martedì 29 dicembre 2015

Sogno d'estate







E si tuffò silenziosamente nella profonda notte. “
And plung'd all noiseless into the deep night.

John Keats, Hyperion, I, 357




Vagò a lungo per la foresta, in un labirinto di tronchi neri, appena lambiti da qualche raggio di sole, che il fitto intreccio dei rami impediva, quando non erano mossi dal vento.
Intravedeva non distante una radura, perché la luce colà si faceva più intensa e il colore era un verde brillante.
Sotto l'ampia volta delle fronde si liberava allora un rivo scintillante, garrulo quale uccello appena uscito dal nido, e snodandosi rapido traversava il prato d'erbe rigogliose.
Pareva davvero che un essere silvano lo invitasse alla sosta. Affrettò quindi il passo e giunse nello spazio aperto agli influssi del cielo.
Adagiato sull'erba, preda d'un torpore ebbro di sogni, guardava fisso davanti a sé, immerso nella visione.
Ella gli appariva, luminosa, leggera sui fiori, avvolta in una veste fragile e fluttuante come un alone d'oro, i capelli, lunghissimi e riverberanti bagliori di fiamma, le toccavano morbidi i contorni del corpo sino al tallone, poi parevano fondersi col suolo. Gli occhi erano tinti del colore del sottobosco d'autunno, belli e variegati, bronzei e vibranti lingue di fuoco.
Tutto era luce, e gli alberi erano accarezzati dal vento luminoso, una corrente di pulviscolo aureo irradiantesi nella foresta quasi una linfa vivificante, un'anima infusa per prodigio in un organo da lungo tempo muto.
Il viso si fermò su di lui. Ella lo fissò negli occhi morbidamente, maliosamente e a lui parve di abbandonarsi ad un'onda di luce più forte del turbine tempestoso e più dolce della brezza dell'alba.
Ora sembrava che da uno scrigno d'oro gli si offrisse l'essenza della vita, il tesoro che non ha pari. Doveva dunque abbandonarsi.
E la sua anima si posava sopra il ruscello multicolore che fremente e danzante correva verso la meta del grande mare e i suoi pensieri si perdevano nella brezza vesperale :
La corrente che contemplasti
ruota innanzi, le onde
sono irraggiungibili.
E noi siamo ora
in una terra solitaria,
quali simulacri di memoria
e desideri e timori,
fatui e lievi
nel lucore d'un breve giorno. “
Si aprono le porte della Notte,
si aprono le porte dell'Oscuro,
ma Ella si libra sulle canute
onde nei vortici dei tempi,
i flutti varcando dell'aria
con ali d'uccello marino,
il viso suo rifulge
e specchia le volute
delle fragili nubi
e le creste delle saline spume.
Egli la vide fluttuante
in un alone dorato
e sullo scoglio si sporse,
bramoso del bacio
della Nereide, sia estatico
al canto celeste o cupido
dell'aroma dell'amante nel mare.
Ogni cosa ha senno e parte di mente
e di vita divina respira,
tùffati fra le onde spumose
e croscianti, nello splendente reflusso
ritroverai l'antico incanto
della Nereide, volerai sul flutto
agile più d'un gabbiano.
E' più saggezza nell'alito
marino che in mille volumi
di sapienti, fra l'onde tùffati
riverberanti, nell'amplesso di Teti
incantevole. Ella sulle sabbie
del fondo tesse i vaticinii
tra i guizzi dei pesci d'argento.
Oh, amala sopra il levigato corpo,
avvinto nel suo talamo vasto ! “
Così pensava, perso nei pensieri del tempo perduto, del tempo in cui l'essere umano aveva parte al grande respiro della Natura e viveva non per se stesso ma per la Vita che lo cingeva del suo abbraccio. Allora ogni cosa era vivente, ogni albero, ogni fiore, ogni pietra variegata e levigata dalle acque, ogni uccello del cielo, ogni pesce del mare parlava nel suo linguaggio per nulla oscuro ma chiaro e forte, rivelando all'uomo riverente la grande Verità. E l'uomo venerava la presenza divina in ogni luogo e rapito ed estatico attendeva la propria morte per tornare nel seno del Tutto.
Ah, immergersi nell'alito del mattino, in una corrente d'acqua gelida, sentirne il brivido e l'impeto ! Come la dea Aurora tesse nel suo velo i canti che sgorgano dalla luce presso i lavacri del mare, così dentro di sé era invaso dal fremito dolce del risveglio delle creature. E la luce si dilatava in un'onda iridata sopra le rocce e l'ansimo salino ormai lo attendeva dopo il lungo cammino dai monti.
Il mare dell'essere si rivelava nell'immensa distesa.
Sentiva nel sole dell'estate la pienezza della vita, ricordava il riverbero dei raggi sulle onde quando, immerso nel mare, scorgeva la riva e le case sulle colline, biancheggianti tra il verde dei giardini, ricordava se stesso fra le piante, dedito alla cura dei campi, mentre innaffiava e, ogni tanto sostando, aspirava l'aria intrisa d'aromi e d'esali erbacei, allora era una cosa sola con la Natura, non era più se stesso, ma il puro e semplice atto, il puro e semplice fluire.

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