La Volontà era il fremito
del tuono e il baluginare dei fulmini. La minaccia, che scaturisce
dalle profondità del cielo e dalle viscere della terra, planava come
un rapace nero nel vento freddo sopra le valli, e a Mauro sembrava
d’esserne annientato e che folgorato si disperdesse crepitando in
cenere accesa. Lo sguardo pallido dell’uomo si volgeva al cielo.
Nella notte il suo capo si sollevava appena dalla terra, in alto il
lampeggiare d’una parola terribile segnava forse la condanna senza
appello. “ Se sono tuo figlio, perché mi hai consegnato alla
disperazione ? ”
Un’informe testa di toro
s’alzava dalla bruma fangosa sotto il bagliore sinistro, mentre il
sole scardinava i cancelli dell’oceano e fugava imperioso le
schiere impaurite delle tenebre. E pur se l’aurora annunciava la
fine del temporale notturno e la vita degli uomini si ridestava alle
cure consuete, egli pensava all’esistenza volgare e alla propria
morte, inevitabile. E pensava di essere già morto. Ora, che
differenza avrebbe fatto ? Non siamo forse tutti già morti ? Il
nostro languido soffrire e traballar sognante attraverso le quattro
età della vita, invasi da immagini triviali, segna un percorso ben
strano che non conduce da nessuna parte, infine ci dileguiamo come
foglie secche, e la polvere il vento trascina via. Gli uomini
somigliano davvero a orologi che caricati procedono senza sapere
perché e nel moto circolare ripetono costantemente le stesse ore,
giorno dopo giorno, e pare che avanzino sempre nel nostro futuro,
mentre irrimediabilmente tornano sempre al punto di partenza.
La vita scorreva, oh
quanto desiderava che passasse, che tutto finisse ! La vita ha questa
legge inesorabile, scorre, scorre all’infinito. Trascorriamo
allora, lasciamoci trasportare dalla corrente. Dovunque andremo
saremo al punto di partenza e, probabilmente, morendo saremo sul
punto di nascere.
Come dunque la vita
imponeva la sua eterna condanna, egli si levò, si vestì e uscì nel
giardino, umido e rosato, e respirò l’aria fresca del nuovo
giorno.
E mentre si voltava verso
la porta, scorse sui gradini del colonnato che reggeva l’ampia
terrazza superiore, una bambola, i cui lustrini splendevano e i crini
biondi parevano invitare a gara i vividi raggi a celebrare una festa.
Incuriosito s’avvicinò
e con sorpresa notò che aveva il vestitino insanguinato, che certo
non poteva essere altro quella gran macchia porporina, dai grumi
scuri, il cui odore non era di vernice.
Ma, preso da un timore
superstizioso e quasi reverenziale, non prese l’oggetto in mano,
anzi se ne allontanò subito.
Rientrando, mentre
camminava lungo un corridoio, vide all’improvviso, sopra l’entrata
d’una stanza mai visitata, un quadro dalla cornice imbrunita dal
tempo, il cui soggetto rappresentava un tramonto estivo sopra una
valle amena. Tra gli alberi i raggi del giorno morente giocavano i
loro ultimi giochi con le fronde esili ma di color bronzeo, le
montagne rivelavano le cime argentee, parendo emergere da un mare
d’ombra.
Nella valle scorreva un
ruscello sulle cui rive due fanciulle scherzavano fra loro
amabilmente, i loro visetti ridenti raccoglievano tutta l’armonia
d’un pomeriggio quieto e sereno. Poco lontano da loro, ma non
visto, dietro una grande quercia stava un pastore e rivolgeva a loro
lo sguardo, pieno di curiosità, il suo volto tradiva una strana
espressione, che dapprima si sarebbe potuta interpretare come un
sorriso di compiacimento, ma, facendo più attenzione, vi si poteva
cogliere una sfumatura di concupiscenza.
Turbato, si diresse verso
la sua stanza, per prepararsi a una passeggiata nell’aria ancora
fresca del mattino.
Quando uscì, l’accolse
la luce inebriante del giorno ed egli s’incamminò senza una meta
precisa verso la montagna che sovrastava il paese.
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