sabato 18 febbraio 2012

Lo specchio





Nella camera era posto un grande armadio a specchio. Non poté fare a meno di guardare e vide la sua immagine riflessa, ma stentò a riconoscersi.
Chi era mai quell’uomo dagli occhi fissi sopra di lui, implacabili e dotati d’una straordinaria energia ? Pareva un demone appena uscito da una nube nera, circondato da un’aura di possente mistero. Lo fissava sogghignando, sarcastico e crudele, con le braccia incrociate, che sembravano dotate d’una forza immane, pronte in un balzo di belva a dilaniare.
Era proprio lui quell’individuo così terribile e minaccioso ? Ne ebbe paura. Una paura folle, senza rimedio. Quella era la vita interiore, profonda, oscura, invincibile, che gli toglieva ogni speranza, ogni illusione di equilibrio e di pace. Non voleva, non desiderava essere così. Aveva orrore di sé medesimo, della vita caotica, tumultuosa, che s’agitava entro di lui come magma pronto a esplodere, a scaturire, a distruggere. Aveva una folle paura di quella vita, ma quella vita era vera ed innegabile. Aveva paura, temeva le proprie azioni, temeva che qualcosa gli sfuggisse, lo tradisse, lo rivelasse a se stesso e agli altri. Temeva il buio della ragione. Avrebbe voluto che ogni suo atto fosse sotto il suo controllo, che ogni minimo atto fosse frutto di riflessione, di ponderazione, sino a potersi vedere, valutare, dirigere come un abile arbitro dirime e giudica o un esperto regista governa gli attori, così avrebbe desiderato osservarsi sulla scena del mondo. Ma era follia, follia per assurdo, volersi opporre alla follia stessa. Non s’accorgeva che la pazzia è il frutto di un eccesso di ragione. Ma la vita, la vita ! Questa terribile malattia !
Come avrebbe potuto affrontarla, come avrebbe potuto sostenere il peso ognora crescente dei giorni, sempre uguali, sempre diversi, e ognuno col suo costante bagaglio d’affanni, di tormenti, di delusioni ? Non aveva più forza per vivere, eppure era trascinato da un impeto oscuro, ed ella era là che lo attendeva, lo guardava e talvolta gli sorrideva. L’enigma della sua bellezza lo sconvolgeva, ah, era sempre più bella e sempre più lontana !
Ricordava brani di sogno, immagini volitanti nella mente come brandelli di fogli stracciati . Era quella che gli diceva : “ Le tue dita sembrano aghi. “  Ella gli parlava in un’ombra, entro una vasta cava ove risonava l’eco del mare.
Allora si volse e vide una navata immensa e in alto una cupola tra le nebbie dell’incenso e nel centro una gigantesca vasca marmorea ove nuotavano grandi tartarughe marine. E la donna, dagli occhi furtivi quale vigile gazzella, a lui diceva parole sommesse come onde di lago silenziose : “ Seguimi, ecco la via del serpente. “
Così disse a lui la donna e lo sedusse per la basilica immensa dove echeggiavano i canti delle acque crepuscolari. Color d’opale, uno specchio sorgeva a riflettere, occhio imperscrutabile, le alterne ombre e le onde vive.
Le ombre di mondi lontani, le ombre in lontani tramonti ove si riflettevano gli echi di cori oltremarini, le voci dei sogni d’infanzia e dei sogni mai sognati, un fluttuare impetuoso, onde di voci impetuose in vortici di luce si rifrangevano sulle coste rocciose d’isole incantate dove nell’ombra sorgevano altissimi castelli neri in fronte all’immenso tramonto. Un susurro si riversava sulle rocce d’acque lucenti e pure come voci di bimbi, i sogni mai sognati prendevano vita in un calice colmo d’incanto. Un inno s’alzava verso il cielo, un inno di luce eterna. E quel canto planava quale alato solitario sulla piana del mare, nell’alito dell’oceano s’allontanava tranquillo verso l’orizzonte, un’anima che vola verso la sua meta, verso le promesse che attendono tutte le nostre speranze.
Un’ombra si dileguava all’orizzonte, nell’abbraccio della notte, nel sogno della morte.

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