domenica 23 agosto 2015

Il vento etèsio





Le più belle pagine di Edoardo Scarfoglio scelte da Alberto Consiglio, Milano, Treves-Treccani-Tumminelli, 1932


Il vento etèsio ( in morte di Guido Boggiani ) “



L'articolo è all'insegna della “ Vita inimitabile “ dannunziana, ma in realtà già preconizzata dall'esteta Adolfo De Bosis : “ … pensammo … di dare al nostro spirito una grande festa, di celebrare l'ultima orgia dionisiaca di nostra vita. E partimmo con Gabriele d'Annunzio, sulla mia “Fantasia”, dalle immense vele, per la Grecia.
Compimmo tutto il sacro pellegrinaggio. Ci tuffammo nelle acque dell'Alfeo, ci prostrammo davanti all' “Ermete” di Prassitele nella fiammeggiante pianura di Olimpia, scendemmo dagli alti santuari di Delfo con le mani piene di fiorellini d'agnocasto, c'inchinammo sulle tombe degli Atridi a Micene, esplorammo tutti i templi e tutti i musei ateniesi. Il vento etèsio, che Giove concesse in ricompensa del culto devoto a un Re dell'isola Zea, sospinse la nostra navicella sullo specchio azzurro del golfo di Corinto, nella baia d'Itea, e lungo la costa sinuosa del Peloponneso, e quante stelle ardono nel cielo già popolato di numi illuminarono le lunghe notti che noi passammo sul ponte inclinato sotto lo sforzo delle vele, mentre davanti a noi fuggivano le ombre del mondo che, prima, la nostra gente amò. “




Album d'Annunzio, Milano, Mondadori, 1990


Pag. 168 : “ Nell'estate 1895 d'Annunzio salpa alla volta dell'Ellade “sculta” sul panfilo Fantasia di Scarfoglio, con Hérelle, Marciantonio e il pittore Guido Boggiani.
Il viaggio in Grecia è peraltro di prammatica in questi anni. Niente è à la page come Micene dopo che Schliemann crede di aver riesumato dalle polveri della secca Argolide le maschere auree di Agamennone e Clitennestra. … Il 29 luglio il Fantasia salpa da Gallipoli. Della crociera conosciamo ogni particolare, non tanto perché d'Annunzio ne ha fatto materia di un journal e del primo libro delle Laudi ( Maia o Laus vitae ), quanto perché tutti i partecipanti tennero un loro diario. Al di là della trasfigurazione poetica, possiamo così controllare la veridicità dannunziana. E' dunque vero : si tuffa nudo e nudo si aggira sul ponte, proprio come racconta : “ Al piacere vivo che provo nel rimanere ignudo, alla mia disinvoltura nel muovermi, nella mancanza assoluta di pudore fisico, sento che veramente io sono penetrato d'ellenismo fino alle midolle e che avrei dovuto nascere ad Atene, esercitare nei ginnasi la giovinezza. “ E' però anche vero che d'Annunzio qualcosa tace o travisa con la fantasia eccitata dal viaggio avventuroso. Tutt'altro che una vergine Ifigenia ( così la ribattezza ) carica a bordo. E' invece una prostituta d'infimo rango di cui pare proprio non possa fare a meno, come non può fare a meno di una stiratrice per la sua fine lingerie. La Grecia poi gli appare squallida, lurida, degradata. Le mosche annuvolano l'aria, i cibi sono stantii e fa troppo caldo. A Olimpia s'inginocchia adorante dinanzi al mirabile Ermete di marmo pario, ma la religiosa contemplazione viene interrotta dall'afa soffocante. Perciò si denuda e si getta nel gelido Alfeo : “ ho in me splendida l'imagine di Aretusa inseguita dal furioso amante fin nel mar siciliano. “

Cfr. Maia, XIV, “ Il Sunio “

Sunio, un mercatore fenicio
fui guardandoti, un montanaro
d'Ircania portato alla guerra
su nave di Medi, un Bitinio
della Propòntide in commercio
d'acònito, un frumentiere
del Chersoneso, un vinaio
di Chio fui guardandoti, ed ebbi
tant'occhi per istupirmi
di te con sempre nuove
pupille; e per venerarti
piloto di Fàlero fui
reduce da Panticapèo,
rivarcato alfin l'Ellesponto
e alfine il Geresto d'Eubea
dopo traffico lungo;
ed anche l'oplìte devoto
fui della Republica, a guardia
dell'argentifero lido,
del metallo sacro all'impresso
conio dell'epònima dea.
Promontorio fra tutti
venerando, altèra cervice
della Paràlia rupestra,
il tuo tempio par che si sciolga
come lentissima neve
alle primavere del mare.
Il sale mordace cancella
dalla colonna il solco
dorico, nel masso fenduto
dell'architrave consuma
le groppe ai Centauri e le corna
al maratonio Toro
domato dall'attica forza.
Maratona, Maratona,
aquila precipitosa
dall'ali irsute di lance,
ben ti venne Tèseo sul fronte
degli opliti a fianco d'Echètlo,
dell'eroe rurale che uccise
gran turbe di Medi col suo
mànico d'aratro e poi sparve.
Io sul tuo tumulo grande
colsi una rama d'alloro
che dure avea foglie di bronzo
ma bacche tra nere e azzurrigne
rilucenti come la testa
della rondinella cecròpia.
Poi, su la spiaggia arenosa
quasi palestra solenne,
raccolsi una selce che avea
forma di man chiusa. Ed allora
vidi Cinegìro figliuolo
d'Euforione aggrapparsi
alla protome della prua
barbarica, sotto la scure
del Medo; il combattimento
maraviglioso dell'Uomo
e della Nave, nel sangue
nell'incendio e nell'oro
di Serse, vidi anelando;
e chinarsi Eschilo armato
sopra il rosso tronco fraterno.














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