Era stato dunque un sogno,
un vaneggiamento dei sensi, un turbamento dello spirito, una vaga
fuga della fantasia, il suo amore per Misandra ?
Era come morta per lui, ed
era davanti a lui, ed egli l’avrebbe vista per l’ultima volta,
poiché era giunto proprio per l’estremo addio.
E Misandra gli aveva
rivolto un’ultima volta la parola, prima che si chiudessero per
sempre i cancelli di quel giardino proibito.
Ebbe la sensazione di non
aver vissuto che per quegli ultimi giorni, solo per quegli ultimi
giorni.
“ Tutto è perduto “
si disse, poi che la giovinezza era scomparsa per incanto. E solo
allora riusciva, se pur ancora vagamente, a rendersi conto di averla
amata, negli anni della fanciullezza, quando si può dire di non
essere consapevoli di nulla, di averla veramente e profondamente
amata. Ricordava la fanciulla graziosa, dagli occhi splendenti, dalla
fronte nobile e lucente come un astro, alta e atletica come Artemide,
e pensava a remote passeggiate nei boschi, ormai cinte nel ricordo
dalla luce magica d’un’irraggiungibile aurora. Era la più bella
del suo tempo : lo dicevano gli uomini, e lo confessavano le donne.
Chi la vide e non l’amò ?
Si raccolse in se stesso.
La realtà che già l’offendeva quotidianamente con la sua
incomprensibile esigenza di vita comune insieme ad una moltitudine
d’umanità bruta e malriuscita, con quella folla di aborti
prepotenti e di boriosi idioti che dominavano il mondo, quella realtà
ora gli aveva sottratto l’unico sogno.
Sentiva la pena per la
propria sensibilità eccessiva, quasi un male, il cui castigo era il
dileggio da parte del savio mondo, sentiva svanire a poco a poco
l’amore per la vita insieme al suo sogno, per cui solo era valso
trascinare l’esistenza, quasi per il miraggio d’un attimo
fuggevole d’incantevole e incommensurabile ebbrezza.
Ora ella appariva sulla
terrazza, al chiarore lunare, volta all’orizzonte stellato e al
mare infinito.
Il suo viso era un opale
velato dall’ombra, la sua chioma la nera brezza aspra, ella
respirava profondamente, lentamente, il fresco alito notturno.
Inviolata, come un fiore negli abissi, ella appariva,
irraggiungibile.
Ma, a un tratto, ella lo
colse in un bagliore, e gli occhi avvamparono come un rogo, e un’onda
impetuosa, vasta e furente lo abbatté invadendolo, scuotendo e
sradicando tutto il suo essere. Come una fiera lo avvinse tra i suoi
artigli ed egli restò pietrificato, preda senza scampo.
Rimase innanzi
all’immagine di Medusa, colto da un terrore dolcissimo.
Poi le ombre si distesero,
l’onda si ritrasse, il buio si chiuse.
Ed egli non vide più
nulla se non il deserto del silenzio e del mare e del cielo nero
sparso di fuochi, come un’immensa pianura costellata dai bivacchi e
dalle veglie, prima d’una battaglia.
Ma aveva visto ciò che
non doveva vedere, aveva intuito ciò che non doveva sapere. Era
ormai indegno di ogni rivelazione e inutilmente avrebbe tentato
l’oracolo.
La scorgeva nell’ombra
della stanza.
Scorgeva la sua immagine,
dardeggiante una luce estranea, sinistra, eppure vittrice,
stupendamente adornata di cinto e collane e armille e un diadema,
tutti di rubini sanguigni. Non d’altro era vestita, e dai suoi
occhi si dipartiva l’incanto dell’iride verde azzurra, che
prometteva un’ebrezza sconfinata, come il mare che dietro a lei
appariva e si fondeva all’orizzonte col cielo vespertino. Alta la
luna sovra di lei la irradiava della luminosità lugubre del
plenilunio, mentre gli ultimi raggi del crepuscolo venivano catturati
dai rubini.
Ella lo guardava
enigmatica.
Dietro di lei la sagoma
oscura di un grande armadio a specchio sorgeva dall’ombra e il
vetro era simile ad una rettangolare lastra d’argento, ma vi si
posava soltanto la luce lunare, poi che la figura di Misandra pur
essendogli innanzi si rivelava trasparente e invisibile come l’aria
notturna traversata dai pallidi vapori della luna.
Un misterioso terrore lo
invase. E il ricordo di leggende remote tramandate dai racconti
gotici letti da ragazzo gli presentò alla mente curiose coincidenze.
Non era forse anch’egli, però, un misterioso essere notturno ? Non
era infatti riflesso dallo specchio, dato che si trovava di fronte a
lei ed ella non era che un fantasma trasparente.
Ma ella sorrise d’un
sorriso ineffabile e lo guardò a lungo, così, e i suoi occhi
luminosi erano pieni di promesse.
Poi porse le braccia verso
di lui e avanzò lentamente, un piede dopo l’altro, leggera quasi
sfiorando terra.
E allora gli parve ch’ella
discendesse da una nube radiante, e gli occhi di lei s’accesero,
estatici, misteriosi.
Cadde innanzi a lei,
vinto, ed ebbe tuttavia l’ardire di volgere il volto in su, a lei,
fissandola rapito e atterrito nel contempo, invaso e travolto da un
potere invincibile, come una nave dalla tempesta.
E le ondate impetuose
della passione lo circondavano in un brivido vorticoso, in una
spirale di inniti vittoriosi e schiumanti quali flutti che si
frangono in mille lamine argentee contro gli scogli, fragorosi
all’ululo dei venti.
Fu allora travolto da quei
flutti e percorso dai brividi violenti del desiderio. Le sue membra
furono attraversate da una forza irresistibile, oscura.
Un’ebrietudine lo possedette, una follia bacchica che rese il suo
corpo sinuoso come la spirale d’un serpente e privandolo della
ragione gli donò inaudite facoltà e poteri prima sconosciuti.
S’avvinghiò a lei, la
cinse, affondò il volto fra i suoi seni e si esaltò al profumo
della sua carne, candida come avorio.
Ma il sogno lo possedette.
Si sentì abbrancare,
trascinare verso l’alto in un vortice d’ombre e di luci, mentre
il suo spirito esaltato era in preda alla vibrazione d’un’eccelsa
armonia, d’un inno di vittoria. E ondate di luce bionda pervasero
la sua mente, cullarono la sua immaginazione in un brivido di
dolcezza e di oblìo. Vibrarono le corde del suo spirito interamente
posseduto. Egli era felice e libero come pura musica.
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