In alto commosso dal
respiro insolito dell’aria e dalla libera visione dell’orizzonte,
ristette come stupito. Le nubi erano al di sotto dei suoi piedi. Le
Alpi rocciose e innevate, per le quali il feroce nemico del popolo
romano osò aprirsi il varco, coronavano la volta celeste, dove le
nuvole galleggiavano, strane, multiformi, candide navi.
Lentamente scese dalla
vetta, mentre i suoi pensieri, le sue immaginazioni vagavano intorno
a lui per l’ampio cielo azzurro. Quando infine si volse a mirare
l’alta montagna, la mole gli apparve stagliarsi sul fondo infinito,
isolata tra i nembi, quasi potesse cingerla in un istante con la
mano, così piccola innanzi alla vastità della mente umana.
Lo spirito è un’isola
eterna. Il mare mutevole, che si agita intorno a noi e che noi
osserviamo con sguardo intimorito o ammaliato, è la nostra stessa
esistenza. Esso si muove instancabilmente e si abbatte contro la
nostra riva con furia rinnovata, certo di trovarla sempre innanzi a
sé, come l’indispensabile meta dell’incessante suo movimento.
Rapidamente giunse al
limitare della foresta. E vide un mare crestato di spume vittoriose,
fremente dorso azzurro oltre le colonne dei pini. Udiva il fragore
delle ondate ed alzava lo sguardo alle branche frondose e
ondeggianti. La luce penetrava come per le vetrate d’un duomo.
Ascoltava. Una comunione
di aneliti, un ansimo profondo, una sinfonia aliava scaturendo dai
ceppi quasi da un organo sotterraneo. I grandi alberi protendevano i
robusti rami invasi come vele sulle acque dal querulo murmure del
vento. Il sibilo lo colpiva quale per frante velature nella tempesta
assale i marinai l’ansia della fine. Egli avvertiva prorompere
dalla terra il grande gemito.
Squillò un fulmine sul
mare risonante. E si precipitava la massa tumultuante e fosca come
un’immensa schiera di cavalli armata corrente sovra la pianura,
minacciosa, sollevando nugoli di polvere nera.
Calò il manto sulla volta
del cielo e la pioggia fitta iniziò a dardeggiare il bosco, prono
sui fianchi della montagna.
Egli vide lontano la
sagoma chiara della villa. Splendeva stranamente tra la vegetazione
degli eucalipti e dei cipressi che le stavano a rispettosa distanza,
timorosi e inclinati dalla procella.
La luce del sole morente
per puro caso imbattendosi in quelle mura sembrava tutta assorbita da
esse, poi che nell’ombra della sera tempestosa era l’unica casa a
risaltare, insieme ai lampi.
Non fuggì la tempesta,
ma, trovato riparo sotto la roccia sporgente, se ne stette fermo a
contemplare, inebriato dal furore di tutti gli elementi naturali,
sferzati dal tirso di Bacco.
E in accordo col crescere
della tempesta cresceva in lui il furore, egli partecipava dei
fenomeni di natura come propri della sua anima, così che quasi
poteva credere fosse invece la natura ad essere influenzata dai moti
occulti dell’anima sua.
Egli anelava a
oltrepassare se stesso, ad annientarsi fondendosi in un unico essere
con la tempesta devastatrice. La sua volontà era la medesima. Era
quella che suscitava il turbine e scagliava la saetta, quella che
mormoreggiava sinistra nel tuono, quella che prostrava i cespugli e
inchinava gli alti alberi.
La sentiva dentro di sé,
terribile, salire tumultuosamente dall’abisso del suo spirito,
dalle profondità dell’inferno, una potenza superiore al suo stesso
essere, ch’era in lui prima sopita in un letargo misterioso e ora,
destatasi, rompeva furiosamente ogni vincolo e si svelava una mènade
in una danza omicida.
E, quando fu di nuovo alla
villa, vide nel giardino la bionda fanciulla, pallida trascorrente
sul prato come una ninfa piccola, esangue. La luce tenue della sera
le accarezzava i lunghi capelli ondeggianti alla brezza nella corsa.
Correva dunque, sembrava impaurita.
La selva era intorno, del
parco. Alta era, oscura, mormorante al respiro profondo degli alberi
grevi.
Mauro aspirò l’aria
umida ch’esalava dalle foglie cadute, dai cespugli, dal fitto
fogliame. Ne fu quasi stordito e sostò un attimo, in raccoglimento.
Ebbe la sensazione che in lui trascorresse una musica lontana, dalle
remote regioni del passato, ondeggiante nella memoria, colma di mille
impressioni e desideri. Ah, la vita irraggiungibile ! Vissuta
realmente solo nel ricordo ! Così il pensiero lo pervadeva
istantaneamente, inconscio. Egli s’arrestava muto, chiuso nel
colloquio con se stesso, incantato da un’immagine forte e fragile
come il riverbero d’un raggio di sole. Allora gli pareva di vivere
davvero, quando ricordava.
E allora si diresse nella
sua stanza ed aperto un cassetto della scrivania, che era posta
innanzi alla finestra a sinistra d’un grande armadio, estrasse un
manoscritto e vi appose altri pensieri.
Immaginava d’essere
proprio in quella stanza. La camera era in penombra, le pareti
ingombre di scaffali e di libri, l’aria stantìa. Apriva perciò la
finestra e guardava. Vedeva in lontananza una distesa di colline e di
boschi dove la luce dilagava, allora usciva dalla casa e, mentre
stava chiudendo il portone, scorgeva una fanciulla che trascorreva
leggiadra e aveva i capelli quali messi ondose e biondi come i
grappoli colmi dei doni solari. Ella sorrideva e passava.
S’incamminava per il
sentiero che portava alla montagna. Proprio di fronte ai monti
s’estendeva il mare incanutito dai venti autunnali.
Le foglie degli ulivi
tremolavano, e mentre procedeva inoltrandosi nel bosco udiva il
fruscìo e il vasto respiro dei castagni e dei pini. Il concerto
degli uccelli e delle rondini che s’adunavano, e il gracchiare dei
gabbiani che volteggiavano verso terra, lo spingeva a levare il capo
di tratto in tratto e ad osservare il lento mutare delle nubi.
Sopra il mare il sole
sorgeva in un rogo rosso e imporporava le onde riversandosi
irrompente, quasi da vena copiosa una improvvisa scaturigine.
L’aria era frizzante e
pura e il sangue pareva purificarsi ad ogni passo e le membra
divenivano agili e vive al pari degli animali che corrono e guizzano
per le selve. Le foglie iniziavano appena a cadere e a tappezzare qua
e là il sentiero e il sottobosco, umido di rugiada. I raggi
illuminavano i tronchi dei pini e le branche dei castagni, accendendo
i muschi, che li maculavano d’un verde smeraldo.
Ma, ecco, proprio in
fronte apparve sopra un lauro, appollaiato e immobile, un corvo, nero
come una notte cieca, né accennava minimamente a prendere il volo,
anzi pareva insistentemente fissarlo. I suoi occhietti maligni gli
leggevano l’anima, e sembrava quasi che l’uccello mutasse il suo
consueto gracchio in un riso aspro e beffardo, quando il viandante,
straziato, con un gesto improvviso colse un sasso e glielo lanciò.
L’alata ombra del malaugurio volò via senza suono.
Continuando nel cammino
giungeva presso una sorgente. Vicino ad essa s’innalzava una
piccola casupola in pietra, ormai rifugio occasionale di vagabondi.
Poco discosto, il bosco di castagni offriva un’umida ombra al
riposo e al sogno.
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