domenica 5 gennaio 2020

Il ritorno di Misandra ( cap. VII e VIII )


VII


Il giorno dopo egli ricordava vagamente, o meglio era quasi convinto di avere sognato. Era diretto verso la foresta non lontana dal convento, tratto da un sentimento di malinconia e da un bisogno di solitudine.
Procedendo di buon passo si trovò ben presto in un vallone in mezzo alle rocce dove scorreva un ruscello le cui piccole onde spumeggiando esprimevano mormorii gioiosi.
Era un luogo selvaggio chiuso tra due ali di rupi e di scoscendimenti rocciosi, il cui minaccioso aspetto veniva mitigato da una profusione di cespugli d'un verde intenso e variamente coronati di fiori. Una moltitudine di sassifraghe spuntava dalle rocce e contribuiva così a donare alla valle un abito di rosea gaiezza.
Ma, mentre i raggi del sole giocavano tra la vegetazione illuminando le pareti calcaree e grigiastre, in mezzo alla valle sopra un'eminenza rocciosa sorse come un'ombra una strana figura.
Immobile, rigida, volgeva lo sguardo verso la corrente spumosa, scintillante di luce, e il venticello le agitava e sollevava un poco la lunga veste nera.
Avvicinatosi, Mauro vide la donna bellissima, la cui fronte splendeva di una luminosità pura, eburnea, come di cera, e i capelli, di colore bruno, scendevano morbidi sulle spalle, gli occhi brillavano, grandi e profondi e in essi l'iride mutava a seconda dei raggi che la colpivano, intessuta di tre colori, una tinta scura verso il centro, un alone castano chiaro e quindi un cerchio grigio. Egli, affascinato, osservava quel viso così puro nelle sue linee, nelle fattezze, così femminile nell'ovale della forma, e restava stupito per la strana somiglianza che aveva con il suo volto, che, sebbene più rude, pure ne manteneva l'impronta.
La bocca di lei era lievemente intesa a un sorriso, che non era di amabilità, ma di serena e sovrana indifferenza. I suoi occhi erano profondi, ma freddi come la calma dei mari settentrionali, pervasi dai ghiacci. Un orrore arcano si nascondeva dietro la sua bellezza e, distinguendola dalla miriade delle donne mortali, le conferiva il supremo e assoluto segreto dell'amore.
Era dunque Misandra, colei che ora vedeva con sorpresa, ma in un atteggiamento inconsueto, in tale immobilità !
La donna mosse lievemente il capo, o così gli parve, e lo fissò gelidamente.
E allora come in un sogno egli scorse dietro di lei una prospettiva illimitata di piane e di riviere serpeggianti e di rupi solitarie e di ponti sovra precipizi e di selve nere sfiorate dalla pallida luna, e l'occhio vi si perdeva e la fantasia volava come Astolfo sul carro dell'Evangelista. E il sogno lo rapiva in un oblio senza confini, e il tempo e lo spazio si diradarono quali nebbie fugate dai venti, e il grande specchio della memoria lo inghiottì come un vasto oceano.
Restò qualche minuto incantato e silenzioso. Poi si avvide che la donna non mutava atteggiamento né gli rivolgeva la parola. Piano, piano si mosse e con movimento rigido e meccanico iniziò a dirigersi verso il folto della vegetazione, dove ben presto Mauro seguendola scorse in una parete di roccia l'ampia entrata d'una caverna.
L'interno era illuminato da torce e una lunga galleria pareva condurre sino alle viscere della terra. Ma a un certo punto egli perse di vista la sua momentanea guida e continuò a percorrere il corridoio, finché giunse a una porta che introduceva direttamente nel cortile del monastero.
Senza essere notato, Mauro tornò nella cella che gli era stata assegnata, e qui cominciò a riflettere sullo strano incontro.



VIII


Già un'altra volta si era innamorato di Misandra. Ma era vero amore ? O non era piuttosto un desiderio vago e vano d'innamorarsi, unicamente dovuto alla noia ? Egli sapeva di essere avvinto dalle immagini, di essere mutevole come la luna o come le onde del mare. Aveva mai amato veramente una donna ? La risposta sincera l'aveva nel cuore, ed era no. Ed ora di fronte a quella strana icona, il suo cuore era rimasto stupito ed estatico. Aveva visto attraverso di lei in un baluginare di luci, uno squarcio sull'infinito ch'era in lui stesso. Si era meravigliato, perché in realtà non si conosceva.
L'amore era stato per lui soltanto come lo specchio per le allodole, frantumi di specchio insidiosi e tormentosi, talvolta una vera tortura, ma sempre e solo specchi. Non era mai riuscito ad andare al di là della superficie. E del resto, che cosa c'era al di là della superficie ? Proprio niente. Tardi, e certo ormai disincantato, si rendeva conto che l'essenza dell'amore è la semplice riproduzione degli individui, cercare qualcos'altro è appunto mera illusione. Ormai accoglieva con una sorta di rancore la lusinga delle donne, che, strano a dirsi, pur col passare degli anni si faceva più insistente. Questa illusione era davvero un crudele e inutile tormento. Eppure non poteva sottrarsi ad esso, non poteva fare a meno di torturarsi. Era davvero una triste situazione la sua, triste e senza uscita.


Misandra sorgeva ancora dinanzi ai suoi occhi come l'ideale dell'adolescenza, l'unica età della vita nella quale si ama veramente, d'un amore puro, assoluto, incantato, l'amore che basta sognare per essere felici.

Egli s'avviava a diventare un sacerdote di Venere e delle Muse.

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