domenica 21 ottobre 2018

Isolda






Ricordava il sentiero umido che passava presso il rivoletto della stalla confuso tra l'erba alta e colmo d'un odore fetido. Eppure egli s'ostinava a passare di lì quando tornava dal torrente dove aveva bersagliato i pesci minuscoli che si rintanavano sul fondo. Poco lontano la cascina con la villetta padronale si stagliava sullo sfondo d'un cielo luminoso, estivo e calmo.
L'ombra del giardino s'addensava sul lato sinistro della villetta appoggiata sul destro al cascinale di pietra.
E là aveva trascorso le estati della sua adolescenza, immerso nei sogni e nelle vaghe brame d'un mondo inesistente.
Come allora un vago senso di quel mondo lo trascinava verso fantasie inesprimibili cullate da musiche malinconiche, nostalgiche. Come lo ossessionava allora la melodia del Tristano e Isotta di Wagner ! Egli si immedesimava nel destino avverso di Tristano. Sentiva la tragicità della propria piccola esistenza.
E allora era come perdersi nella prospettiva di valli e montagne lontane, nel fresco vento del mattino, mentre alitando vivifica le fronde frementi della selva. Era come perdersi nel respiro d'una vita superiore, forse della Vita universale, senza limiti, senza rimpianti, senza meschinità.
Si sarebbe rivelato un giorno il suo vero Io ? Sarebbe tornato un giorno nel grembo del Vivente ? Tutta l'esistenza non è che un'attesa.
Ed ora egli camminava tra gli alberi quasi spogli nell'autunno, nell'orticello sotto casa, cosparso di susini, peri, meli e albicocchi, già quasi scheletriti all'approssimarsi dell'inverno, già ingialliti nella luce cuprea del sole oltramontano, anelante a svanire al di là. E anch'egli anelava, come rapito dall'ora, rivolto all'ampio ulivo secolare che gli sottraeva la vista dell'orizzonte. Forse oltre avrebbe veduto la nave, avrebbe sentito il volo d'Isotta ? Dolcissima Isolda, sognata negli anni irrimediabilmente fuggiti d'un tempo ormai lontano, lontano.
Il suo volto si smarriva nella nostalgia del non manifestato, del non mai vissuto. Solo, intorno a lui la natura taceva. Non un alito di vento, non un canto d'uccelli, non un volo di gabbiani. Avanzava lentamente fra l'erba rinata alle recenti piogge, nell'umido campo, perso nella memoria. Per non morire ancora, si avvinghiava ai suoi sogni, persisteva nell'illusione.
E l'illusione gli prospettava il volo alcionio della nave dalla vela quadrata, fra i flutti rombanti, che conduceva il sogno dell'arte e dell'amore.
E il canto estatico di Isolda lo accompagnava sul sentiero malinconico del ricordo, ognora più possente, più implacabile, della sua essenza mai compiuta, della sua Isolda mai incontrata.
Si sentiva morire e si sentiva rinascere nell'illusione.

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