lunedì 29 ottobre 2018

Languore


Je suis l'Empire à la fin de la décadence
( Paul Verlaine )



Ormai la solitudine lo cingeva del suo abbraccio.
Nella foresta della vita egli procedeva rassegnato.
Ossessionato dai ricordi delle proprie speranze avanzava negli oscuri meandri della selva umana.
Aveva amato solo in sogno. Nel suo bel sogno dove gli era apparsa la bella donna squisitamente gaia, come una Demetra suadente che lo iniziasse ai misteri della notturna Eleusi, ma adornata della lusinga dei sensi e della grazia della gioventù.
Era ancora lei che gli si rivelava nell'ombra del sogno, lei il cui volto luminoso, i cui occhi lucenti di un ardore misterioso e profondo lo seducevano negli amplessi dell'immaginazione.
Profonda e misteriosa luce di abissi insondabili, di preziosi smeraldi irraggiungibili dietro i veli d'una parola proibita, d'una dura legge del destino. Perché lo tentava sempre, perché lo irretiva nei lacci della propria malìa senza possibilità alcuna di concedersi, senza la pronuncia dell'amore ?
Il suo era il supplizio di Tantalo, il più triste e beffardo dei tormenti. Perché l'amore era per lui un castigo ?
Ed ella ancora più insistentemente gli si mostrava, tutta in un gaudio di forme straordinarie, in una tale abbondanza di seduzione da abbagliare il più severo degli asceti, ella avanzava sorridente, ammaliante, le sue forme procaci sobbalzavano lievemente, come una morbida nube. Tutto il desiderio più feroce del sesso sembrava averla creata, pronta davanti a lui, come un frutto colmo esitante prima di cadere dall'albero.
La prostrazione della solitudine, della disperazione, lo abbatteva nell'accidia più funesta.
Ascoltava estasiato talora la musica di Haendel, quel canto celebrato da Farinelli :

Lascia ch'io pianga
mia cruda sorte
e che sospiri
la libertà. “

Con gli auricolari la musica del piccolo oggetto elettronico gli si infondeva nel cervello come una dolce, struggente nenia, un inebriante, seducente incantesimo. Avrebbe potuto piangere per giorni e giorni, ma sarebbe stato inutile.
E quando la pioggia picchiettava alla finestra, nei giorni grigi dell'autunno, egli prendeva il suo quaderno di appunti o di memorie ed iniziava il rito del ricordo e del sogno.
Ed allora era consapevole d'avere vissuto una vita interiore veramente straordinaria, e che la sua solitudine era stata anche la sua salvezza. Distinto era e difeso da un mondo brutale e brutto di gesti stereotipati, di schemi di vita, di abitudini imposte, di pensieri stampati a forza nella mente con l'intenzione perversa della manipolazione politica, di istinti estenuati da desideri continuamente eccitati dallo sprone maligno d'una società consumistica che anela ad annegare le masse sotto un'alluvione di saggezza pubblicitaria.
Ma il prezzo della libertà era la solitudine. Una solitudine che gli pesava al pensiero della propria insignificanza, di una sorta di anticamera prima del mistero della morte.
La pioggia scendeva inesorabile. Come il pianto del cielo invecchiato si stendeva sulle foglie degli aranci, nel giardino, scorreva sul marciapiede intorno alle aiuole, brontolava nelle grondaie.
Il languore eterno lo possedeva, lo stemperava in un rimpianto impossibile.

Nessun commento:

Posta un commento