Ludovico Ariosto Orlando furioso
Canto XX, 1 e 2, considerazioni di carattere assai moderno sulle donne illustri e sulle potenziali capacità delle donne in generale.
Le donne antique hanno mirabil cose
fatto ne l'arme e ne le sacre muse;
e di lor opre belle e gloriose
gran lume in tutto il mondo si diffuse.
Arpalice e Camilla son famose,
perché in battaglia erano esperte et use;
Safo e Corinna, perché furon dotte,
splendono illustri, e mai non veggon notte.
Le donne son venute in eccellenza
di ciascun'arte ove hanno posto cura;
e qualunque all'istorie abbia avvertenza,
ne sente ancor la fama non oscura.
Se 'l mondo n'è gran tempo stato senza,
non però sempre il mal influsso dura;
e forse ascosi han lor debiti onori
l'invidia o il non saper degli scrittori.
fatto ne l'arme e ne le sacre muse;
e di lor opre belle e gloriose
gran lume in tutto il mondo si diffuse.
Arpalice e Camilla son famose,
perché in battaglia erano esperte et use;
Safo e Corinna, perché furon dotte,
splendono illustri, e mai non veggon notte.
Le donne son venute in eccellenza
di ciascun'arte ove hanno posto cura;
e qualunque all'istorie abbia avvertenza,
ne sente ancor la fama non oscura.
Se 'l mondo n'è gran tempo stato senza,
non però sempre il mal influsso dura;
e forse ascosi han lor debiti onori
l'invidia o il non saper degli scrittori.
Orlando e Rodomonte sono le due facce della stessa medaglia, o meglio l’alter ego l’uno dell’altro, entrambi invincibili, entrambi eroici, entrambi abbandonati e rifiutati dalle loro donne ( per Rodomonte vedi canto XXVII, Doralice gli preferisce Mandricardo ).
Canto XXVII, invettiva di Rodomonte contro le donne ( vv. 117-121 ) “ per pestilenzia eterna al mondo nate “ :
117
Di cocenti sospir l'aria accendea
dovunque andava il Saracin dolente:
Ecco, per la pietà che gli n'avea,
da' cavi sassi rispondea sovente.
-- Oh feminile ingegno, -- egli dicea
-- come ti volgi e muti facilmente,
contrario oggetto proprio de la fede!
Oh infelice, oh miser chi ti crede!
118
Né lunga servitù, né grand'amore
che ti fu a mille prove manifesto,
ebbono forza di tenerti il core,
che non fossi a cangiarsi almen sì presto.
Non perch'a Mandricardo inferiore
io ti paressi, di te privo resto;
né so trovar cagione ai casi miei,
se non quest'una, che femina sei.
119
Credo che t'abbia la Natura e Dio
produtto, o scelerato sesso, al mondo
per una soma, per un grave fio
de l'uom, che senza te saria giocondo:
come ha produtto anco il serpente rio
e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo
e di mosche e di vespe e di tafani,
e loglio e avena fa nascer tra i grani.
120
Perché fatto non ha l'alma Natura,
che senza te potesse nascer l'uomo,
come s'inesta per umana cura
l'un sopra l'altro il pero, il sorbo e 'l pomo?
Ma quella non può far sempre a misura:
anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,
veggo che non può far cosa perfetta,
poi che Natura femina vien detta.
121
Non siate però tumide e fastose,
donne, per dir che l'uom sia vostro figlio;
che de le spine ancor nascon le rose,
e d'una fetida erba nasce il giglio:
importune, superbe, dispettose,
prive d'amor, di fede e di consiglio,
temerarie, crudeli, inique, ingrate,
per pestilenzia eterna al mondo nate. –
Di cocenti sospir l'aria accendea
dovunque andava il Saracin dolente:
Ecco, per la pietà che gli n'avea,
da' cavi sassi rispondea sovente.
-- Oh feminile ingegno, -- egli dicea
-- come ti volgi e muti facilmente,
contrario oggetto proprio de la fede!
Oh infelice, oh miser chi ti crede!
118
Né lunga servitù, né grand'amore
che ti fu a mille prove manifesto,
ebbono forza di tenerti il core,
che non fossi a cangiarsi almen sì presto.
Non perch'a Mandricardo inferiore
io ti paressi, di te privo resto;
né so trovar cagione ai casi miei,
se non quest'una, che femina sei.
119
Credo che t'abbia la Natura e Dio
produtto, o scelerato sesso, al mondo
per una soma, per un grave fio
de l'uom, che senza te saria giocondo:
come ha produtto anco il serpente rio
e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo
e di mosche e di vespe e di tafani,
e loglio e avena fa nascer tra i grani.
120
Perché fatto non ha l'alma Natura,
che senza te potesse nascer l'uomo,
come s'inesta per umana cura
l'un sopra l'altro il pero, il sorbo e 'l pomo?
Ma quella non può far sempre a misura:
anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,
veggo che non può far cosa perfetta,
poi che Natura femina vien detta.
121
Non siate però tumide e fastose,
donne, per dir che l'uom sia vostro figlio;
che de le spine ancor nascon le rose,
e d'una fetida erba nasce il giglio:
importune, superbe, dispettose,
prive d'amor, di fede e di consiglio,
temerarie, crudeli, inique, ingrate,
per pestilenzia eterna al mondo nate. –
Canto XXVIII : divertente e curiosa la novella di Iocondo ( l’infedeltà delle donne ) di gusto boccaccesco come altre inserite qua e là nel poema.
17
La notte ch'andò inanzi a quella aurora
che fu il termine estremo alla partenza,
al suo Iocondo par ch'in braccio muora
la moglie, che n'ha tosto da star senza.
Mai non si dorme; e inanzi al giorno un'ora
viene il marito all'ultima licenza.
Montò a cavallo, e si partì in effetto;
e la moglier si ricorcò nel letto.
18
Iocondo ancor duo miglia ito non era,
che gli venne la croce raccordata,
ch'avea sotto il guancial messo la sera,
poi per oblivion l'avea lasciata.
"Lasso!" dicea tra sé "di che maniera
troverò scusa che mi sia accettata,
che mia moglie non creda che gradito
poco da me sia l'amor suo infinito?"
19
Pensa la scusa, e poi gli cade in mente
che non sarà accettabile né buona,
mandi famigli, mandivi altra gente,
s'egli medesmo non vi va in persona.
Si ferma, e al fratel dice: « Or pianamente
fin a Baccano al primo albergo sprona;
che dentro a Roma è forza ch'io rivada:
e credo anco di giugnerti per strada.
20
Non potria fare altri il bisogno mio:
né dubitar, ch'io sarò tosto teco. »
Voltò il ronzin di trotto, e disse a Dio;
né de' famigli suoi vòlse alcun seco.
Già cominciava, quando passò il rio,
dinanzi al sole a fuggir l'aer cieco.
Smonta in casa, va al letto, e la consorte
quivi ritrova addormentata forte.
21
La cortina levò senza far motto,
e vide quel che men veder credea:
che la sua casta e fedel moglie, sotto
la coltre, in braccio a un giovene giacea.
Riconobbe l'adultero di botto,
per la pratica lunga che n'avea;
ch'era de la famiglia sua un garzone,
allevato da lui, d'umil nazione.
che fu il termine estremo alla partenza,
al suo Iocondo par ch'in braccio muora
la moglie, che n'ha tosto da star senza.
Mai non si dorme; e inanzi al giorno un'ora
viene il marito all'ultima licenza.
Montò a cavallo, e si partì in effetto;
e la moglier si ricorcò nel letto.
18
Iocondo ancor duo miglia ito non era,
che gli venne la croce raccordata,
ch'avea sotto il guancial messo la sera,
poi per oblivion l'avea lasciata.
"Lasso!" dicea tra sé "di che maniera
troverò scusa che mi sia accettata,
che mia moglie non creda che gradito
poco da me sia l'amor suo infinito?"
19
Pensa la scusa, e poi gli cade in mente
che non sarà accettabile né buona,
mandi famigli, mandivi altra gente,
s'egli medesmo non vi va in persona.
Si ferma, e al fratel dice: « Or pianamente
fin a Baccano al primo albergo sprona;
che dentro a Roma è forza ch'io rivada:
e credo anco di giugnerti per strada.
20
Non potria fare altri il bisogno mio:
né dubitar, ch'io sarò tosto teco. »
Voltò il ronzin di trotto, e disse a Dio;
né de' famigli suoi vòlse alcun seco.
Già cominciava, quando passò il rio,
dinanzi al sole a fuggir l'aer cieco.
Smonta in casa, va al letto, e la consorte
quivi ritrova addormentata forte.
21
La cortina levò senza far motto,
e vide quel che men veder credea:
che la sua casta e fedel moglie, sotto
la coltre, in braccio a un giovene giacea.
Riconobbe l'adultero di botto,
per la pratica lunga che n'avea;
ch'era de la famiglia sua un garzone,
allevato da lui, d'umil nazione.
Canto XLIII, strofa 44 : di nuovo accuse contro la donna “mobile”, novella del cavaliere misterioso e del palazzo fatato, è una coppa di vino magico quella che svela i cornuti. Già nel canto XLII, 103, è il curioso gioco di parole “ … se porti il cimier di Cornovaglia “, oltre alla solita cattiva fama delle donne :
100
Ciascun marito, a mio giudizio, deve
sempre spiar se la sua donna l'ama;
saper s'onore o biasmo ne riceve,
se per lei bestia, o se pur uom si chiama.
L'incarco de le corna è lo più lieve
ch'al mondo sia, se ben l'uom tanto infama:
lo vede quasi tutta l'altra gente;
e chi l'ha in capo, mai non se lo sente.
101
Se tu sai che fedel la moglie sia,
hai di più amarla e d'onorar ragione,
che non ha quel che la conosce ria,
o quel che ne sta in dubbio e in passione.
Di molte n'hanno a torto gelosia
i lor mariti, che son caste e buone:
molti di molte anco sicuri stanno,
che con le corna in capo se ne vanno.
102
Se vuoi saper se la tua sia pudica
(come io credo che credi, e creder déi;
ch'altrimente far credere è fatica,
se chiaro già per prova non ne sei),
tu per te stesso, senza ch'altri il dica,
te n'avvetrai, s'in questo vaso béi;
che per altra cagion non è qui messo,
che per mostrarti quanto io t'ho promesso.
103
Se béi con questo, vedrai grande effetto;
che se porti il cimier di Cornovaglia,
il vin ti spargerai tutto sul petto,
né gocciola sarà ch'in bocca saglia:
ma s'hai moglie fedel, tu berai netto.
Or di veder tua sorte ti travaglia. --
Così dicendo, per mirar tien gli occhi,
ch'in seno il vin Rinaldo si trabbocchi.
Ciascun marito, a mio giudizio, deve
sempre spiar se la sua donna l'ama;
saper s'onore o biasmo ne riceve,
se per lei bestia, o se pur uom si chiama.
L'incarco de le corna è lo più lieve
ch'al mondo sia, se ben l'uom tanto infama:
lo vede quasi tutta l'altra gente;
e chi l'ha in capo, mai non se lo sente.
101
Se tu sai che fedel la moglie sia,
hai di più amarla e d'onorar ragione,
che non ha quel che la conosce ria,
o quel che ne sta in dubbio e in passione.
Di molte n'hanno a torto gelosia
i lor mariti, che son caste e buone:
molti di molte anco sicuri stanno,
che con le corna in capo se ne vanno.
102
Se vuoi saper se la tua sia pudica
(come io credo che credi, e creder déi;
ch'altrimente far credere è fatica,
se chiaro già per prova non ne sei),
tu per te stesso, senza ch'altri il dica,
te n'avvetrai, s'in questo vaso béi;
che per altra cagion non è qui messo,
che per mostrarti quanto io t'ho promesso.
103
Se béi con questo, vedrai grande effetto;
che se porti il cimier di Cornovaglia,
il vin ti spargerai tutto sul petto,
né gocciola sarà ch'in bocca saglia:
ma s'hai moglie fedel, tu berai netto.
Or di veder tua sorte ti travaglia. --
Così dicendo, per mirar tien gli occhi,
ch'in seno il vin Rinaldo si trabbocchi.
Canto XLIII, nella favola d’Adonio lo stile è disuguale e piuttosto involuto. Lo schema seguito sembra quello tradizionale del novellare di Boccaccio. La leggendaria “armonia” dell’Ariosto è prevalente nel poema, ma non onnipresente. Pare poi che l’autore utilizzi molti episodi come riempitivi per raggiungere una certa lunghezza dell’opera. Inoltre sembra ossessionato dall’idea delle “corna” :
8
Che come Adam, poi che gustò del pomo
che Dio con propria bocca gl'interdisse,
da la letizia al pianto fece un tomo,
onde in miseria poi sempre s'afflisse;
così, se de la moglie sua vuol l'uomo
tutto saper quanto ella fece e disse,
cade de l'allegrezze in pianti e in guai,
onde non può più rilevarsi mai. –
Che come Adam, poi che gustò del pomo
che Dio con propria bocca gl'interdisse,
da la letizia al pianto fece un tomo,
onde in miseria poi sempre s'afflisse;
così, se de la moglie sua vuol l'uomo
tutto saper quanto ella fece e disse,
cade de l'allegrezze in pianti e in guai,
onde non può più rilevarsi mai. –
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