I.
Ancora
io t'odo su la riva, o Nara,
tra
le selve de' giunchi e de' canneti
chiamar
con le canzoni agile a gara
le
cicale de' pioppi, ne' quieti
mezzogiorni
di giugno! La Pescara
gorgogliava
freschissima pe' i greti:
cantando,
il piede breve e la rotonda
gamba
tenevi tu, Nara, ne l'onda.
O
selvativo bosco di Fusilli
pieno
d'erbe aromatiche e di more,
ove
di quella voce alta a li squilli
si
destavan le capre da 'l sopore
e
guatavan co' lunghi occhi tranquilli
in
atto di pigrizia e di stupore,
o
bosco, ed or tu dammi ne le ottave
l'aura
de la tua verde ombra soave!
In
questa siccità di mezzogiorno
un
disío de la dolce acqua nativa
mi
prende. Ora verdeggia ampia d'in torno
Villa
Borghese; ed io su l'erba estiva
mi
distendo supino, ed un ritorno
naturale
di versi mi ravviva
le
memorie; e non mai cosí da prima
larga,
sonante mi fluí la rima.
Tu,
Nara, dove sei, florida bionda
da
la pelle bronzina di mulatta,
che
avevi grigia l'iride profonda
e
una stupenda agilità di gatta?
Tu
non piú ritta in piedi su la sponda
vedi
a l'alba passar me su la chiatta
in
mezzo a 'l fiume, tra 'l rabbrividire
de
le canne tendenti a rifiorire!
Te
non piú camminante, tra un fogliame
di
cocomeri e zucche aspro ed enorme,
io
vedo, con un'anfora di rame
su
'l capo, ne 'l terreno imprimer l'orme
de
'l nudo pié! Tra i fumi de 'l letame
piú
non vedo venire le tue forme,
o
te diritta emerger fra le piante
de
i girasoli, come un fior gigante!
II.
Tale
prima io la scorsi. Era un'oscura
conca
d'acque in un braccio solitario
de
'l fiume ove traverso la frescura
filtrava
il sole a tratti agile e vario;
di
sotto a una spalliera di verdura
tenera
qualche tronco centenario
di
salcio da le radiche scontorte
pareva
un gruppo di vipere morte.
Io
disteso ne 'l fieno, poi che a l'esca
non
un sol pesce accorse, udivo il lento
mareggiare
de 'l fieno a l'aria fresca
e
de li alberi il gran frascheggiamento.
Trasalii;
ché tra l'erba gigantesca
parve
d'un tratto mi recasse il vento
un
sentore di carne: il corpo eretto
di
Nara, seminudo, a mezzo il petto,
sorgea
fuori de l'erba. Ella con mite
fruscío
tendea, strisciando, a la riviera:
le
mazze sorde intorno le fiorite
spighe
ergevano a lei. Come levriera
ella
fiutava il vento, alta: ferite
da
la provocatrice primavera
le
sue nari vibravano; su 'l dorso
i
suoi capelli ribellati a 'l morso
de
'l pettine cadevano. Un antico
di
menade frammento era il suo busto
eretto,
in quell'inconscio atto impudico.
Giunse
a 'l limite: l'acqua ne l'angusto
cerchio
stagnava, e fino a l'ombelico
la
bagnò frescamente. A l'acre gusto
di
quel fresco increspavasi la pelle
e
dure si drizzavan le mammelle.
Io
spiava tra l'erba. Ella, le braccia
protesa
a un ramo, tutta sopra il saldo
fianco
ondeggiò, levando alto la faccia
e
la gola carnosa ove oro caldo
le
si accendea. Poi, come serpe in caccia,
da
'l ramo si lanciò ne lo smeraldo
de
l'acqua che in tempesta ampia si mosse
rifiorendo
di schiume a le percosse.
Le
nudità pieghevoli guizzanti,
ne
'l mister de la conca fluviale,
tra
una greggia di foglie galleggianti
metteano
un solco; e dietro il solco l'ale
il
desiderio mio tratto a li incanti
de
la carne battea rapido, quale
a
'l bosco richiamato da l'odore
de
la preda selvaggia un avoltore.
Ma
quando il corpo ella adagiò deterso
a
fior de l'acqua e simili a scarlatte
bacche
le cime de 'l suo sen riverso
galleggiarono,
e il ventre suo di latte
palpitò
di stanchezza, e de l'emerso
monte
tra la peluria fina attratte
scintillaron
le gocce, e ne la grigia
iride
scintillò la cupidigia
de
'l piacere, io che in quel riarso letto
d'erbe
in silenzio mi torcea, ferito
da
un intenso desío, tale da 'l petto
per
non piú soffocar misi un bramito,
che
con rapido moto ella in sospetto
si
volse. Poi, qual cerva che a l'invito
de
l'amore fiutando erge la testa
se
oda il maschio passar ne la foresta,
la
giovine guatò, senza paura,
in
attesa di pugna... Oh come, oh come
a
l'agguato de 'l sol la sua figura
tutta
ne la ricchezza de le chiome
si
porse e in van pugnante a la congiura
dei
virgulti e di me rese le dome
braccia!...
- Cantavan alto biancheggiando
consapevoli
i pioppi in linea, quando
a
'l ritorno vogai. Su la Pescara
lontanava
de' pioppi il colonnato,
e
fra li intercolunnii, ne la chiara
serenità,
moriva il sol tuffato
in
caldi fiumi. Una fragranza amara
di
succhi co 'l sentor de 'l fien falciato
da
quell'ammasso vegetale, a 'l lento
naufragare
de 'l sole, urgea ne 'l vento.
III.
E
cosí tante volte io sovra il letto
de
l'erbe amai quella superba e rude
Venere
fluvïale, ne 'l conspetto
de'
pioppi. Ed entro il cerchio de le ignude
braccia,
a 'l profumo de l'ignudo petto
il
mio vigore lentamente in crude
lascivie
illanguidiva. Era una morte
oblïosa,
un incanto ove la forte
adolescenza
si perdeva; in quella
primavera
de 'l fiume, in quel felice
risveglio
de la patria. Una novella
onda
di umore su da la radice
prendea
le cime, qual da una mammella
di
femmina gigante, irrigatrice
di
vite, il latte; ed una sonnolenza
quasi
di parto ad ora ad or l'ardenza
addolciva
de l'aria; e da 'l lavoro
augusto
de le vite rinnovate,
ne
'l silenzio de l'aria, come un coro
naturale
saliva; e de l'estate
l'alito
già saliva; e a messidoro
i
canti, ne le vigne soleggiate,
tra
i solchi de 'l fromento, pe' i lontani
culmini
già salíano, i canti umani!
Noi
portammo una viva ecloga in fiore
a
traverso i tumulti. In ogni nervo
io
sentiva fuggirsene il vigore;
ma
tenuto a quel corpo io, come un servo
a
'l suo ferro, non grido altro d'amore
avea
per Nara che il bramir de 'l cervo
in
disío. Quando muta ella tra i fusti
appariva
de' pioppi, su i robusti
fianchi
ondeggiante, ne 'l novilunare
auspicio,
e le sue chiome ardue di rame
si
tingeano e la voglia entro le chiare
iridi
ardeva in folgori di lame,
io
mi sentiva i muscoli tremare
di
febbre. Ella venía, bella ed infame,
a
sazïarsi. Ed io non la tenea
per
conquista: ella a me, come una dea
a
la gente mortale, il godimento
de
le membra concesse. Alta, su 'l fieno,
senza
pietà, me ne l'abbattimento
lasciava;
con quel grande occhio sereno
riguardandomi,
lungi a passo lento
perdevasi
ne l'ombre. Ma il veleno
de
le lussurie sue ne le mie carni
s'insinuava
a rodermi li scarni
fianchi;
ma de la sua pelle i tenaci
effluvi
una prurigine lasciva
dàvanmi
a 'l sangue; ma de' lunghi baci
mi
restava il sapor ne la saliva,
quando
a provar carezze meglio audaci
con
la sua lingua su la mia gengiva
ella
scorreva e tra la molle bava
le
labbra con i denti mi segnava.
IV.
Era
Venere nova, dea presente:
ne
'l suo nudo di marmo il sol di maggio
avea
diffuso un alito di ardente
oro.
Parea che tutta a 'l suo passaggio
la
gran riva sentisse inconscïente
la
presenza di un nume, in un selvaggio
anelito,
e da l'erbe alte i cachinni
de'
fauni uscissero e di Pane gl'inni.
V.
Poi
disparve; qual dea. Sotto i discreti
pioppi
io l'attesi, vigilando in vano
se
tra i fochi de 'l vespro pe' i canneti,
come
un giorno, scendesse di lontano.
Ebbero
altri amatori, altri poeti
il
profumo d'amor di quell'umano
fiore?
O il fior de le membra ne le spume
misteriose
de 'l nativo fiume
si
disciolse? - Io non so. Ma la verdura
dove
io primo l'amai, dove sommessa
ella
si diede a me tutta, la pura
forma
de i lombi e de le reni impressa
ritenne,
come se per avventura
una
statua di bronzo tra la spessa
erba
abbattuta già da tempo antico
fosse
rimasta. Ed in quell'impudico
segno
d'amore e di piacere io steso,
quale
un corpo di morto in una bara,
sentii
crescere ancor sotto il mio peso
i
fili d'erba, udii ne la Pescara
correre
l'acqua; e da 'l mio sangue acceso
rifiorivano
i baci acri di Nara,
come
oggi, in molli versi che per l'aria
si
perdevan ne l'ora solitaria.
FINE