“ E si tuffò
silenziosamente nella profonda notte. “
And plung'd all noiseless
into the deep night.
John Keats, Hyperion,
I, 357
Vagò a lungo per la
foresta, in un labirinto di tronchi neri, appena lambiti da qualche
raggio di sole, che il fitto intreccio dei rami impediva, quando non
erano mossi dal vento.
Intravedeva non distante
una radura, perché la luce colà si faceva più intensa e il colore
era un verde brillante.
Sotto l'ampia volta delle
fronde si liberava allora un rivo scintillante, garrulo quale uccello
appena uscito dal nido, e snodandosi rapido traversava il prato
d'erbe rigogliose.
Pareva davvero che un
essere silvano lo invitasse alla sosta. Affrettò quindi il passo e
giunse nello spazio aperto agli influssi del cielo.
Adagiato sull'erba, preda
d'un torpore ebbro di sogni, guardava fisso davanti a sé, immerso
nella visione.
Ella gli appariva,
luminosa, leggera sui fiori, avvolta in una veste fragile e
fluttuante come un alone d'oro, i capelli, lunghissimi e riverberanti
bagliori di fiamma, le toccavano morbidi i contorni del corpo sino al
tallone, poi parevano fondersi col suolo. Gli occhi erano tinti del
colore del sottobosco d'autunno, belli e variegati, bronzei e
vibranti lingue di fuoco.
Tutto era luce, e gli
alberi erano accarezzati dal vento luminoso, una corrente di
pulviscolo aureo irradiantesi nella foresta quasi una linfa
vivificante, un'anima infusa per prodigio in un organo da lungo tempo
muto.
Il viso si fermò su di
lui. Ella lo fissò negli occhi morbidamente, maliosamente e a lui
parve di abbandonarsi ad un'onda di luce più forte del turbine
tempestoso e più dolce della brezza dell'alba.
Ora sembrava che da uno
scrigno d'oro gli si offrisse l'essenza della vita, il tesoro che non
ha pari. Doveva dunque abbandonarsi.
E la sua anima si posava
sopra il ruscello multicolore che fremente e danzante correva verso
la meta del grande mare e i suoi pensieri si perdevano nella brezza
vesperale :
“ La corrente che
contemplasti
ruota innanzi, le onde
sono irraggiungibili.
E noi siamo ora
in una terra solitaria,
quali simulacri di memoria
e desideri e timori,
fatui e lievi
nel lucore d'un breve
giorno. “
Si aprono le porte della
Notte,
si aprono le porte
dell'Oscuro,
ma Ella si libra sulle
canute
onde nei vortici dei
tempi,
i flutti varcando
dell'aria
con ali d'uccello marino,
il viso suo rifulge
e specchia le volute
delle fragili nubi
e le creste delle saline
spume.
Egli la vide fluttuante
in un alone dorato
e sullo scoglio si sporse,
bramoso del bacio
della Nereide, sia
estatico
al canto celeste o cupido
dell'aroma dell'amante nel
mare.
“ Ogni cosa ha senno e
parte di mente
e di vita divina respira,
tùffati fra le onde
spumose
e croscianti, nello
splendente reflusso
ritroverai l'antico
incanto
della Nereide, volerai sul
flutto
agile più d'un gabbiano.
E' più saggezza
nell'alito
marino che in mille volumi
di sapienti, fra l'onde
tùffati
riverberanti,
nell'amplesso di Teti
incantevole. Ella sulle
sabbie
del fondo tesse i
vaticinii
tra i guizzi dei pesci
d'argento.
Oh, amala sopra il
levigato corpo,
avvinto nel suo talamo
vasto ! “
Così pensava, perso nei
pensieri del tempo perduto, del tempo in cui l'essere umano aveva
parte al grande respiro della Natura e viveva non per se stesso ma
per la Vita che lo cingeva del suo abbraccio. Allora ogni cosa era
vivente, ogni albero, ogni fiore, ogni pietra variegata e levigata
dalle acque, ogni uccello del cielo, ogni pesce del mare parlava nel
suo linguaggio per nulla oscuro ma chiaro e forte, rivelando all'uomo
riverente la grande Verità. E l'uomo venerava la presenza divina in
ogni luogo e rapito ed estatico attendeva la propria morte per
tornare nel seno del Tutto.
Ah, immergersi nell'alito
del mattino, in una corrente d'acqua gelida, sentirne il brivido e
l'impeto ! Come la dea Aurora tesse nel suo velo i canti che sgorgano
dalla luce presso i lavacri del mare, così dentro di sé era invaso
dal fremito dolce del risveglio delle creature. E la luce si dilatava
in un'onda iridata sopra le rocce e l'ansimo salino ormai lo
attendeva dopo il lungo cammino dai monti.
Il mare dell'essere si
rivelava nell'immensa distesa.
Sentiva nel sole
dell'estate la pienezza della vita, ricordava il riverbero dei raggi
sulle onde quando, immerso nel mare, scorgeva la riva e le case sulle
colline, biancheggianti tra il verde dei giardini, ricordava se
stesso fra le piante, dedito alla cura dei campi, mentre innaffiava
e, ogni tanto sostando, aspirava l'aria intrisa d'aromi e d'esali
erbacei, allora era una cosa sola con la Natura, non era più se
stesso, ma il puro e semplice atto, il puro e semplice fluire.
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