http://youtu.be/CcBGsjPky0c
domenica 30 giugno 2013
G. D’Annunzio e il Correggio
G. D’Annunzio Il
libro segreto Milano, Mondadori,
1977
Il Correggio mi dà una giovine dama molle, nivea, rosea
soltanto nelle piante de’ piedi, nelle punte delle dita. una forma bestiale,
una sorta di mostruosa nuvola grigia l’abbranca. una zampa grigia passa di
sotto all’ascella della Inachia. e tutto quel grigiore nùbilo si gonfia
d’impudicizia come d’una burrasca d’agosto; e vi s’intravvede la faccia del
marito di Giuno rabidamente popputa che pur in grazia di Eurimedonte e d’altri
giganteschi maschi aveva fornito di corna il Massimo prima ch’ei si mutasse in
toro al ratto della bianchissima figlia d’Agenore !
E il Tintoretto, togliendo ai vecchioni la carne di Susanna
della tribù di Giuda, la dona in gloria al pagano Sole.
sabato 29 giugno 2013
Scheda Goldoni
Carlo Goldoni Don
Giovanni Tenorio ossia il dissoluto
in Collezione completa delle commedie del signor Carlo Goldoni. Tomo XV
in Venezia nella stamperia di Giuseppe Molinari a spese di Gaetano Martini,
1817.
Don Giovanni reduce da un assalto di briganti, privo di
tutto il necessario, incontra la contadina Elisa e naturalmente la seduce
all’istante. Le promette la ricchezza e la nobiltà, sono questi i principali
mezzi di persuasione. Don Giovanni appare dunque innanzi tutto come un corruttore.
Elisa pensando all’amato Carino esclama :
“ … Ama la donna
Più dell’amante suo, la sua fortuna. “
Circostanza strana : siamo in Spagna in un non ben definito
Seicento, ma si giura per gli dei pagani e le foreste sono abitate dalle ninfe.
NB. I versi seguenti della scena XIV, atto terzo, sono
reminiscenza di alcuni versi di Albio Tibullo, elegia IV, vv. 23-24 :
“ D’irato amante i giuramenti audaci
Giove non ode, e van dispersi al vento. “
e Tibullo :
“ Gratia magna Iovi : vetuit pater ipse valere,
iurasset cupide quicquid ineptus amor, … “
Atto V, scena I ( pag. 65 ). Don Giovanni si rivela misogino
:
“ … Voi pretendete
Donne superbe incatenar gli amanti,
E ridere al lor pianto, e impunemente
Negar pietade a chi piagaste il cuore.
Barbara verità ! Costume ingrato ! “
Notare questa affermazione di F. De Sanctis nella sua Storia
della letteratura italiana, I, pag. 267, a proposito del Decamerone : “ …
niente è più comico che una società spensierata e sensuale, da cui escono i
tipi di Don Giovanni e di Sancio Panza. “
Atto V, scena VIII : morte di Don Giovanni. L’empio è colto
da disperazione e bestemmia gli dei e il cielo, nonostante le esortazioni del
pastore Carino ( “ Pentitevi di cuor. “ ). Dopo la sfida di Don Giovanni ( “
Deità menzognere, il vostro braccio – Sfido a vendetta … Se giustizia è lassù,
fulmine scenda, - Mi colpisca, mi uccida, e mi profonda – Nell’inferno per
sempre. “ ) un fulmine lo incenerisce e lo sprofonda sottoterra.
Cfr. Giovanni Macchia, Vita avventure e morte di Don
Giovanni, Milano, Adelphi, 1991. A pag. 36 si accenna ad Ovidio come
esempio ( peraltro non condiviso dall’autore ) di Don Giovanni ante litteram.
Pag. 45 “ Tout le plaisir de l’amour est dans le changement “. “ … potremo dire
che il dongiovannismo è una protesta dell’istinto contro l’interdizione
proclamata dalle leggi; o addirittura contro Dio. … Nasce cioè dal bisogno della trasgressione,
della violazione, dalla rivolta, e crea un fuorilegge. “ Pag. 73 : “ E’
l’incoscienza, la forza tutta terrena di Don Giovanni, che non cede dinanzi al
sovrannaturale, chiusa com’è entro il certo, la materia, il credibile, il
senso. “
Cfr. anche L’innocente di G. D’Annunzio. Tullio
Hermil è il tipico dongiovanni intellettuale e Giuliana, la moglie, è una
Elvira che soffre in silenzio. A un certo punto il protagonista pensa : “ Io
credevo che per me potesse tradursi in realtà il sogno di tutti gli uomini
intellettuali : essere costantemente infedele a una donna costantemente fedele.
“ ( pag. 88, Milano, Mondadori, 1991
).
Molière, Le
festin de pierre ( Paris, Delarue, s. d. tome III ), parla don Juan, pag.
204 : “ Les inclinations naissantes, après tout, ont des charmes inexplicables,
et tout le plaisir de l’amour est dans le changement “. Si augura come
Alessandro che vi siano altri mondi per estendervi le proprie conquiste
amorose.
Cfr. Giovanni Macchia, Tra Don Giovanni e Don Rodrigo,
Milano, Adelphi, 1989. Pag. 156 : “ Il Don Giovanni ( di Mozart ) è un’opera
notturna. Di notte si svolgono le macchinazioni amorose … “. Cfr. il tentativo
di rapimento di notte da parte dei bravi di Don Rodrigo della buona e
perseguitata Lucia, simile in questo alla Justine del De Sade come Don Rodrigo
è assimilabile alla figura di Don Giovanni. Pag. 166, a proposito di Don
Giovanni si parla del conflitto col padre. Vedi l’atteggiamento di Julien
Sorel, ne Le Rouge et le Noir di Stendhal, nei confronti di suo padre.
J. Sorel può essere accostato anche alla figura di Don Giovanni, per le sue
numerose conquiste femminili. Pag. 167, la figura di Don Giovanni è considerata
“ una delle incarnazioni prepotenti di una società corrotta “. Quindi il
riferimento a Don Rodrigo. Pag. 174, Fra Cristoforo, dopo la scena del convito
nel palazzotto di Don Rodrigo, viene paragonato, nel suo colloquio col signorotto,
al Commendatore nel convito del Don Giovanni di Mozart, in quanto
giudice del comportamento di Don Rodrigo ( l’accostamento mi sembra un po’
azzardato ).
Vedi Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Racconti fantastici,
Milano, Peruzzo, 1986. Interessante il racconto “ Don Giovanni “, citato da G.
Macchia in Vita, avventure e morte di Don Giovanni. Ecco a pag. 143 la descrizione del personaggio
reso celebre da Mozart : “ Don Giovanni si libera del mantello e rimane
splendidamente vestito di rosso velluto strappato e ricamato d’argento. Una
figura forte e magnifica : il viso è virilmente bello; un naso sublime, occhi
perforanti, soffici labbra; uno straordinario gioco di muscoli sulla fronte
sopra le sopracciglia, fa scorgere nella fisionomia per alcuni secondi qualche
cosa del Mefistofele che, senza rubare bellezza al viso, fa suscitare un
brivido involontario. E’ come se potesse imitare la magica arte ipnotica del
serpente a sonagli; è come se le donne da lui guardate non possano più
lasciarlo e, prese da una forza sinistra, debbano loro stesse completare la
loro rovina. “
martedì 25 giugno 2013
Scheda Giuseppe Rovani
Giuseppe Rovani La giovinezza di Giulio Cesare Torino, Messaggerie Pontremolesi, s. d.
( 1873 )
Edizione conforme, tranne il
preludio che è stato tralasciato, all’originale del 1873.
Il romanzo è decisamente scritto
in fretta e male in alcuni punti.
Cap. I, fonte principale dell’opera
: Plutarco ( Vite parallele ). Pag. 29, si accenna a John Martin ( Il
festino di Baldassarre, vedi Pittura romantica di Marcel Brion, Istituto
italiano d’arti grafiche, 1968, pag. 33 ). Pag. 30 : gusto dell’accumulazione.
Pag. 31 : si riporta una notizia contenuta al principio della vita di Silla di
Plutarco. Ibidem : appare per la prima volta Giulio Cesare ( su un cavallo
nero, anch’egli vestito di nero ). E’ evidente la identificazione di Cesare con
l’eroe romantico. Qui addirittura Cesare ha caratteristiche byroniane, è una
sorta di Cesare-Byron.
Pag. 43 ( cap. II ) : accostamento
tra la figura di Cesare e quella di Byron. A proposito del volto di Cesare, il
suo labbro sensuale : “ Pareva il labbro di lord Byron, questo Cesare non
riuscito, come Champagny ebbe già a definirlo. “
Pag. 47 : Cesare ricorre agli
usurai per mantenere tra i debiti il suo alto tenore di vita.
Pag. 52 : si accenna ad un famoso
collezionista di opere d’arte ( ladro ) romano : Verre ( afflitto da una mania,
il collezionismo di opere d’arte e di gioielli, propria del dandy )[i].
Pag. 71 : si accenna alla donna fatale, Sempronia, “ il Catilina del suo sesso
“. Pag. 79 : entra in scena Marco Tullio Cicerone ( nel cap. precedente, III,
l’autore ha dipinto il ritratto di Catilina e di Sallustio ). Pag. 81 : entra
in scena Clodio ( fratello di Clodia-Lesbia ). Pag. 86 : si accenna di nuovo a
Byron paragonandolo a Cesare. Pag. 93 : si paragona Sempronia a Semiramide.
Per quanto riguarda lo stile si tratta indubbiamente di
stile aulico ( vedi perciò il romanzo di fine settecento del Verri, Le
avventure di Saffo, poetessa di Mitilene ). E’ altresì presente un
estetismo di origine neoclassica, ma con caratteristiche proprie anche del
Romanticismo, come nella seguente descrizione ( pag. 108 ) : “ … la parte
inferiore era in ombra, spiccando netta la superiore, la quale pareva uscire,
come di soppiatto e sospettosa, da una selva densissima di capegli a larghe
anella, che, al par di quelli che si vedono nel busto di Lucio Vero, aveano la
loro radice a mezza fronte, e insieme coi sopraccigli congiungentisi fitti
all’inizio della linea nasale, davano un aspetto terribilmente fantastico a
quella testa giovanile, … “
Pag. 136 : l’autore fa menzione del pittore neoclassico
Sabatelli. Su Rovani vedi Il romanzo di A. Albertazzi, pag. 279, il
quale afferma che la novità di Rovani consiste negli scenari, veri e propri
quadri di vita antica.
Pag. 148 : anche qui fa riferimento a un quadro o a un
gruppo statuario imprecisato dal titolo neoclassico di “ Le Ore in ritardo “.
Cap. VII e VIII : sia Cetego che Catilina hanno connotati da
superuomo. L’umanità rappresentata da R. in questo romanzo è in effetti
tutt’altro che corrispondente a un tipo umano reale e naturale, ma piuttosto si
tratta di figure di statuaria esemplarità, agitate da passioni teatrali ed
estreme.
Pag. 169 : la cena nel palazzo di Lucullo. L’autore
impartisce una lezione di vita romana, dando informazioni sui vasi di pietra
murrina, sul modo di disporsi nel triclinio, descrivendo gli oggetti e le
suppellettili di lusso e la storia dei secoli seguenti nella rassegna dei vari
personaggi partecipanti al banchetto.
Pag. 197 e segg. ( cap. X ) : “ I giuochi del Circo Massimo
“. Sfoggio di erudizione.
Pag. 226 : Cesare-Don Giovanni. Il protagonista viene
descritto come un autentico Don Giovanni antico, avvezzo alla conquista del
gentil sesso e abituato alla vittoria, insensibile nei confronti della consorte
Cornelia, che per altro è già la sua seconda moglie.
Pag. 261, cap. XIII, altro esempio di gusto per
l’erudizione. L’autore discetta sulla patria potestà.
Pag. 281 : si nomina Precia, citata nella vita di Lucullo di
Plutarco. Evidentemente Rovani ha letto anche questa biografia oltre a quella
di Cesare.
Parte seconda, cap. VI, pag. 49 segg., entra in scena
un’altra donna fatale : Fulvia.
Cap. X, pag. 89. Ormai terminata in una strage presso
Perugia la congiura di Catilina, l’attenzione del narratore ritorna su Cesare,
che viene colto in un evidente atteggiamento da Don Giovanni : “ Un dì, recandosi
egli a visitar Pompeo reduce dalla guerra mitridatica, vide seduta accanto al
Magno eroe la sua figliuola maggiore, al cospetto della quale, forse perché
soffiava dal Porto d’Ostia il vento d’Africa, di repente sentì infiammarsi il
sangue. “
Pag. 93 : primo accenno a Clodia, la Quadrantaria : “
Codesto soprannome di Quadrantaria, dato alla sorella di Clodio, era di
turpissima origine. Derivava dalla parola quadrante, la più vile moneta di
Roma; e con ciò i libertini ozianti nelle terme, ad esagerazione di maldicenza,
volevan significare come Clodia, ad onta dell’alto casato e delle ingenti
ricchezze, fosse immonda di tanta avarizia quanto lo era di lussuria, onde,
all’uopo, trafficavasi per un quadrante. “ [ii]
Cap. XVII, pag. 164. Breve ritratto di Clodio : “ E poco
dopo entrò anche Clodio, fiero e provocante nell’incesso, infiammato negli
occhi : e pareva Apollo sagittario, quando dall’arco suonante vibrava saette
pestifere a contaminare il campo argivo. “
Cap. XXII, pagg. 232-233. Cesare viene paragonato a
Napoleone ( qui sarebbe interessante consultare il Caesar di F. Gundolf
).
[i] Cfr. Cicerone, In C.
Verrem actio prima, cap. 5 : “ … etiam delubra omnia sanctissimis
religionibus consecrata depeculatus est, deum denique nullum Siculis, qui ei
paulo magis adfabre atque antiquo artificio factus videretur, reliquit. “ Per
quanto riguarda l’eccentricità abbiamo esempi in Macrobio Saturnali, II,
4, 22 : “ Curtius eques Romanus deliciis diffluens, cum macrum turdum
sumpsisset in convivio Caesaris, interrogavit an mittere liceret. Responderat
princeps : Quidni liceat ?; ille per fenestram statim misit. “ Saturnali,
III, 13, 1 : riferisce alcuni aneddoti sulla eleganza maniacale di Ortensio
Ortalo, “ … vir alioquin ex professo mollis et in praecinctu ponens omnem
decorem … “, tanto da citare in tribunale per ingiuria un collega perché,
passando per uno stretto vicolo, gli aveva mosso una piega della toga,
facendola spostare dalla spalla.
Nello stesso luogo è citato il lusso smodato di Metello Pio
( fonte Sallustio ) che in Spagna si faceva adorare e, quando si adagiava a
banchetto, una statua della Vittoria calata dall’alto gli poneva sulla testa
una corona e al suo arrivo si spargeva incenso come a un dio.
Anche Aulo Gellio ( Notti attiche, V ) riferisce che
Demostene vestiva in modo troppo ricercato e aveva un comportamento femmineo e
che allo stesso modo Ortensio si vestiva e atteggiava tanto da essere chiamato
Dionisia da un certo ( zotico ) Torquato. Dionisia era il nome di una ballerina.
[ii] A proposito di
Lesbia-Clodia cfr. i versi di Giovenale, Satira VI, 7-8 :
“ … nec tibi, cuius
turbavit nitidos
extinctus passer ocellos “
paragona la donna primitiva alle matrone odierne e dice che
certo le antiche non erano simili alle moderne. Questa è una conferma ulteriore
della cattiva fama di Clodia, la Quadrantaria.
domenica 23 giugno 2013
Elena e Achille
Sovra un’alta torre stava una
donna. Come la luna pareva assistere alla sorte degli uomini; quanto infatti le
potenze intermedie fra la terra e il cielo esercitano influssi fausti o nefasti,
Giove benefici, Venere voluttuosi, agili Mercurio, nocivi Saturno, ardenti
Marte, tanto può determinare il destino umano una sola donna.
Era accerchiata da dignitari e da
ancelle, da guerrieri armati di lancia e scudo, da menestrelli, da buffoni di corte,
da aedi, da retori, da sofisti dalla barba bianca, da pontefici mitrati, da
giocolieri, da artisti, da pittori, da poeti.
Ella fulgeva d’un alto diadema
aureo sovrastato da un globo fiammeggiante di rubini, la capigliatura fluente
le procombeva sugli omeri in avvolgimenti flavi quale onda indorata, ed ella
recava nella destra il fiore del loto. Un camice di lino levissimo lasciava
libere di modellarsi negli atti decorosi le carni più aulenti del carneo petalo
della rosa, e un manto tramato di borchie argentee e intessuto di tutte le
varietà lucenti dell’arcobaleno le cadeva in molli pieghe dalle spalle
immortali.
Ella era volta alla pianura, ove
le file achee ormai affrontavano i Troiani in una guerra decennale, poi che era
stato nunziato l’imminente duello tra i due mariti, Menelao Lacedemone, valente
in battaglia, e Paride bellissimo.
Da un lato Menelao, torvo, spiava
le mosse del rivale. La corazza nera era ancora impolverata, né aveva messo
l’elmo, ché non erano ultimati i preliminari del truce scontro, e attendeva
sdegnoso, socchiudendo gli occhi cerulei e aggrinzando i sopraccigli folti. Il
volto biancheggiava, appena sporcato d’una debole lanugine, i capelli erano
corti e radi.
Dall’altro lato Paride, dalla
fluida chioma castanea che in morbide anella s’univa all’accennata peluria fra
le scapole sulla pelle polita, destava ammirazione fra lo schieramento nemico
per la straordinaria grazia del volto, dove sereni gli occhi bruni e placidi
con noncuranza posavano sulle armi ostili. Aveva forse egli furtivamente
insinuato nel petto impudico della regina spartana il fuoco della sua bramosia,
in lei che ad altro non atteggiava la posa regale, altezzosa e lasciva,
desiderosa d’essere oggetto di desiderio.
Ed ella, per certo, ora poteva
constatare quanto valesse la sua bellezza, ché popoli interi si dissanguavano e
si estinguevano nelle battaglie, e tutta l’Asia era desolata e messa a ferro e
fuoco dall’ingiusta rabbia del marito e di una stirpe, che, considerando solo
l’offesa, non pensava alla complicità e al compiaciuto assenso dell’ostaggio,
cui s’immolavano tante vite.
Ma a lei, forse, quei sacrifici
nella pianura d’Ilio erano doverosi tributi. Ad un fascino immortale si svenava
la mortale moltitudine umana, alla quale gli dei non avevano concesso alcun
divino incantesimo, che irraggiasse nei sensi il brivido della perfezione,
laddove questa fosse inafferrabile, poi che nel suo viso si smarrivano i volti
degli uomini quasi per un’insostenibile ebbrezza o una letizia senza concetto.
Ed ella invero avrebbe potuto
avere per amanti anche Ulisse o Diomede, o lo stesso Tersite, o il più umile
stalliere, e avrebbe potuto darsi ad entrambi gli eserciti, quale premio
inappagabile, poi che non essendole bastato un regno non si sarebbe contentata
della terra intera, tanta e sì profonda era l’inquietudine che la costringeva
al tradimento. Ma gli uomini, come avrebbe potuto o dovuto accontentarsi degli
uomini ?
Era l’amore d’un uomo quale il
sorriso dell’alba sul mare ancora nel sonno o l’implacato furore dell’oceano
nel cielo invaso dalla notte ?
Era l’amore mortale come
l’accecante trionfo del sole nel divorante meriggio o quale il silenzio lunare
sui dirupi erosi dalle piogge e sulle macchie nere delle selve ? Aveva tale
amore la violenza degli uragani e l’aridità del deserto ?
Per questo aveva abbandonato
Menelao, così puntiglioso e stoltamente pieno d’orgoglio, e avrebbe in seguito
lasciato anche Paride, quel ragazzo vanesio e viziato. Ma non le sarebbe valso
il valore e la potenza di Agamennone, né la prodezza d’Aiace, né la fedeltà di
Patroclo, né la saggezza di Nestore.
Le sue pupille miravano al di là
degli spazi terrestri. I suoi occhi lucevano sopra le stragi dei combattenti,
sopra i corpi splendidi di gioventù che erano sacrificati, innanzi a lei ,
divinità impassibile e indifferente.
Una tristezza l’opprimeva, un
tedio senza scampo, un’ansia che la trascinava tremante fino alla torre più
alta, donde il suo viso, impallidito dalla luna, interrogava i roghi della
pianura e il cupo mare sonoro.
Ed ora ella assisteva alla farsa
del duello fra i due mariti, a lei più estranei di uno Scita selvaggio e d’un
oscuro indigeno di Liguria.
E l’iride degli occhi suoi
brillava d’una strana luce, ed ella appariva immota e perduta nel tempo e nello
spazio.
Lontano, verso l’accampamento
degli Achei, scorse la biga splendente del fiero Achille che spronava i
destrieri veloci come il vento, Xanto e Balìo, figli di Podarghe, uno notturno
e l’altro rosso come fuoco. Essi correvano annitrenti, scalpitanti scrollando
la folta giuba, quali spiriti o dei trasformati, al comando del figlio di
Tetide.
Ed Elena lo vide, splendido di
gloria, la chioma luminosa nell’impetuoso soffiare dell’ansimo marino, il corpo
terribile nelle armi di Efesto e il volto che anche da lontano intimoriva maestoso.
E le pareva che ascendesse, nella corsa, al cielo, un sole sopra le nubi, e il
suo volto fosse quello d’un dio.
sabato 15 giugno 2013
Macrobius, In somnium Scipionis, I, 11
Dicendum est quid his postea
ueri sollicitior inquisitor philosophiae cultus adiecerit. nam et qui primum
Pythagoram et qui postea Platonem secuti sunt, duas esse mortes, unam animae,
animalis alteram prodiderunt, mori animal cum anima discedit e corpore, ipsam
uero animam mori adserentes cum a simplici et indiuiduo fonte naturae in membra
corporea dissipatur. et quia una ex his manifesta et omnibus nota est, altera
non nisi a sapientibus deprehensa, ceteris eam uitam esse credentibus: ideo hoc
ignoratur a plurimis cur eundem mortis deum modo Ditem modo inmitem uocemus cum
per alteram id est animalis mortem absolui animam et ad ueras naturae diuitias
atque ad propriam libertatem remitti faustum nomen indicio sit, per alteram
uero quae uulgo uita existimatur animam de inmortalitatis suae luce ad quasdam
tenebras mortis inpelli uocabuli testemur horrore.
sabato 1 giugno 2013
La città
Il giorno dopo si
recò nella vicina città, non molto lontano, presso il mare. Le strade erano
colme di vetture rombanti, di autotreni, esalanti vapori sotto i colonnati di
palme.
Quando si era svegliato, il sole l’aveva accolto in un alone
d’oro. La persiana non era stata chiusa e il mattino era liberamente entrato.
Ed ora era come se quel corteo di luce lo accompagnasse ancora, nonostante non
fosse più solo.
Un corteo di luminose immagini, miste ai sogni dell’alba,
gli era intorno, di sogni giovanili, di ricordi. Una pineta, i prati, una
fanciulla bionda al centro della compagnia. Erano gli ultimi giorni di scuola e
la domenica anticipava ormai le prossime vacanze estive. Quella fanciulla un
tempo gli piaceva, ma ora il suo viso non era che una vaga rimembranza, una
luce dorata e rosea, un fluire biondo, un ruscello fiottante, limpido, su sassi
d’argento, fra cespi di margherite.
Ora il sole lo accompagnava tra la polvere e i fumi della
strada.
Ma la voce lontana eppure intima lo chiamava ancora, in un
rigoglio di verdi distese e di alti rami inondati di luce, una musica potente e
profonda che lo invadeva in un dolce brivido, remota malìa di divinità silvane,
stormire di fronde nel silenzio, sapido mistero del sottobosco.
Ed ora scorgeva attorno le vetture sfrecciare, fastidiose,
come le rondini in un volo infesto sfiorano saettando il capo del viandante, a
difesa del nido vicino, con sibilo molesto.
Nell’ansia mattutina era assai più invadente il rumore dei
motori, una minaccia costante, il costante monito del tempo che fugge e che
vola verso un’ambigua meta. Dove, dove ?
Le strade si popolavano lentamente. I cittadini uscivano dai
portoni con gesti lenti, assonnati. Piano, piano il formicolìo cresceva e
avrebbe raggiunto l’apice a mezzogiorno. Le saracinesche dei negozi stridendo
schiudevano al mondo le merci variopinte, come ogni giorno la città si
rimetteva in moto e le arterie che l’attraversavano si gonfiavano del flusso di
vetture, camions, autobus e di passanti frettolosi.
La città nel chiasso e nella polvere riprendeva la sua vita,
fatta di traffici, di orari d’ufficio, di noiose lezioni a scuola, di code agli
sportelli pubblici, di suoni di sirene e soprattutto del volo dei piccioni e
dei gabbiani che si posavano sui camini e sugli alberi e sui lampioni,
lasciandovi le reliquie corrosive della loro presenza.
La città come una grassa e giovane donna pubblica si
svegliava. I marciapiedi ogni giorno dovevano essere spazzati, poi migliaia di
persone si agitavano correndo di qua e di là.
La via che dalla piazza centrale entrava nella città vecchia
era interdetta alle vetture e già popolata di venditori ambulanti negri che
cercavano di attirare i passanti con il loro eloquio stentato. Un profumo di
pollame, di macelleria, di salumi impregnava l’aria, la gente saliva e scendeva
per la strada inumidita dall’acqua, gettata davanti all’ingresso dei negozi per
la pulizia del mattino.
Verso le undici e il mezzodì il traffico avrebbe raggiunto
il culmine per trasformarsi nel pomeriggio in una sorta di sfilata dei
perdigiorno. Allora la via sottostante, la più elegante e quella che annoverava
i cinema e teatri e i negozi di lusso, si sarebbe colmata di una gioventù
spensierata e chiassosa, spesso volgare, che l’avrebbe percorsa in lungo e in
largo più volte alla ricerca di futili passioncelle.
Un senso di noia profonda aleggiava sulla città. Intanto
s’udiva verso il porto il rauco vociare marino diventare sempre più forte.
Contro il molo le onde si scagliavano con furia schiantandosi in mille
scintille di spuma e il vento fischiava isterico sovra il mare rabbioso.
Gruppi di gabbiani volitavano sulla città, sopra i cui tetti
avevano ormai da tempo fatto il nido. In basso la turba transitava frenetica e
rumorosa recandosi al mercato annonario, entrando per le viuzze laterali, in
gran fretta come sempre, punta dall’assillo fastidioso e tenace.
Ma il mare urlava oltre il molo, il mare cui non interessano
le vicende degli uomini, e inviava legioni di ondate a sfracellarsi contro gli
scogli, nel tentativo, per ora vano, di strappare alla terra un po’ del suo
dominio.
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