Ricordava, forse, ma
lontano, nell’aria azzurrina, pervasa di una luce stanca, tra
cupoverdi colline di pini e castagni, le casupole di pietra sparse
sui crinali, umide di pioggia autunnale, e in fondo il manto del mare
argenteo. Un sogno appariva e si dileguava costantemente. Un
desiderio profondo, una nostalgia di svanire, di fluire per tutti i
ruscelli sino alla vasta piana d’acque canore, come un uccello di
fiume, come un ampio chiaro gabbiano volteggiante sui flutti canuti.
Avesse potuto assimigliarsi, unirsi a quel sogno! Eppure un giorno lo
avrebbe atteso con gioia l’ansia dell’aurora, e il nuovo sole
sarebbe asceso nel cielo fervido di nubi rosseggianti, tra il coro
dell’onde e lo spiro infinito dei venti.
Come nell’ascesa dei
raggi dell’alba, il sogno lo trasportava lassù, sui monti, in
verdi valli ove la luce vibrava chiara sulle correnti e sopra il
risuono costante dell’acque dalle alte rupi. Nel vasto respiro dei
boschi e il vociare spensierato degli uccelli, scorgeva da lontano le
casupole sparse dei mandriani e ignote figure lente, avviantesi su
per il pendio, forse rivelando tra l’ombra delle fronde e gli spazi
assolati un eco fluido di chiome.
Sentiva salire dalla terra
l’essenza profumata della rugiada, su dall’erba verde, dai
ciottoli umidi, dall’intrico dei rovi.
Il vagito delle greggi
sulle pendici delle giogaie e il prolungato sufolare dei pastori
ondeggiava nell’aria e si sperdeva rapito dalla brezza. Sopra di
lui respiravano i pioppi, e scorgeva i sassi brillanti tra il
mormorio del ruscello, e il canto degli alati accoglieva gioioso la
luce del mattino.
Le nuvole si disperdevano
in opposte schiere, ancora grigie e pure variamente intinte in un
chiarore roseo, e si aprivano nella vastità del cielo sconfinato,
come un ventaglio il cui semicerchio non trovasse mai il suo angolo
piatto. S’allontanavano nell’infinito, mentre il sole sorgeva in
mezzo ad esse quale un dio nel trionfo della sua nascita fra cortei
di minori spiriti.
Ed egli ascendeva per il
sentiero, contemplando il risveglio della Vita universale.
Essa si ridestava dopo il
sonno, nelle membra rinascendo, rinnovando le fibre come una pianta
permeata di linfa fresca, che genera foglie nuove e abbraccia coi
rami i raggi vitali. La Vita intorno a lui nasceva, dopo la morte del
giorno, in un altro giorno colmo di nascite e di morti, pullulante di
esseri la cui esistenza era scandita sul ritmo di quella Vita più
grande, misteriosa e onnipotente.
Aveva la sensazione di
percepire un brusio in ogni cespuglio e un cinguettio in ogni albero,
e rumori indistinti scorrevano dietro la corteccia o si tradivano
nelle frasche della macchia folta, o si dileguavano lungo il corso
lamentoso d’un ruscello o insidiavano sotto le pietre assolate in
un sibilo minaccioso. E questi stridii e lavorii sommessi e canti e
voci e fragori si accordavano e si mescevano in un rombo simile a
tuono, che echeggiava sotto la volta del cielo quasi nella cavea d’un
immenso teatro, perdendosi nello spazio, smarrendosi come il vociare
indecifrabile d’un folle, sino a polverizzarsi nell’infinito
silenzio.
E in sogno fu ai piedi
delle montagne bianche, sopra le quali volitavano fragili veli di
nebbia, dalle quali era riflesso il bagliore solare. E guardò,
mentre il vento inchinava gli alti abeti.
Scorse un villaggio
alpino.
Il sole sorgeva dalle
montagne, che piano piano si rivestivano di verde. Un flauto suonava
nel villaggio, che si destava al nuovo giorno e alle rinnovate
fatiche. I buoi, trainando un carro dalle ruote piene, si dirigevano
pungolati ai campi e ai meleti; ai confini dei terreni incombevano
smisurati i monti rocciosi, d’una tonalità grigiorossastra.
Il fiume scorreva limpido,
nascendo dai vicini ghiacciai, e si tuffava da strapiombi entro i
quali muggiva formando a volte piccoli laghi in cui l’acqua verde
azzurra, gelida, non lasciava gli sguardi penetrare sino al fondo. Le
sue correnti mormoravano tra gli abeti presso una casa fondata sulla
rupe, una casa di pietra e legno, dal tetto aguzzo e dalle minute
finestre lavorate e dipinte.
Da una di queste
s’affacciava un giovane che respirava l’aria frizzante e sognava
ancora allo scorgere filamenti di nubi rosate nel cielo cristallino,
che si dissolvevano in vortici aerei.
Mentre così era rapito
nelle fantasticherie e in un ozio beato, udì un canto dall’altra
riva del fiume, tra i fusti degli abeti dalla soffice fronda, e vide
una fanciulla che trascorreva quale vera immagine di sogno.
Era una ragazza di umile
aspetto, che reggeva un canestro di fiori e di erbe, ed era bionda. E
come s’accorse d’essere osservata, si volse e gli sorrise un
poco. Allora il giovane non si mosse fino a che non l’ebbe veduta
scomparire nel folto della foresta.
Gli alati cinguettavano
tra lo stormire dell’alto fogliame dei larici, e il giovane uscì
dalla casa nella luce novella.
L’acqua scorreva tra gli
scogli spumosa e garrula in ripetuti giri, ed egli passò il
ponticello di tronchi e subito fu sulla sponda opposta. Camminava
senza una meta, attratto dalla vita della selva dove filtravano
flussi di luce più o meno intensi e s’alternavano a zone d’ombra,
come in un tempio.
E prese il sentiero della
montagna. Gli pareva udire una voce muliebre cantare a distanza, e
gli sembrava che la voce vibrasse entro i tronchi e i rami, per tutta
la boscaglia echeggiando. E pensava fosse la voce delle foglie
cadute, che calpestava, e la voce delle foglie oscillanti sulle
branche, e delle trame arboree che s’incupolavano sopra di lui.
Proseguiva il cammino insieme al sole, e ascendeva di pietra in
pietra in ventosi canaloni fra le ardue rupi, per cui sibilavano i
soffi delle alture.
Man mano ch’egli
s’avvicinava al mondo degli dei lo catturava un’inquietudine, un
senso angoscioso d’incompiutezza, quasi che la solarità del
mattino non fosse abbastanza vivida sì da avvolgerlo in un turbine
di luce e trasumanarlo. Quale ansia lo spronava così da presso come
una minacciosa necessità ? Quali sogni avevano sconvolto la sua
mente ? Gli sembrava davvero che la memoria fosse un baratro da cui
risalivano insieme alle correnti aeree le ombre del passato e i
fantasmi della fantasia.
Allora ebbe paura di se
stesso. Si sentì stranamente simile a un dio.
Un corvo lo guidò nel
volo sonoro ad una fonte riparata dai pini. Una fonte che balbava tra
pietruzze canute dell’età di millennii.
Bevve nel cavo della mano.
E poi che si fu accucciato sotto un pino generoso, il sonno gli
chiuse le palpebre.
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