Emilio
Cecchi, Saggi e viaggi,
Milano, Mondadori, 1997
Pesci
rossi
( 1918 )
Prosa
raffinata, colta, servì sicuramente da modello alla prosa di
Montale. Però l'umorismo non è quello di Montale, che ha del
grottesco e dell'assurdo. Tutto sommato, trovo questa prosa meno
attraente, anche se non meno interessante. E' una prosa quasi
barocca, elaboratissima sino al cerebrale, che talvolta infastidisce.
Non le si può negare però profondità e spirito, cosa che
generalmente manca ai suoi imitatori, che sono molti e di solito
inconsapevoli di esserlo. Perché anche oggi molti blogger e molti
autori cartacei scrivono in questa maniera elaborata, arabescata,
tanto da essere labirintica. Con la conseguenza che il lettore è
spesso preso dal capogiro.
P.
21, in “ Le bestie sacre “ si nota un atteggiamento umoristico
simile a quello di Montale, segno che si tratta di una caratteristica
del genere dell'Elzeviro, che deve essere evidentemente spiritoso e
con l'apparenza della leggerezza colpire a fondo l'immaginazione.
Prima
ho scritto che rispetto a quella di Montale trovo l'inventiva e la
narrazione di Cecchi meno attraente. In realtà avanzando nella
lettura devo precisare che si tratta di qualcosa di diverso. In
Montale prevale l'elemento drammatico, mentre in Cecchi quello
impressionistico e meditativo, sicché il paragone non può farsi,
essendo tipi di prosa essenzialmente diversi, anche se accomunati da
preziosismo verbale e umorismo. Non che in Montale manchi l'elemento
meditativo e in genere le considerazioni di carattere morale o
psicologico, ma sono accessorie, mentre in Cecchi sono fondamentali.
P.
42. In “ Una comunicazione accademica “ viene fatta la satira del
Futurismo, presentato come una stramberia barbarica, dall'origine e
finalità incomprensibili, dell'Epoca dei Grandi Affari, cioè
dell'inizio della decadenza nella società di massa.
P.
94, però talvolta questo elemento impressionistico e prezioso è
fine a se stesso e diventa ingombrante, come in “ La commedia come
danza “. Il risultato è l'incomprensibilità del testo a meno che
non se ne faccia una sorta d'esegesi da testo hegeliano. Il che
contraddice a qualsiasi buona prosa giornalistica che deve innanzi
tutto essere facilmente leggibile.
P.
100, “ George Robey “ brilla per vivace umorismo e così ( p. 109
) “ La lettera di presentazione “ con cui termina la raccolta di
articoli. Si tratta non semplicemente di reportage giornalistici ma
di vera e propria narrativa alla Laurence Sterne, senza dubbio
condensata nello spazio di poche pagine ma sostenuta dallo stesso
spirito.
Insomma,
mi sembra che, pur nell'eleganza del dettato e nell'abbondanza
dell'inventiva, Cecchi sia piuttosto diseguale, probabilmente perché
mira un po' troppo al preziosismo verbale o all'espressione
originale, e tuttavia nel complesso riesce piacevole.
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