in letteratura il suo metodo si avvicina a quello di Aristotele (Retorica) e si fa senza dubbio più convincente che nel precedente svolgimento quasi dogmatico (asserzione > esempio, qui, invece, esempio > asserzione).

P. 92, anche se non ne rifiuta il metodo, sembra prendere le distanze dai formalisti. Mantiene un atteggiamento relativamente indipendente.

P. 98, l'opera letteraria suscettibile di un numero infinito di interpretazioni. Sono d'accordo. Anche l'interpretazione dovrebbe essere un'opera letteraria.

P. 102, 103, le affermazioni contrarie alla critica tematica (sostanzialmente una parafrasi del testo) sono condivisibili. Ma rimane in Todorov quella necessità di astrazione che è tanto poco pertinente quanto quella di un concreto speculare. In medio stat virtus.

Cap. 7, “I temi dell'Io”. Considerazioni lapalissiane sul fantastico. Se non parlasse di altri libri questo sarebbe un brutto libro, concepito male e scritto peggio.

P. 141 (ma in genere tutto il cap. 8) che senso hanno queste osservazioni sulla relazione amore-perversione-morte-diavolo se non se ne prova a dare una ragione ? Senza dubbio Jung avrebbe fatto di meglio.

P. 155, dice che si è limitato a segnalare la presenza di determinati temi, senza volerli approfondire, tante grazie, me ne sono accorto !

P. 146, che la critica non possa essere obiettiva sono perfettamente d'accordo.

P. 152, la trattazione è suggestiva, ma non ha finora affermato di volerla affrontare limitandosi alla formalità del genere ? Ora ricorre addirittura a Freud !

P. 164, riguardo alla necrofilia l'anamnesi del desiderio in Gautier e in Bataille è fuorviante. In Gautier la necrofilia è un semplice contorno “sensuale” che aumenta il senso del proibito, in Bataille è il soggetto stesso del racconto. Si tratta di cose completamente diverse. Ne segue una diagnosi errata. Ibidem : che la psicoanalisi abbia reso inutile la letteratura fantastica è un'idiozia.

P. 170, 171, sulla funzione del fantastico il discorso, presuntuosamente di tono “filosofico”, è naturalmente poco chiaro.

P. 176, condivido il giudizio a proposito della logica onirica di Kafka.

P. 177, il giudizio riportato di Sartre, secondo il quale il fantastico in Kafka è diventato la regola o la realtà, è perfettamente azzeccato. 

domenica 26 novembre 2023

Dies irae

 

Come occhio di un faro

nella notte

sugli scogli geme

la solitudine,

e arde del desiderio dell'alba

tutta l'oscura attesa,

insonne.

Luce nel silenzio

il balbettìo delle stelle

ignare dei destini.

Un nero manto copre

la vergogna del giorno.


domenica 19 novembre 2023

Cicerone, Sull'anima

 

Tusculanarum disputationum I, XXIII


'Quod semper movetur, aeternum est; quod autem motum adfert alicui quodque ipsum agitatur aliunde, quando finem habet motus, vivendi finem habeat necesse est. solum igitur, quod se ipsum movet, quia numquam deseritur a se, numquam ne moveri quidem desinit; quin etiam ceteris quae moventur hic fons, hoc principium est movendi. principii autem nulla est origo; nam e principio oriuntur omnia, ipsum autem nulla ex re alia nasci potest; nec enim esset id principium, quod gigneretur aliunde. quod si numquam oritur, ne occidit quidem umquam; nam principium extinctum nec ipsum ab alio renascetur, nec ex se aliud creabit, siquidem necesse est a principio oriri omnia. ita fit, ut motus principium ex eo sit, quod ipsum a se movetur; id autem nec nasci potest nec mori, vel concidat omne caelum omnisque natura <et> consistat necesse est nec vim ullam nanciscatur, qua a primo inpulsa moveatur. cum pateat igitur aeternum id esse, quod se ipsum moveat, quis est qui hanc naturam animis esse tributam neget? inanimum est enim omne, quod pulsu agitatur externo; quod autem est animal, id motu cietur interiore et suo; nam haec est propria natura animi atque vis. quae si est una ex omnibus quae se ipsa [semper] moveat, neque nata certe est et aeterna est'. licet concurrant omnes plebei philosophi —sic enim ii, qui a Platone et Socrate et ab ea familia dissident, appellandi videntur —, non modo nihil umquam tam eleganter explicabunt, sed ne hoc quidem ipsum quam subtiliter conclusum sit intellegent. sentit igitur animus se moveri; quod cum sentit, illud una sentit, se vi sua, non aliena moveri, nec accidere posse ut ipse umquam a se deseratur. ex quo efficitur aeternitas, nisi quid habes ad haec. Ego vero facile sim passus ne in mentem quidem mihi aliquid contra venire; ita isti faveo sententiae.



sabato 14 ottobre 2023

Massimo Fini, Nietzsche, l'apolide dell'esistenza

 


Massimo Fini, Nietzsche, l'apolide dell'esistenza, Venezia, Marsilio, 2014


P. 35, primi filosofi moderni letti da Nietzsche : Emerson e Feuerbach.

P. 37, imbranato, miope, ma per il resto sano.

P. 45, astrattezza del suo temperamento.

P. 49, incontro con Mazzini.

P. 51, Nietzsche non disprezzava il popolino.

P. 53, Nietzsche e la scienza. Intuizioni profetiche (“fine della scienza è la distruzione del mondo”).

P. 55, stile giornalistico di Nietzsche (perché il suo stile ha come punto di riferimento Voltaire e Schopenhauer).

P. 69, NB : Nietzsche grande pedagogo, molto amato dagli studenti.

P. 77 e sg. : Wagner, l'avventuriero.

P. 85, 86, grande affetto di Wagner per Nietzsche.

P. 88. Nietzsche innamorato di Cosima Wagner e rapporto padre-figlio tra Wagner e Nietzsche.

P. 89, origine forse ebraica di Wagner.

P. 94, disinteresse per la filologia, Nietzsche si sente vocato alla filosofia.

P. 96, influsso diretto di Wagner sulla Nascita della tragedia. L'impianto originario era diverso. La tesi della rinascita del dramma musicale grazie a Wagner è propria di costui e non di Nietzsche !

P. 98, la musica di Nietzsche giudicata abominevole (come in effetti è).

P. 101, valore nullo della Nascita della tragedia dal punto di vista filologico.

P. 103, originalità del Nietzsche filosofo.

P. 109, Nietzsche e l'Italia. Scarso interesse per la cultura e l'arte italiana.

P. 111, NB : la prima “inattuale” fu commissionata da Wagner, che era nemico di Strauss.

P. 112, studi scientifici di Nietzsche.

P. 121, violente emicranie, assai frequenti.

P. 123, Nietzsche non era antisemita.

P. 128, alla prima del festival a Bayreuth prese parte anche Schuré (vedi la sua posizione a favore di Wagner in Storia del dramma musicale).

P. 134, mitomania del Nietzsche (cfr. Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino).

P. 136, NB : Nietzsche amato soprattutto dagli “squilibrati”.

P. 152, studi di letteratura francese, grazie a Paul Rée.

P. 153, forse una relazione omosessuale con Rée, ma il geloso era Rée !

P. 162, metodo di lavoro di Nietzsche : passeggia per sei, otto ore e pensa, prendendo appunti su un taccuino.

P. 163, temperamento amletico.

P. 169, ostilità ma ammirazione di Wagner per Nietzsche riguardo a Umano, troppo umano.

P. 172, affermazioni false di Lou Andreas Salomé, la quale sostiene che Nietzsche abbia subito l'influsso del pensiero di Rée.

P. 173, metodo di lavoro di Nietzsche, che dà ragione dello sviluppo aforistico delle sue opere (bisogna ricordare che aveva una vista debolissima, era quasi cieco).

P. 177. E se il male di Nietzsche fosse stata una forma di epilessia ?

P. 190, affetto di Wagner per Nietzsche.

P. 192, letture scientifiche.

P. 193, l'eterno ritorno.

P. 196, legge Spinoza.

P. 198, da Genova a Messina (per sfuggire al caldo !).

P. 204, educazione di Lou von Salomé.

P. 208, la von Salomé, una frigida e dark lady !

P. 212, natura femminile di Nietzsche.

P. 214 : il famoso bacio sul Monte Sacro fra Nietzsche e la Salomé.

P. 216, la fotografia di Nietzsche e Rée aggiogati al carro di Lou von Salomé.

P. 221, abitudine a falsificare i fatti biografici della Salomé.

P. 242, premonizioni di Nietzsche sulla propria futura follia.

P. 246, odia (giustamente !) la sorella Elisabeth.

P. 250, mediocrità della Salomé.

P. 252 e nota. Sigmund Freud deve molto a Nietzsche.

P. 253, 254, Nietzsche era contrario all'antisemitismo e ammirava gli Ebrei. Era antinazionalista.

P. 256, ma queste visioni non potevano derivare dall'abuso di oppiacei ? (Appena chiudeva gli occhi, vedeva una quantità di fiori fantastici che cresceva di continuo).

P. 265, paresi episodiche di breve durata.

P. 274, la follia di Nietzsche fu provocata soprattutto dall'uso di droghe come antidolorifici.

P. 290, è inevitabile che il nome di Nietzsche sia sempre associato a quello di Wagner.

P. 293, legge Dostoevskij e i romanzieri francesi (tra cui Barbey d'Aurevilly !).

P. 294, contrario all'antisemitismo ! Fu considerato filosofo del nazismo per colpa dei raggiri della sorella (sposata ad un antisemita). Però la stessa sorella era contraria alle leggi naziste antisemite.

P. 337, si identifica con Diòniso, cioè con la manifestazione suprema, con la Volontà stessa. Perfettamente coerente con il suo pensiero.

P. 374, Nietzsche pazzo dimentica la propria filosofia.

P. 389, NB : furono gli Ebrei a sostenere finanziariamente l'archivio Nietzsche !


venerdì 13 ottobre 2023

Jean-Jacques Rousseau, Le confessioni


 

Jean-Jacques Rousseau, Le confessioni, Milano, Garzanti, 1994


P. 17, rivela nell'adolescenza un temperamento piuttosto lascivo, gli piaceva essere sculacciato dalle donne !

P. 37, carattere emotivo di Rousseau, focoso e timido.

P. 70, episodio di pedofilia ecclesiastica. Dunque essa è sempre stata presente nella Chiesa cattolica ! Si notino i particolari, descritti in tutta la loro turpe evidenza.

P. 86, il realismo di Rousseau non ci risparmia nulla, neppure i particolari più crudi della morte della signora di Vercelli.

P. 112, si “converte” alla pratica della masturbazione.

P. 167, mania deambulatoria, vedi anche Nietzsche.

P. 171, Rousseau è veramente sorprendente. Un evidente omosessuale gli propone una masturbazione di coppia, ma Rousseau fugge inorridito.

Libro VI, la sua relazione con Mme de Warens (mamma) ha veramente dell'incredibile. Sembra che Rousseau soffrisse del complesso di Edipo in maniera abnorme.

P. 302, il genio è paragonato al delirio di un febbricitante.

P. 330, la ragione è nemica della natura.

P. 331, l'episodio della cortigiana Zulieta, a Venezia, con cui Rousseau fa all'amore rivela il dissidio tra ragione e natura. Mentre è a letto con lei Jean-Jacques le scorge un seno senza capezzolo e vi almanacca tanto che alla fine la cortigiana si offende e lo manda a quel paese (“Zanetto, lascia le donne, e studia la matematica”).

P. 336, contro i Gesuiti, accusati di “spirito tirannico e intrigante”.

P. 342, Thérèse, la donna non troppo intelligente è l'ideale dell'intellettuale (ancora maschio !).

P. 353, al castello di Chenonceaux (quello sul fiume). Gli piace mangiare e ingrassa.

P. 355, manda i primi due figli all'ospizio dei trovatelli !

P. 370, affida all'ospizio tutti e cinque i suoi figli e se ne vanta come di un'opera buona e fatta da una persona sensibile e ricca di sentimento ! Un po' bislacco questo Rousseau ! Sostanzialmente un egocentrico, come tutti i futuri romantici.

P. 372, la signora di Chenonceaux (brano che viene fatto ascoltare con gli auricolari ai turisti di oggi in visita al castello).

P. 403, l'origine del male è nella civiltà ed anche nelle tecniche.

P. 407, la religione alla luce della ragione. Non lo sa, ma il suo punto di vista è lo stesso di Spinoza nel Trattato teologico-politico.

P. 418, lo scrittore deve seguire la propria ispirazione, non scrivere per denaro, altrimenti è un imbrattacarte. Come dirà poi Nietzsche, bisogna scrivere col proprio sangue.

P. 420, abitudine alla passeggiata pomeridiana. In questo, come nella mania deambulatoria, c'è una straordinaria somiglianza con Nietzsche (che forse volle imitare Rousseau ?).

P. 425, influsso dell'ambiente e delle abitudini di vita sull'animo dell'uomo. Pone le basi dell'antropologia e della psicologia. Vedi anche Nietzsche in Ecce homo.

P. 426, mania deambulatoria connessa all'efficienza del pensare, altra analogia con Nietzsche.

P. 442, 443, in queste frasi è racchiuso tutto l'animo romantico.

P. 446, secondo Voltaire la natura è la causa di tutti i mali, secondo Rousseau invece lo sono l'uomo e la civiltà, queste concezioni avranno grande importanza per Leopardi.

P. 498, progetto di una vita a tre (vedi Nietzsche con la Salomé e Paul Rée).

P. 538, critica all'ipocrisia di Montaigne, che si dipinse migliore di quello che era.

P. 589, 590, presagisce la prossima rivoluzione.

P. 611, immaginazione ansiosa di Rousseau.

P. 670, carattere “fantastico” di Rousseau : “Mi piace … cominciare cento cose e non concluderne una, … cambiar progetto ogni momento, seguire una mosca in ogni suo svariare, … e non seguire in qualsiasi cosa che il capriccio del momento”.