sabato 12 aprile 2025

Yukio Mishima, La voce delle onde

 






Yukio Mishima, La voce delle onde (1954), Milano, Feltrinelli, 2024



Stile simile a quello di Hemingway. Le descrizioni degli ambienti sono accurate e precise, direi fotografiche. Anche le azioni vengono rappresentate con grande evidenza ed attenzione al realismo e ai particolari più minuti (vedi la scena della pesca dei polipi, p. 17). Siamo nella fase di transizione dal romanzo alla sceneggiatura.

P. 20, nel finale del cap. 2 i sentimenti del giovane pescatore si rispecchiano nella natura circostante e viceversa l’ambiente marino influisce profondamente sul suo animo. In questa simbiosi uomo-ambiente c’è qualcosa di comune con la sensibilità dannunziana.

P. 70-74, la scena erotica tra il giovane Shinji e la giovane Hatsue è quanto mai suggestiva, realistica e nello stesso tempo reticente e quasi velata dal pudore. I due corpi si stagliano alla luce del fuoco come rivelazioni improvvise di dei.

P. 132-134, la descrizione della vita quotidiana del villaggio, in particolare delle pescatrici di perle colte nel momento in cui dopo essersi tuffate si riposano nude sulla spiaggia, è realistica e ingenua. La bellezza femminile, specialmente la conformazione del seno, non viene apprezzata con malizia, ma esaltata in maniera del tutto spontanea e naturale.

Il seguito della vicenda, che si conclude con il fidanzamento dei due giovani, è tutto imperniato di naturalezza e di color locale, all’insegna delle tradizioni del vecchio Giappone. C’è in questo qualche elemento comune con il verismo dei Malavoglia di Verga. Tutto sommato si tratta di neorealismo.





sabato 22 marzo 2025

D’Annunzio e il superuomo

 



Gabriele D’Annunzio, Le vergini delle rocce (1895), Milano, Mondadori, I Meridiani, Prose di romanzi, vol. II, 2011


Sarà anche un “lavoratore dell’aggettivo” come lo definisce Papini, ma D’Annunzio, pur nella eccessiva ricchezza dell’ornamentazione verbale, riesce a infondere nell’immaginazione del lettore la sensazione fuggevole degli elementi naturali, come se dai corpi, dai colori, dalle forme nobilmente tornite promanassero emozioni che non sono il frutto dell’azione, spesso diluita e teatralmente artificiosa, ma di misteriose e segrete alchimie. E così, pur non possedendo l’efficacia della prosa di Baudelaire e la sua capacità di mirabile pittore, la sua rappresentazione si muta in evocazione di ambienti e di scenarii cui la parola come uno strumento di musica modula suoni incantatorii e maliose armonie.

Alla lettura sembrerebbe lo stile alquanto pomposo e invece si tratta di prosa poetica dove l’intonazione è quella d’un poema epico-fantastico, in cui il linguaggio si nobilita sino all’artificio e in cui la natura come la bellezza delle donne viene stilizzata e dissolta in sensazioni e colori e profumi, come i dipinti di Gustave Moreau.

P. 101 :

Andavamo tra il verde perenne: tra i bossi, tra i lauri e tra i mirti antichissimi, la cui vecchiezza selvaggia era immemore della sofferta disciplina. Appena qua e là rimaneva qualche vestigio delle simmetriche forme trattate un tempo dalle cesoie dei giardinieri; e io ero vigile a ravvisare nelle mute piante l'umanità di quelle sembianze non anche interamente scomparse, con una malinconia forse non dissimile a quella di colui che ricerca su i marmi dei sepolcri l'effigie consunta dei morti obliati. Un odore dolciamaro accompagnava i nostri passi; e a quando a quando taluno di noi, come per una volontà di riallacciare una trama disfatta, ricomponeva un ricordo della puerizia lontana. Ed ecco, risorgeva puramente la larva di mia madre; e pareva nutrirsi di tutte le cose che i nostri cuori esalavano nei silenzii intermessi, non distaccandosi ella dal fianco di Anatolia per mostrarmi la sua elezione. E un odore dolciamaro accompagnava la nostra malinconia.

P. 110 :

Nulla quanto il suono di quel riso poteva significarmi la profondità inaccessibile del mistero che ciascuna delle tre vergini portava in sé medesima. — Non era quello il segno fortuito di una vita istintiva dormente come un tesoro accumulato nelle radici stesse della sostanza animale? E non chiudeva i germi d'innumerevoli energie quella vita opaca e tenace su cui pur la coscienza di tanto dolore pesava senza soffocarla? — Come la scaturigine reca sul sasso arido l'indizio della segreta umidità sotterranea, così il bel riso repentino pareva salire da quel nucleo di gioia nativa che ogni più misera creatura conserva nell'intimo della sua propria inconsapevolezza. E per ciò su la mia commozione si chiarì un pensiero d'amore e d'orgoglio: “Io potrei fare di te un essere di gioia.„


Nelle pagine seguenti, dove parla il demònico alla coscienza di Cantelmo, si confronti il messaggio di Schopenhauer e le considerazioni su Leonardo da Vinci di Séailles (citato anche da Bergson nell’Evoluzione creatrice, secondo il quale la tesi di Séailles in Le génie dans l’art è che l’arte prolunga la natura e la vita è creazione).

Nel libro III la sequela delle sensazioni squisite e degli stati d’animo quasi allucinati si fa più pressante. L’ispirazione di D’Annunzio si nutre di questa sua particolare delicatezza che innanzi alla sensazione lo fa risuonare come uno strumento musicale ed effondere in una sinfonia verbale.

E’ la sua una vera e propria filosofia della sensazione, o talvolta della percezione e del presentimento come un sensitivo o un medium da sedute spiritiche, tanto vibra in un fluire di suoni, di immagini e visioni, esposto a tutti i venti delle nevrosi e delle più eccentriche alterazioni della psiche.

P. 152, la celebrazione della regalità infranta dal nuovo mondo moderno dominato dalle masse ha il suo emblema nella figura evocata di Luigi di Baviera, l’eroe d’un sovramondo immaginario, frutto dell’esaltazione musicale di Wagner. Ed è qui che si coglie il messaggio superomistico e aristocratico di D’Annunzio, l’eroe artista, l’intellettuale aristocratico che si contrappone alla bestialità e alla volgarità delle folle. Ma l’esito di quest’epica lotta è l’isolamento di un Des Esseintes, e l’anima gemella all’autore è quella di Huysmans, non quella di Nietzsche.

P. 153, la profezia di Cantelmo sul trionfo della Folla, del nichilismo apportatore di tragici deserti e infine sul disperato bisogno di novelli Eroi e di ardente devozione richiama la Psicologia delle folle di Le Bon, la cui conclusione mira appunto al superamento dell’abbrutimento delle masse nella creazione di un popolo nobilitato dall’ideale.

P. 167 e sgg., Cantelmo è il tipo del superuomo auspicato, ma stranamente è circondato da un ambiente decadente e pervaso dalla fragilità della vita e dal sentore della morte. E’ attratto da Massimilla, destinata alla monacazione, dalla sua fralezza, dai suoi turbamenti, dalla sua tragica storia d’amore. Un superuomo che celebra l’amore e la tomba !

P. 183, Anatolia, simbolo della positività e della forza, è anche lei in realtà una vittima, preda di un destino avverso che la condanna alla custodia di una madre folle, di un padre disperato e di due fratelli sull’orlo della pazzia. Le altre sorelle, come lei, subiscono la stessa condanna e il romanzo, che sembrava l’esaltazione della morale del superuomo, volge a un epilogo all’insegna dell’irrimediabile debolezza umana.


sabato 15 marzo 2025

A Violante

 






Nei tuoi occhi

l’equoreo manto delle ninfee

rifletteva lo splendore marmoreo dei templi,

come ad incantesimi di luce

nell’alba

sorgono le speranze,

così fulgeva la tua pupilla, un’ala

multicolore di farfalla

sopra la distesa di sognanti fiori.

E il mare dardeggiava d’oro

negli occhi tuoi riflesso

e accolto nell’abisso

delle pupille, sconfinato spazio

ove si perde il pensiero

e sempre si ritrova

il desiderio.

Il tuo volto luminoso

ardeva nella mia notte,

segnalava dei naufragi

quale un faro lo scoglio.

E sulle arene segnava il vento

il sogno del tuo viso,

il tuo profilo così puro

sorgeva ai miei occhi

nell’alba, e il vento ti sollevava

i capelli del color di rame.

E nell’azzurro scorgevo

dell’iride il sorriso nelle pupille

della tua forma perfetta di naiade

sorta dal silenzio delle acque,

una dea degli Elleni,

come fusto di palma,

snella e leggiadra;

nei tuoi occhi si smarriva

la malinconia di antichi templi

e il tuo sguardo s’abbandonava azzurro

nell’indolente nostalgia d’una chimera

perduta.

Ti appartavi triste,

naufragando nei ricordi,

desolata effigie della vita trascorsa.

Nei tuoi occhi

vanivano i crepuscoli d’autunno,

sorgevano le lune misteriose,

s’aprivano i fiori notturni

di profumi esotici,

s’intrecciavano nei vortici

della tua chioma ambrata.

Quale fortezza inespugnabile

t’ergevi nel tuo isolamento geloso

come una principessa od una vestale,

sacra a una vita indimenticabile.

Preda d’una insaziabile angoscia

abbassavi lo sguardo colto da un’improvvisa

febbre e l’ansia mortale

t’angustiava come la morsa dei ricordi.

Anche per me tu eri un ricordo

di tempi lontani, un’ossessione

di brame occulte,

ma i tuoi occhi s’aprivano ebbri

per un istante, come nella notte

Selene colma sorride

a Endimione.


domenica 9 febbraio 2025

Roberto Calasso, L’ardore

 




Roberto Calasso, L’ardore, Milano, Adelphi, 2010


P. 158, cap. VII, Atman. Dopo la presentazione e la descrizione della mitologia vedica ecco che il discorso si fa propriamente filosofico :


Tortuosi, delicati, ambigui i rapporti fra il Sé, atman, e l’Io, aham. E non potrebbe essere diversamente. Tutto risale all’inizio, quando c’era soltanto il Sé, sotto forma di “persona”, purusa : “ Guardandosi intorno, non vide altro che Sé. E come prima cosa disse : “Io sono”. Così nacque il nome “Io” “. E’ la scena primitiva della coscienza. Che rivela innanzitutto la priorità di un pronome riflessivo – atman, Sé. Pensarsi precede il pensare. E quel pensarsi ha forma di persona, purusa : possiede una fisionomia, un profilo. Che si designa subito con un altro pronome : Io, aham. In quel momento appare una nuova entità, che ha nome Io e si sovrappone punto per punto al Sé da cui è nata. Da allora – e fino a quando scintillerà la conoscenza, il sapere, veda - , l’Io sarà indistinguibile dal Sé. Sembrano gemelli identici. Hanno lo stesso profilo, lo stesso senso di onnipotenza e di centralità. Dopo tutto, nel momento in cui l’Io apparve, non c’era ancora altro al mondo. Così il primo a cadere nell’inganno dell’Io fu il Sé. Dopo che le creature furono create, in conseguenza delle sue molteplici metamorfosi erotiche, il Sé guardò il mondo e si rese conto di averlo creato. E disse : “Veramente Io (aham) sono la creazione”, già dimenticando che quell’Io era solo la prima delle sue creature.


Quello che è importante è che qui viene ribadito il primato della coscienza. La coscienza precede il pensiero, perché vi sia un pensiero è necessario un io consapevole di se stesso.

La filosofia occidentale, a partire da Descartes e proseguendo con Kant, si è fermata all’Io e così non ha scoperto il Sé, ma l’Io è l’ostacolo più temibile e può impedire per sempre l’accesso al Sé. Tuttavia il Sé, l’atman, è Colui che ci attende dopo la morte, l’altra esistenza, l’altro corpo.

P. 343 (a proposito degli avatar di Faggin). Calasso riporta una citazione da un’opera dell’antropologo Mauss :


Al museo del Trocadéro si possono vedere certe maschere del nord-ovest americano sulle quali sono scolpiti dei totem. Alcune hanno un doppio sportello. Si apre il primo e dietro il totem pubblico dello “sciamano-capo” appare un’altra maschera più piccola che rappresenta il suo totem privato, e poi all’ultimo sportello rivela agli iniziati di più alto rango la sua vera natura, il suo volto, lo spirito umano e divino e totemico, lo spirito che incarna. Poiché, sia ben chiaro, in quel momento si suppone che il capo sia in stato di possessione, di ékstasis, di estasi, e non soltanto di homoìosis. Vi è trasporto e confusione al tempo stesso.


P. 418, dopo la dettagliata esposizione dei vari rituali vedici è interessante l’osservazione di Calasso che il rapporto tra il mondo umano e l’invisibile nelle odierne associazioni religiose non esiste più. Le religioni odierne tali non sono appunto perché il legame tra mondo umano e mondo divino non viene più preso in considerazione, ma la Chiesa, l’Islam e le altre fedi si occupano prevalentemente della loro organizzazione, ricorrendo anche all’uso dei media, e della morale pubblica. Tutte le religioni odierne hanno messo da parte, quasi fosse irrilevante, il trascendente, mentre si limitano a norme di comportamento.

P. 426, il sacrificio è il meccanismo secondo il quale si regola la fisiologia animale e in genere di ogni vivente, esso è lo scambio tra esterno ed interno. E’ la stessa comunicazione di percezioni, come anche il respiro di chi è vivo. La scienza che è basata sul metodo descrittivo dei fenomeni (che tali sono appunto in quanto appaiono) non perviene alla consapevolezza del senso del sacrificio. “La conoscenza di un tracciato neurale, per quanto perfetta, non si tradurrà mai nella percezione di uno stato della coscienza.”

P. 450, paragona il contenuto del Veda alla meccanica quantistica, che non corrisponde in alcun modo alla vita odierna, mentre la fisica newtoniana è diventata il modello del senso comune. Queste affermazioni sembrano confermare l’argomentazione di Faggin, secondo la quale la vita umana è una parvenza illusoria dietro la quale agiscono forze spirituali sconosciute.


sabato 25 gennaio 2025

Silenziosamente

 




Silenziosamente

ti guardo e comprendo

la compassione.

L’amore si rivela nelle lacrime.

Sono a un bivio,

e forse si apre

la via.

Germoglia dal profondo cuore

come anima dagli Inferi,

per il cammino oscuro ascende

verso la lontana luce.

Palpita silente

pieno di timore,

lentamente sale quale linfa nei rami,

quale eco alle montagne invade

il folto dei boschi

all’aurora di risonanti canti.