sabato 4 gennaio 2020

Il ritorno di Misandra ( cap. III e IV )


III


Avvolto in una nebbia azzurra il convento giaceva nella valle. Il vento fresco del mattino recava da lontano i canti dei frati. Il sole sorgeva tra le montagne, brillava tra gli alberi e le gocce della rugiada cadevano dai rami sui nugoli di ali cristalline degli insetti che si destavano al calore del giorno. Gli uccelli svolazzavano per il bosco cinguettando. L'abetaia in quel luogo era fitta e solo qua e là s'apriva, rotta da alte rupi.
Salì a fatica su un'alta roccia e si pose a guardare.
Rinchiuso fra due montagne nere, aride, circondate in tutta la loro altezza da orribili precipizi e da abissi profondi, sulle cui vette le nuvole erravano lentamente fra pochi alberi funebri dove sembravano sospese sui loro sterili rami, il monastero s'allungava nero e rigido come una bara.
Laggiù l'attendeva. Era tornata, dopo tanto tempo. Come già in un tempo lontano, ora lo aspettava ancora una volta, forse perché insieme a lei potesse meglio ricordare. Scese dunque dalla rupe e s'avviò per il sentiero attraverso la selva ombrosa qua e là avvolta ancora dalle nubi dell'umida notte, che si diradavano, s'allungavano, si disperdevano lentamente verso le alte montagne.

La mole massiccia e oscura del convento si stagliava alta nel cielo. Quattro grandi torri s'ergevano ai quattro angoli dell'edificio e un imponente archivolto sormontava un enorme portone di legno cosparso di borchie di ferro.
Mauro percosse col batacchio una di queste più volte e aspettò. Venne ad aprire un monaco, tutto coperto dal cappuccio, e come un'ombra, scivolando lungo i corridoi, lo introdusse in un'ampia sala dove gli fece il gesto di attendere.
Dopo circa un quarto d'ora la porta in fondo alla sala cigolò, s'aperse completamente, e lasciò scorgere una figura di donna. Costei s'avvicinò, quindi entrando nell'alone di luce di un'ampia finestra, mostrò il suo aspetto.
Era lei, proprio lei, Misandra. Così la rivide dopo molto tempo. Ma era sempre lei, più bella di allora, e la sua lunga chioma si distendeva sulle morbide spalle senza un capello bianco. Il suo sguardo si volgeva pieno di malìa verso Mauro, ma rimaneva stranamente freddo e distaccato. Il ricco abito bianco le copriva per metà il seno e le spalle, le ampie maniche a sbuffo le lasciavano libere le braccia. Era sempre più bella e affascinante. Sul braccio reggeva un lungo scialle nero, che usava evidentemente per coprirsi dinanzi ai monaci. Era così bianca che il candore che la copriva si fondeva con il pallore della sua carne, sotto il tenue raggio dell'aurora. Avviluppata in quel fine tessuto che rivelava ogni forma del suo giovane corpo, si sarebbe detta più il ritratto marmoreo d'un'antica dea, che una donna viva. Ma, morta o viva, statua o donna, ombra o corpo, la sua bellezza era sempre la medesima, solo il verde bagliore del suo sguardo era lievemente smorzato, e la sua bocca livida. Si fermò, poi disse con voce a un tempo chiara e vellutata :
Mi sono fatta attendere molto. Ma sono dovuta venire da molto lontano, da un luogo donde difficilmente si torna. “
Così gli offerse le mani che Mauro baciò infinite volte, mentre ella lo guardava con un sorriso indecifrabile.
Allora ella estendeva le sue radici fino ai più profondi recessi della sua anima. Egli si alimentava delle speranze e assorbiva il liquore infuocato del calice delle passioni. E la vita, imperiosa e implacabile, gli comandava d'inseguire le chimere del sogno e i fantasmi del desiderio, a costo della disillusione e del dolore che si presentavano sempre come la certa e inevitabile conseguenza.
Un vivido raggio la illuminava ed ella risplendeva, quasi la luce da lei emanasse invece d'esser riflessa, e pareva il sogno d'un pittore inebriato di dolcezza. I suoi folti capelli bruni si distendevano morbidamente sulle spalle in boccoli spontanei dai riflessi violacei. Il suo petto si scopriva lievemente, candido e rosato, il giorno vi si posava beato e vario come il raggio in un'acqua chiara.
Dopo un ultimo sguardo intriso di rimpianti, Mauro si congedò da lei e si recò in una delle celle riservate agli ospiti del monastero.




IV


Era la notte profonda. La luna, alta e assisa nel suo regno misterioso, assisteva col suo virgineo pallore, indifferente, reggendo nella mano lo scettro della vita e della morte, posto presso l'anca candida e il ventre donde hanno origine le creature destinate a popolare la terra, immagini fugaci come i sogni per i quali vivono e muoiono.
Mauro dormiva profondamente e la sua anima vagava nel sonno.
Un'arena infuocata come le sabbie del deserto turbinava in un alito soffocante, d'un fetore di putredine, e sopra un'isola rocciosa, al centro d'una palude, s'ergeva un altissimo duomo avvolto in una nube cinerea donde baluginavano bagliori di fiamma.
Un rospo, uscito dalla fanghiglia, lo caricò sulla vasta schiena scivolosa, i suoi occhi, immensi globi giallastri, apparivano a fior della melma come fanali, annunciando la visita alla sentinella bifronte, in attesa sulla torre più alta.
Le tenebre d'una navata silente lo celarono fra le ombre, nei vapori d'incenso che veleggiavano e si dileguavano. Un'irradiazione smeraldina e a tratti lucida come la pelle del ramarro si ramificava fra i colonnati erti quali tronchi di vasta selva e sopra ciclopici macigni si slanciava nell'aria fra ali di nebbia un trono. E immobile sopra il trono stava un vecchio dalla lunga barba. Intorno lunghe coorti di figure nere salmodiavano, mentre si levavano nuvole d'incenso.
Gli occhi del vecchio erano rossi come il sangue delle vittime degli antichi sacrifici, come il cerchio purpureo del sole nel tramonto.
Al fondo dell'abside si elevava fra i turiboli fumanti una scala petrosa roteando come una vertigine. Un canto s'udiva planare, come un volo di gabbiani, dall'alto. Una luce intensa penetrava ora per le vetrate del rosone e si smarriva oltre un forame nella rotta volta.
Ove si perdeva la luce ? Dannata a vagare nella tenebra, un giorno essa aveva sfiorato la guglia d'un duomo gigantesco, donde si poteva mirare la vastità del mondo.
Oh, il mondo ! Abitato da insetti incapaci di volare, scarabei proni a incrementare l'ammasso dei propri escrementi !
Dove fluiva il vasto fiume d'oro ? Aveva avvolto le vette delle montagne, rapito dalle gocce della pioggia per le fessure delle rocce erose dalle tempeste, fino alle caverne, dove muggisce il respiro della terra.
La donna si era rifugiata, risvegliando le torme dei pipistrelli frenetici, bianca di luce, nella caverna. Ella illuminava le pareti e le stalattiti col suo candore e gli angoli bui, ridesti a una luce sulfurea. S'adagiò nuda fra le rocce scanalate, levigate e quasi trasparenti. Un alone caldo, come il riverbero del focolare, l'attorniava, emanato dalle pareti ove fluttuavano le onde riflesse del ruscello.
Il corpo di lei palpitava alla carezza delle correnti che s'insinuavano e volteggiavano su e giù per le spaccature della pietra, il suo anelito si smarriva, tiepido, sotto l'ampia volta umida. La sua pelle era lucida e liscia come ambra rosea, appena si scorgeva la tenue sfumatura di qualche sottile vena verde.
Il suo corpo eburneo risaltava sul fondo indiscernibile talvolta con rigidezza ieratica, i suoi occhi a tratti s'illuminavano d'ebbrezza, due fiamme verdi.
Si udiva il rombo del mare che muggiva come il toro che un tempo rapì Europa sul dorso fremente, mentre la luna dardeggiava con le sue lunghe corna di demonio.
La grotta fu invasa da un flutto di lume rossastro che disvelò le pareti in una viva carne, un nitrito dilaniò l'aria intorbidata. Un grande cavallo rosso, quasi uscito da un lago di sangue, irruppe fra le rocce, inarcando il forte collo su cui ardevano i crini. I suoi occhi sprigionavano una tensione febbrile nell'iride cangiante tra bagliori indefinibili. Pareva la minaccia d'uno spirito solitario, escluso dalla vita degli altri, che vaga selvaggio e vendicativo nei meandri dei boschi iperborei o nei deserti fenduti dalla vampa implacabile d'un sole ostile.
Disparve la visione, il sogno s'interruppe e Mauro si risvegliò nella luce rosata della nuova alba.




Nessun commento:

Posta un commento