Sole d'estate sopra
il giglio azzurro,
tu dimori sui prati
Anadiomene,
fili d'oro la fronda
quasi vene
di luce verde colta
in un susurro,
e nell'iride accorre
cinerina
la Fenice purpurea,
tu distilli
su grappoli di fiori
la sordina
d'acre suono che
impetri e disfavilli.
Vergine stanca o
amazzone guerriera
muovi alla danza
sull'arboreo fiato,
che scolora nei
venti e torna cera
d'api e di miele
calice illibato.
Fuga di veli nuda tu
ammanti
l'ammaliato narciso,
e il sacro
coro dei monti per i
dolci canti
vibra sui sassi
rapido lavacro.
Tu assalto d'ombre
nel tempestoso
sonno del giorno, e
occhio che dormi
nella stilla del
lago lacrimoso,
sogni d'aironi i
variati stormi.
Ansia cupa della
nube grigia,
agonia d'un vello
putrescente,
per la palude ti
dissolvi Stigia,
più nulla offri
alle pupille spente.
Ma la tua chioma è
un tiepido ruscello
nella mattina
vergine e vivace,
vivida foglia di
smeraldo tace,
spira ed odora casta
in un sacello.
Così i tuoi occhi
suonano armoniosi
come i fianchi
dell'arpa levigati,
bella e sinuosa onda
che ti sposi,
sciolta la spuma in
ansimi falcati.
Nere pupille come le
criniere
di stalloni sulfurei
al galoppo,
o labbra di soave
bocca sincere
e troppo ardite e
bramate troppo.
O profilo del mento,
dolce naso,
o delicata fronte
rilucente
da fiori d'oro nel
tuo cielo invaso,
caro segreto
dell'astrusa mente,
o d'amori in fuga
amorosa torma,
ti precipiti e ti
celi ora invano,
quale corpo che
solitario dorma
e più trascorre
nell'immenso piano.
Ebrezza folle del
linguaggio muto
è della danza la
magia sovrana,
come ti segno nel
pensare acuto
così ti bevo nella
coppa arcana.
Un cigno del passato
si ricorda
sul lucido sospirare
dei meli
quale si perde di
memoria l'orda
nell'oblio monotono
dei cieli.
Tu certo non
ricordi, fanciulla,
l'attimo perduto
degli sguardi,
il grigio dei
capelli è troppo tardi
e il volto si
dissolve nel mio nulla.
Che d'imeneo il
soave flauto
perduto giacque
sopra morte arene,
questa fu colpa e il
suonatore incauto,
che si recise le
pulsanti vene.
Non assicura un
bacio le perfidie
e velleità del
morso misterioso
e non hai per me le
dolci insidie
e non mi attiri un
palpito geloso.
Anni perduti
nell'inconscio nodo
dei doveri e del
fato, odiosi inganni
dello spietato
tempo, sconci affanni
d'una coscienza che
non ha più modo.
Sogno senza rimedio,
e conforto
di fantasmi, né a
me quieto porto
di maturi riflessi,
rimembranza
di figure ignote, in
lontananza.
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