Je
suis l'Empire à la fin de la décadence
(
Paul Verlaine )
Ormai
la solitudine lo cingeva del suo abbraccio.
Nella
foresta della vita egli procedeva rassegnato.
Ossessionato
dai ricordi delle proprie speranze avanzava negli oscuri meandri
della selva umana.
Aveva
amato solo in sogno. Nel suo bel sogno dove gli era apparsa la bella
donna squisitamente gaia, come una Demetra suadente che lo iniziasse
ai misteri della notturna Eleusi, ma adornata della lusinga dei sensi
e della grazia della gioventù.
Era
ancora lei che gli si rivelava nell'ombra del sogno, lei il cui volto
luminoso, i cui occhi lucenti di un ardore misterioso e profondo lo
seducevano negli amplessi dell'immaginazione.
Profonda
e misteriosa luce di abissi insondabili, di preziosi smeraldi
irraggiungibili dietro i veli d'una parola proibita, d'una dura legge
del destino. Perché lo tentava sempre, perché lo irretiva nei lacci
della propria malìa senza possibilità alcuna di concedersi, senza
la pronuncia dell'amore ?
Il
suo era il supplizio di Tantalo, il più triste e beffardo dei
tormenti. Perché l'amore era per lui un castigo ?
Ed
ella ancora più insistentemente gli si mostrava, tutta in un gaudio
di forme straordinarie, in una tale abbondanza di seduzione da
abbagliare il più severo degli asceti, ella avanzava sorridente,
ammaliante, le sue forme procaci sobbalzavano lievemente, come una
morbida nube. Tutto il desiderio più feroce del sesso sembrava
averla creata, pronta davanti a lui, come un frutto colmo esitante
prima di cadere dall'albero.
La
prostrazione della solitudine, della disperazione, lo abbatteva
nell'accidia più funesta.
Ascoltava
estasiato talora la musica di Haendel, quel canto celebrato da
Farinelli :
“
Lascia ch'io pianga
mia
cruda sorte
e
che sospiri
la
libertà. “
Con
gli auricolari la musica del piccolo oggetto elettronico gli si
infondeva nel cervello come una dolce, struggente nenia, un
inebriante, seducente incantesimo. Avrebbe potuto piangere per giorni
e giorni, ma sarebbe stato inutile.
E
quando la pioggia picchiettava alla finestra, nei giorni grigi
dell'autunno, egli prendeva il suo quaderno di appunti o di memorie
ed iniziava il rito del ricordo e del sogno.
Ed
allora era consapevole d'avere vissuto una vita interiore veramente
straordinaria, e che la sua solitudine era stata anche la sua
salvezza. Distinto era e difeso da un mondo brutale e brutto di gesti
stereotipati, di schemi di vita, di abitudini imposte, di pensieri
stampati a forza nella mente con l'intenzione perversa della
manipolazione politica, di istinti estenuati da desideri
continuamente eccitati dallo sprone maligno d'una società
consumistica che anela ad annegare le masse sotto un'alluvione di
saggezza pubblicitaria.
Ma
il prezzo della libertà era la solitudine. Una solitudine che gli
pesava al pensiero della propria insignificanza, di una sorta di
anticamera prima del mistero della morte.
La
pioggia scendeva inesorabile. Come il pianto del cielo invecchiato si
stendeva sulle foglie degli aranci, nel giardino, scorreva sul
marciapiede intorno alle aiuole, brontolava nelle grondaie.
Il
languore eterno lo possedeva, lo stemperava in un rimpianto
impossibile.