sabato 4 gennaio 2020

Il ritorno di Misandra ( cap. V )


V


Presto bussò alla porta un monaco che si mise a disposizione di Mauro per l'intera giornata.
Era alto, quasi nascosto dal cappuccio, solo s'intravedeva la punta d'un grosso naso aquilino nell'ombra del volto.
Dapprima visitarono l'immensa biblioteca, i cui scaffali invadevano le pareti sino al soffitto.
Verso l'alto un'ampia vetrata, investita dai raggi del sole, illuminava l'ambiente.
Il monaco informava Mauro sui più preziosi manoscritti che poteva consultare, e la sua voce si perdeva nei meandri della sala, fra i mobili carichi di libri polverosi. I volumi massicci ornati di rilegature dorate attiravano lo sguardo, ma nel contempo lasciavano Mauro confuso, stupefatto, smarrito in una crescente vertigine. L'uomo parlava, sibilava, assordava, il suo eloquio pareva una corrente vorticosa che fluisse incessante per la stanza immensa.
Si diressero verso il giardino.
Al centro di esso un'antica fontana di marmo, segnata dal tempo, lasciava scaturire il suo mormorio quasi una melodia misteriosa, come l'echeggiare d'un canto lontano, come un ricordo improvviso e struggente.
Intorno al bacino sorgevano diverse piante, proprie dei luoghi umidi, dalle foglie gigantesche. C'era un cespuglio che reggeva una profusione di fiori porporini chiari come gemme, altrove un altro cingeva nel suo seno piccoli fiori azzurri.
Molti vasi qua e là mostravano la loro antica presenza, venati talvolta dall'impeto delle radici, e spesso ornati di rilievi, di intrecci di serpenti mitologici, di volti di Meduse.
Pergolati coperti di edera facevano una piacevole ombra e tutto il suolo intorno alle aiuole e il passaggio era disseminato di pietruzze bianche e rosate che scricchiolavano sotto i piedi.
Il monaco era scomparso. Mauro si ritrovò solo nel giardino. E allora scorse Misandra.
Camminava lentamente, con un'andatura stranamente un po' rigida, e accarezzava con la lunga veste i fiori che spuntavano dalle aiuole. La sua chioma ondeggiava al venticello e si posava sulle morbide spalle e sulla nuca lucente e bianca. Sembrava l'immagine irraggiungibile d'una dea, l'icona inviolabile della bellezza, plasmata dalla mano d'un mago. I suoi occhi, dal colore cangiante a seconda della luce, si fissarono su Mauro. Ella lo guardò a lungo, quindi sorrise velatamente. Poi si dileguò dietro un alto e frondoso albero, che cresceva presso il muro del giardino.
La mente di Mauro aveva preso a vagare nei meandri della fantasia, ma non tanto da non scorgere dietro l'albero, una volta avvicinatosi, una porta nel muro, circondata dall'edera. Si accorse che era stata appena accostata, quindi l'aperse e si ritrovò all'inizio d'una tortuosa discesa nel buio.
A tastoni e dopo molti gradini giunse in una grotta.
Una forma candida di donna si stagliava sotto la volta ombrata e giaceva in un divano. Ai lati un alto recinto di rame modellato in intrecci floreali offriva l'appiglio ad uccelli dal piumaggio variopinto, a psittaci crestati, a fagiani regali. Ai suoi piedi due grifoni sommessi aleggiavano. E come Mauro si avvicinò, la vide coricata sopra stoffe di raso ricamato in trame d'oro, e la sua nudità era solo velata dalle ciocche della chioma violacea, della quale egli coglieva il sentore raro e selvaggio. Il suo corpo era mutevole ambra che ora riluceva di luce marmorea, ora era irradiato d'un colore fulvo, ora quasi si dissolveva in un'aura di glauco vapore. Così gli appariva, avvolta dai giochi di luce nella penombra, ed intorno nelle nicchie della grotta erano deposti disordinatamente rotoli di magiche scritture, opera di qualche saturnio archimago, che insegnavano le arti sublimi della felicità. In alambicchi e fiale e in coppe dorate era il liquore dell'eterna giovinezza, l'elisir tanto ambito. In volumi polverosi era racchiusa tutta la scienza d'Amore, e segreti terribili erano celati in formule arcane. Di fronte a lei v'era un grande specchio, ricoperto da un drappo rosso.
Così nell'ombra, dove ondeggiavano fluide luci d'estati ormai fioche nella memoria quali lumi siderei, ella appariva splendida, la dea della luna vestita d'argento, nel fulvo fiume del tramonto. Pareva specchiarsi come Diana sul mare quando sporgeva il viso sovra la fonte, in una cavità nel suolo della grotta, tinta da rocce smeraldine. E nel verde splendore della conca profonda giaceva incantata. Vedeva mondi inaccessibili e le costellazioni perdute nei sogni, e trascorreva le notti mutevole come cangianti languori di luna.
Misandra levò dallo specchio il rosso manto e apparve una pianura florida di pomarii, di boschetti odorosi e di ombrose riviere. Fra questi trottavano o brucavano l'erba liocorni dalla criniera lanuta, dall'acuto corno d'avorio, dal collare d'oro guarnito di campanelle che tinnivano ad ogni minima movenza. I loro occhi azzurri rivolgevano le pupille caprine, lucide di devozione, a donne bellissime che erano in un querceto, alcune giacenti sul prato, altre a passeggio e a cogliere fiori.
Un rivo ciarliero si tuffava nelle acque d'un laghetto limpido, ove intatte conchiglie spuntavano dalle sabbie e sporgevano punte di scoglio come minuscoli isolotti intorno a cui tremolava l'onda scintillante, che giocava a sollevare i lunghi filamenti di alghe, fini come capelli.
Presso il fonte si colmava le mani la fata Eliana, in abito d'argento, e le apriva lentamente facendo cadere una luminosa cascatella frusciante. Mirinda, adagiata sul praticello, beveva la rugiada dal calice dei fiori, accarezzando gli unicorni, i quali dondolando ritmicamente le code flabellavano i gelsomini e i giacinti. Dietro il tronco d'una quercia la vaga Melusina si guardava le squame, mutata la pelle in un involucro cupreo che assorbiva il vermiglio fluttuare dell'aria, conscia ormai della sua metamorfosi, al venir della luna, nel vello lubrico. Grasinda pettinava le fluenti chiome bionde, prossima a flettersi in figura di cetra, e i filamenti le si attorcevano alle esili dita dei piedi rosei, chiudendosi in raggianti anelli minuti. Oriana in un mortaio preparava misture d'erbe magiche, e pronunciava formule arcane, per propiziarsi gli spiriti erranti nel plenilunio.
Con un sorriso malizioso Misandra ricoperse lo specchio e ogni visione scomparve. Quindi prese per mano Mauro e lo condusse per corridoi appena illuminati a un'alta porta di bronzo. La toccò appena con le dita che questa s'aperse e lasciò scorgere un'immensa pianura di fiamme. Oltre il campo di fuoco la tenebra dominava incontrastata. E sopra non era il cielo stellato né il volto pallido e stupito della luna, ma uno spazio gelido e vuoto senza fine, un baratro indiscernibile senza fondo. Il bagliore provocato dalle fiamme riversava una penombra sazia di vapori di brace e nel vago lume verdastro Mauro poté scorgere, sorpreso e sgomento, un teschio eburneo e luccicante che roteava arrestandosi un istante per poi ricominciare. Seguiva un percorso scandito dai battiti del tempo intorno a fosse quadrate e scure quali pozzi di sentina, donde esalavano miasmi ammorbanti. A migliaia le buche putride costellavano la terra buia e ne uscivano lunghi vermi bianchi che strisciavano e saltellavano a scatti. E parevano avidi di nuovi cadaveri e accorrevano in massa, una torma biancastra, lucida e tremolante, verso un gruppo di donne scarmigliate, danzanti attorno a un capro bruno, dalle ritorte corna rosse. Le magiche baccanti rovesciavano sopra i vermi, traendolo da un colossale paiolo bollente, un unguento fetido. E in poco tempo avveniva la metamorfosi. Il verme si dissolveva e larve di uomini e donne salivano dalla terra, spronate dal tirso delle maghe, che, volando sopra loro, le abbagliavano con giochi di vetri colorati. E una torma illimitata saliva dalla terra, di vite future, di infanti che presto avrebbero udito la voce della madre. Procedevano quali onde spinte da Libeccio, accalcandosi le une sulle altre, urtandosi con i piccoli gomiti, scalciando irritate da ogni lato. Una fretta imperiosa le assillava, le spingeva, anche se gracili e deboli, alla prossima carriera della vita.
Un miraggio di architetture bizzarre ergentisi a capriccio dinanzi a un sole crepuscolare, come nuvole inalzantisi al cielo, come guglie illustrate dai raggi violacei e talora violenti quasi scatti d'ira dell'astro restio a scomparire oltre l'orizzonte, come un sogno di castelli nei cieli incantati delle fiabe, si smarriva nelle profondità dello spazio, misterioso oceano senza rive.
Davanti all'astro, che si dipartiva da questa vita, un'altissima torre incombeva a precipizio sull'insondata voragine dell'oscurità e pareva attraversata nelle sue volute vorticose da bagliori più rapidi del pensiero.
Occhi di miriadi di teste mozze la pervadevano scintillanti, riflettendo l'ultima luce, e s'aprivano e si chiudevano ininterrottamente, su, su, fino a perdersi nelle altezze irraggiungibili.
E gli embrioni di vite future si allontanavano nella vasta pianura fra i vapori delle nebbie, simili a stormi di neri alati sotto una distesa di nuvole bianche qua e là trapassate da fasci luminosi, che aprendosi si confondevano nel mare.

La porta di bronzo si chiuse. Mauro volse intorno lo sguardo e si vide in un'ampia caverna, illuminata da torce fumanti. La cavità era umida e nel suo vasto giro cinta di nicchie, il soffitto concavo era occupato da una ragnatela simile a un lieve e mobile cortinaggio, alcuni pipistrelli s'agitavano da una parete all'altra.
Un lieve lamento all'improvviso catturò la sua attenzione. Veniva da una delle nicchie. Egli s'avvicinò e notò che al di là della stretta apertura s'apriva un'ampia stanza. Una luce fioca ed argentea permeava del suo pallore l'ambiente. Sul pavimento sconnesso era cresciuto uno strato di muschio e attorno si scorgevano figure d'affresco, nonostante la muffa, sirene volteggianti fra le onde, mentre una mano ignota cercava di afferrarne le chiome fluitanti e rilucenti di raggi d'oro. Ma da una parete un lupo gigantesco con le fauci aperte e gli occhi di fuoco sembrava pronto a balzare sulla preda e a farne scempio.
Nel centro della sala sopra un lungo tavolo nero era legata una povera fanciulla che gemeva pietosamente. Un raggio di luna, che filtrava da un pertugio in alto rischiarava come luce fioca negli abissi marini una bionda capigliatura arruffata intorno a una fronte imperlata di sudore e un viso bellissimo ma stravolto dall'angoscia, gli occhi azzurri, come il cielo limpido sulle alte montagne, fissavano pieni di terrore qualcosa di invisibile su di lei.
Dov'era Misandra ? Egli ora la cercava, contagiato da un'ansia inesprimibile. Ma la donna era scomparsa. E mentre si voltava intorno, ecco che una belva nera dagli occhi di fiamma balzò sulla vittima legata e le si attaccò al collo con le zanne sibilando.
Terrorizzato e sconvolto dall'orrore, Mauro uscì precipitosamente dall'avello e nel buio cercò spasmodicamente la scala che sola gli consentiva l'uscita.
Fortunatamente i suoi piedi urtarono nel primo scalino, ed egli iniziò la salita verso la libertà, più velocemente che poté. Quando ormai aveva quasi raggiunto la porta d'ingresso, resa visibile dai raggi del giorno che entravano per la fessura del battente, sentì dietro di sé l'anelito pesante e ardente del mostro, e folle di paura si slanciò fuori con un balzo, quindi chiuse la porta spingendo con forza. Questa rimase come sigillata anche senza saliscendi e Mauro traendo un sospiro di sollievo si trovò di nuovo nel giardino del convento.



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