sabato 4 gennaio 2020

Il ritorno di Misandra ( cap. VI )


VI


Un'ala del monastero era impenetrabile, e solo un massiccio portone sembrava poter concedere l'accesso a chi ne avesse avuto la chiave. Tuttavia al di là dell'alto muro di cinta sormontato da affilate punte di metallo, si udivano talvolta delle strane voci, che certo non davano l'impressione di essere né maschili né tanto meno di monaci.
Una sera Mauro passeggiava nel giardino e osservava malinconico il tramonto fra le montagne che imporporava della sua luce morente le pendici boscose, le valli e i dirupi, quando scorse improvvisamente una figura leggera di donna quasi volare nella sua corsa furtiva verso il portone dell'ala misteriosa.
Con il solo tocco della mano la donna aperse il portone ed entrò. Mauro, notando che questo non si chiudeva ma restava spalancato, entrò pure lui.
Si ritrovò in un altro giardino colmo di piante d'ogni tipo e di fiori che impregnavano l'aria del loro profumo. Qua e là fra i lauri v'erano cespi di rose, ma al centro troneggiava un'immensa agave il cui scapo s'inalzava con le sue corone d'oro a cogliere i raggi purpurei.
Vicino all'agave colpì la sua attenzione un lucore roseo e Mauro notò che si trattava di una lapide di marmo illustrata dagli ultimi raggi del giorno.
Si avvicinò e lesse :
Qui giace Misandra d'Ormengo
figlia di Diana, morta nell'incendio
dell'anno millenovecentonovantaquattro.
Requiescat in pace “.
Rimase alquanto turbato. Dunque Misandra non era più. E allora colei che gli era apparsa chi era ?
Un rumore proveniente dall'interno del chiostro lo sottrasse ai suoi dubbi ed egli si diresse verso quel luogo. Cominciava a distinguere un lamento di voci femminili che si perdeva nel buio dei corridoi e risuonava sotto l'ampia volta, un lamento variato da voci diversamente intonate ma tutte sorte a suscitare la pietà dal profondo dell'animo.
La stanza da cui giungeva quel misto di gemiti e pianti era in fondo all'edificio, Mauro vi si diresse guidato dall'udito.
Giunto sulla soglia vide una scalea smarrirsi in un complesso di archi rampanti, di logge e colonnati, per i quali una folla di fanciulle discorreva suonando su magici strumenti incantate armonie.
Non dunque gemiti e lamenti ma suoni misteriosi e magiche melodie lo avevano attratto, o così gli pareva, poi che aveva superato quella soglia.
Giovani donne bionde dalle vesti purpuree trapunte di fili d'argento lanciavano tra loro una sfera dorata che ruotava leggera nell'aria, una fanciulla si allontanava tra le colonne come in una foresta, la veste si sollevava lievemente sopra i piedi rosei, che sfioravano il suolo. E pareva anche che la circondasse il profumo di tutti i fiori. Altre suonando arpe e liuti indossavano un candido peplo e avevano le chiome intrecciate e coronate di lauro e un nastro di seta stringeva loro la veste sotto il seno. Ed una di esse, la più splendente, dal viso ambrato, dall'iride del colore dei capelli castanei e fulvi come fili di rame, dal formoso aspetto, gentilmente gli si appressò, reggendo nella sinistra uno scettro d'oro. E trasse Mauro sino al lembi estremi della foresta di colonne e d'archi, umidi di nebbia e di vapori mossi dal venticello.
Sulle onde d'un lago sorgeva un castello, intessuto delle esalazioni e delle nebule che veleggiavano sopra la ferma distesa. Era un miraggio di vortici e correnti che erige la forza dell'estate, come un labirinto di sogni sullo specchio dormente delle paludi.
Si sentì una mano sulla spalla, voltandosi vide Misandra che gli sorrideva affabilmente. Quindi lo condusse tra le colonne sino ad un cerchio formato da grandi vasi dai quali esalava un fumo acre e inebriante e intorno stavano sette giovani donne dall'aspetto avvenente e tutte al di qua dei trent'anni.
La più giovane doveva avere circa sedici anni, era alta, formosa, con i biondi capelli sciolti morbidamente sulle spalle e gli occhi azzurri e splendenti.
La seconda sui vent'anni era minuta e graziosa, dagli occhi piccoli e maliziosi e una corta chioma nera.
La terza era molto carina, ma aveva un viso sfrontato avvezzo a ridere sguaiatamente.
La quarta, bionda e forse appena trentenne, aveva forme molto pronunciate, un dorso imponente e larghi fianchi.
La quinta, dal viso ovale e triste, era pallida e magra e sembrava propensa alla malinconia.
La sesta era bruna e olivastra, con folti capelli ricciuti, un corpo atletico e nobile e uno sguardo penetrante.
La settima era una rossa, dall'espressione sarcastica, dalla pelle bianca come latte, l'attitudine sciolta e propria al movimento.
Erano dunque queste le vere abitanti del luogo e quanto aveva prima veduto altro non era se non il prodotto di quel vapore ingannevole. Mauro però non sapeva spiegarsi perché stessero in quel luogo, né il motivo di quella magica seduzione.
Esse attorniavano Misandra con sguardi languidi da innamorate e parevano da molto tempo unite in una comunità di sentimenti e in uno scambio di complici sensazioni, e sembravano aver bevuto reciprocamente le lacrime di notti solitarie e i rimpianti di vergini infeconde. Avvinte da un'oscura brama d'amore, stavano ai suoi piedi, schiave dei suoi voleri.
Intanto una di esse, la rossa voluttuosa e maligna, prese un libro rilegato in marocchino, dai fregi dorati, e cominciò a leggere ad alta voce.
E, come ebbe letto, s'abbracciarono fra loro le fanciulle e sognarono le lontane distese del mare attorno a un'isola cinta d'echi amorosi e di languidi piaceri, e contemplarono il loro corpo virgineo, che ormai vellicava il pallore lunare, come candido marmo.
Chi di loro quella notte sarebbe stata offerta a Misandra ? A chi sarebbe toccato l'onore di versare il proprio sangue ?
Misandra attendeva presso la più giovane con occhi ardenti, come un forte animale che sorveglia la sua preda, dopo averla segnata con gli artigli. Superba ella aspirava voluttuosamente il profumo del suo trionfo che sarebbe stato versato come vino ardente, e si protendeva verso di lei quasi a cogliere il dolce dono.



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