Igino Ugo Tarchetti
Fosca ( 1869 ) Torino, UTET, 1983
(
Narratori settentrionali dell'Ottocento )
Opera la cui tematica è
ben superiore alle mode del tempo. Fosca è un caso umano molto
singolare più che una donna-vampiro come potrebbe apparire. Il tema
è romantico, ma l'amore è concepito da Fosca secondo le idee
positivistiche dell'epoca, cioè essenzialmente come amore fisico (
anche se poi coinvolge tutto l'essere umano ). E il motivo di fondo è
il contrasto tra la bellezza dell'uomo amato da Fosca e la bruttezza
senza rimedio della donna, malata per giunta di consunzione e
d'isteria.
Cap. XV
Il mio desiderio fu esaudito: conobbi
finalmente Fosca.
Un
mattino mi recai per tempo alla casa del colonnello (vi pranzavamo
tutti uniti e ad un’ora, ma per la colazione vi si andava ad ore
diverse, alla spicciolata) e mi trovai solo con essa.
Dio!
Come esprimere colle parole la bruttezza orrenda di quella donna!
Come vi sono beltà di cui è impossibile il dare una idea, cosí vi
sono bruttezze che sfuggono ad ogni manifestazione, e tale era la
sua. Né tanto era brutta per difetti di natura, per disarmonia di
fattezze, - ché anzi erano in parte regolari, - quanto per una
magrezza eccessiva, direi quasi inconcepibile a chi non la vide; per
la rovina che il dolore fisico e le malattie avevano prodotto sulla
sua persona ancora cosí giovine. Un lieve sforzo d’immaginazione
poteva lasciarne travedere lo scheletro, gli zigomi e le ossa delle
tempie avevano una sporgenza spaventosa, l’esiguità del suo collo
formava un contrasto vivissimo colla grossezza della sua testa, di
cui un ricco volume di capelli neri, folti, lunghissimi, quali non
vidi mai in altra donna, aumentava ancora la sproporzione. Tutta la
sua vita era ne’ suoi occhi che erano nerissimi, grandi, velati -
occhi d’una beltà sorprendente. Non era possibile credere che ella
avesse mai potuto essere stata bella, ma era evidente che la sua
bruttezza era per la massima parte effetto della malattia, e che,
giovinetta, aveva potuto forse esser piaciuta. La sua persona era
alta e giusta; v’era ancora qualcosa di quella pieghevolezza, di
quella grazia, di quella flessibilità che hanno le donne di
sentimento e di nascita distinta; i suoi modi erano cosí
naturalmente dolci, cosí spontaneamente cortesi che parevano attinti
dalla natura piú che dall’educazione: vestiva colla massima
eleganza, e veduta un poco da lontano, poteva trarre ancora in
inganno. Tutta la sua orribilità era nel suo viso.
Certo
ella aveva coscienza della sua bruttezza, e sapeva che era tale da
difendere la sua reputazione da ogni calunnia possibile; aveva
d’altronde troppo spirito per dissimularlo, e per non rinunziare a
quegli artifici, a quelle finzioni, a quel ritegno convenzionale a
cui si appigliano ordinariamente tutte le donne in presenza d’un
uomo.
Me le
era presentato da me stesso nell’entrare. Allorché fui seduto a
tavola, ella venne a prender posto vicino a me, e mi disse con
dolcezza:
- Vi
vedo solo, e mi permetto di farvi un poco di compagnia. Desiderava di
conoscervi, e di ringraziarvi personalmente dei libri che mi avete
mandato. Mio cugino mi aveva parlato di voi, e avrei voluto vedervi
un po’ prima. Ma come fare? Sono sempre cosí malata!
Fui
colpito dalla soavità della sua voce, piú ancora di quanto nol
fossi stato dalla sua bruttezza.
( … )
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