Ricordava
il sentiero umido che passava presso il rivoletto della stalla
confuso tra l'erba alta e colmo d'un odore fetido. Eppure egli
s'ostinava a passare di lì quando tornava dal torrente dove aveva
bersagliato i pesci minuscoli che si rintanavano sul fondo. Poco
lontano la cascina con la villetta padronale si stagliava sullo
sfondo d'un cielo luminoso, estivo e calmo.
L'ombra
del giardino s'addensava sul lato sinistro della villetta appoggiata
sul destro al cascinale di pietra.
E
là aveva trascorso le estati della sua adolescenza, immerso nei
sogni e nelle vaghe brame d'un mondo inesistente.
Come
allora un vago senso di quel mondo lo trascinava verso fantasie
inesprimibili cullate da musiche malinconiche, nostalgiche. Come lo
ossessionava allora la melodia del Tristano e Isotta di Wagner !
Egli si immedesimava nel destino avverso di Tristano. Sentiva la
tragicità della propria piccola esistenza.
E
allora era come perdersi nella prospettiva di valli e montagne
lontane, nel fresco vento del mattino, mentre alitando vivifica le
fronde frementi della selva. Era come perdersi nel respiro d'una vita
superiore, forse della Vita universale, senza limiti, senza
rimpianti, senza meschinità.
Si
sarebbe rivelato un giorno il suo vero Io ? Sarebbe tornato un
giorno nel grembo del Vivente ? Tutta l'esistenza non è che
un'attesa.
Ed
ora egli camminava tra gli alberi quasi spogli nell'autunno,
nell'orticello sotto casa, cosparso di susini, peri, meli e
albicocchi, già quasi scheletriti all'approssimarsi dell'inverno,
già ingialliti nella luce cuprea del sole oltramontano, anelante a
svanire al di là. E anch'egli anelava, come rapito dall'ora, rivolto
all'ampio ulivo secolare che gli sottraeva la vista dell'orizzonte.
Forse oltre avrebbe veduto la nave, avrebbe sentito il volo d'Isotta
? Dolcissima Isolda, sognata negli anni irrimediabilmente fuggiti
d'un tempo ormai lontano, lontano.
Il
suo volto si smarriva nella nostalgia del non manifestato, del non
mai vissuto. Solo, intorno a lui la natura taceva. Non un alito di
vento, non un canto d'uccelli, non un volo di gabbiani. Avanzava
lentamente fra l'erba rinata alle recenti piogge, nell'umido campo,
perso nella memoria. Per non morire ancora, si avvinghiava ai suoi
sogni, persisteva nell'illusione.
E
l'illusione gli prospettava il volo alcionio della nave dalla vela
quadrata, fra i flutti rombanti, che conduceva il sogno dell'arte e
dell'amore.
E
il canto estatico di Isolda lo accompagnava sul sentiero malinconico
del ricordo, ognora più possente, più implacabile, della sua
essenza mai compiuta, della sua Isolda mai incontrata.
Si
sentiva morire e si sentiva rinascere nell'illusione.
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