venerdì 17 gennaio 2014

Gabriele D'Annunzio, Venere d'acqua dolce.





 
I.
Ancora io t'odo su la riva, o Nara,
tra le selve de' giunchi e de' canneti
chiamar con le canzoni agile a gara
le cicale de' pioppi, ne' quieti
mezzogiorni di giugno! La Pescara
gorgogliava freschissima pe' i greti:
cantando, il piede breve e la rotonda
gamba tenevi tu, Nara, ne l'onda.
O selvativo bosco di Fusilli
pieno d'erbe aromatiche e di more,
ove di quella voce alta a li squilli
si destavan le capre da 'l sopore
e guatavan co' lunghi occhi tranquilli
in atto di pigrizia e di stupore,
o bosco, ed or tu dammi ne le ottave
l'aura de la tua verde ombra soave!
In questa siccità di mezzogiorno
un disío de la dolce acqua nativa
mi prende. Ora verdeggia ampia d'in torno
Villa Borghese; ed io su l'erba estiva
mi distendo supino, ed un ritorno
naturale di versi mi ravviva
le memorie; e non mai cosí da prima
larga, sonante mi fluí la rima.
Tu, Nara, dove sei, florida bionda
da la pelle bronzina di mulatta,
che avevi grigia l'iride profonda
e una stupenda agilità di gatta?
Tu non piú ritta in piedi su la sponda
vedi a l'alba passar me su la chiatta
in mezzo a 'l fiume, tra 'l rabbrividire
de le canne tendenti a rifiorire!
Te non piú camminante, tra un fogliame
di cocomeri e zucche aspro ed enorme,
io vedo, con un'anfora di rame
su 'l capo, ne 'l terreno imprimer l'orme
de 'l nudo pié! Tra i fumi de 'l letame
piú non vedo venire le tue forme,
o te diritta emerger fra le piante
de i girasoli, come un fior gigante!
II.
Tale prima io la scorsi. Era un'oscura
conca d'acque in un braccio solitario
de 'l fiume ove traverso la frescura
filtrava il sole a tratti agile e vario;
di sotto a una spalliera di verdura
tenera qualche tronco centenario
di salcio da le radiche scontorte
pareva un gruppo di vipere morte.
Io disteso ne 'l fieno, poi che a l'esca
non un sol pesce accorse, udivo il lento
mareggiare de 'l fieno a l'aria fresca
e de li alberi il gran frascheggiamento.
Trasalii; ché tra l'erba gigantesca
parve d'un tratto mi recasse il vento
un sentore di carne: il corpo eretto
di Nara, seminudo, a mezzo il petto,
sorgea fuori de l'erba. Ella con mite
fruscío tendea, strisciando, a la riviera:
le mazze sorde intorno le fiorite
spighe ergevano a lei. Come levriera
ella fiutava il vento, alta: ferite
da la provocatrice primavera
le sue nari vibravano; su 'l dorso
i suoi capelli ribellati a 'l morso
de 'l pettine cadevano. Un antico
di menade frammento era il suo busto
eretto, in quell'inconscio atto impudico.
Giunse a 'l limite: l'acqua ne l'angusto
cerchio stagnava, e fino a l'ombelico
la bagnò frescamente. A l'acre gusto
di quel fresco increspavasi la pelle
e dure si drizzavan le mammelle.
Io spiava tra l'erba. Ella, le braccia
protesa a un ramo, tutta sopra il saldo
fianco ondeggiò, levando alto la faccia
e la gola carnosa ove oro caldo
le si accendea. Poi, come serpe in caccia,
da 'l ramo si lanciò ne lo smeraldo
de l'acqua che in tempesta ampia si mosse
rifiorendo di schiume a le percosse.
Le nudità pieghevoli guizzanti,
ne 'l mister de la conca fluviale,
tra una greggia di foglie galleggianti
metteano un solco; e dietro il solco l'ale
il desiderio mio tratto a li incanti
de la carne battea rapido, quale
a 'l bosco richiamato da l'odore
de la preda selvaggia un avoltore.
Ma quando il corpo ella adagiò deterso
a fior de l'acqua e simili a scarlatte
bacche le cime de 'l suo sen riverso
galleggiarono, e il ventre suo di latte
palpitò di stanchezza, e de l'emerso
monte tra la peluria fina attratte
scintillaron le gocce, e ne la grigia
iride scintillò la cupidigia
de 'l piacere, io che in quel riarso letto
d'erbe in silenzio mi torcea, ferito
da un intenso desío, tale da 'l petto
per non piú soffocar misi un bramito,
che con rapido moto ella in sospetto
si volse. Poi, qual cerva che a l'invito
de l'amore fiutando erge la testa
se oda il maschio passar ne la foresta,
la giovine guatò, senza paura,
in attesa di pugna... Oh come, oh come
a l'agguato de 'l sol la sua figura
tutta ne la ricchezza de le chiome
si porse e in van pugnante a la congiura
dei virgulti e di me rese le dome
braccia!... - Cantavan alto biancheggiando
consapevoli i pioppi in linea, quando
a 'l ritorno vogai. Su la Pescara
lontanava de' pioppi il colonnato,
e fra li intercolunnii, ne la chiara
serenità, moriva il sol tuffato
in caldi fiumi. Una fragranza amara
di succhi co 'l sentor de 'l fien falciato
da quell'ammasso vegetale, a 'l lento
naufragare de 'l sole, urgea ne 'l vento.
III.
E cosí tante volte io sovra il letto
de l'erbe amai quella superba e rude
Venere fluvïale, ne 'l conspetto
de' pioppi. Ed entro il cerchio de le ignude
braccia, a 'l profumo de l'ignudo petto
il mio vigore lentamente in crude
lascivie illanguidiva. Era una morte
oblïosa, un incanto ove la forte
adolescenza si perdeva; in quella
primavera de 'l fiume, in quel felice
risveglio de la patria. Una novella
onda di umore su da la radice
prendea le cime, qual da una mammella
di femmina gigante, irrigatrice
di vite, il latte; ed una sonnolenza
quasi di parto ad ora ad or l'ardenza
addolciva de l'aria; e da 'l lavoro
augusto de le vite rinnovate,
ne 'l silenzio de l'aria, come un coro
naturale saliva; e de l'estate
l'alito già saliva; e a messidoro
i canti, ne le vigne soleggiate,
tra i solchi de 'l fromento, pe' i lontani
culmini già salíano, i canti umani!
Noi portammo una viva ecloga in fiore
a traverso i tumulti. In ogni nervo
io sentiva fuggirsene il vigore;
ma tenuto a quel corpo io, come un servo
a 'l suo ferro, non grido altro d'amore
avea per Nara che il bramir de 'l cervo
in disío. Quando muta ella tra i fusti
appariva de' pioppi, su i robusti
fianchi ondeggiante, ne 'l novilunare
auspicio, e le sue chiome ardue di rame
si tingeano e la voglia entro le chiare
iridi ardeva in folgori di lame,
io mi sentiva i muscoli tremare
di febbre. Ella venía, bella ed infame,
a sazïarsi. Ed io non la tenea
per conquista: ella a me, come una dea
a la gente mortale, il godimento
de le membra concesse. Alta, su 'l fieno,
senza pietà, me ne l'abbattimento
lasciava; con quel grande occhio sereno
riguardandomi, lungi a passo lento
perdevasi ne l'ombre. Ma il veleno
de le lussurie sue ne le mie carni
s'insinuava a rodermi li scarni
fianchi; ma de la sua pelle i tenaci
effluvi una prurigine lasciva
dàvanmi a 'l sangue; ma de' lunghi baci
mi restava il sapor ne la saliva,
quando a provar carezze meglio audaci
con la sua lingua su la mia gengiva
ella scorreva e tra la molle bava
le labbra con i denti mi segnava.
IV.
Era Venere nova, dea presente:
ne 'l suo nudo di marmo il sol di maggio
avea diffuso un alito di ardente
oro. Parea che tutta a 'l suo passaggio
la gran riva sentisse inconscïente
la presenza di un nume, in un selvaggio
anelito, e da l'erbe alte i cachinni
de' fauni uscissero e di Pane gl'inni.
V.
Poi disparve; qual dea. Sotto i discreti
pioppi io l'attesi, vigilando in vano
se tra i fochi de 'l vespro pe' i canneti,
come un giorno, scendesse di lontano.
Ebbero altri amatori, altri poeti
il profumo d'amor di quell'umano
fiore? O il fior de le membra ne le spume
misteriose de 'l nativo fiume
si disciolse? - Io non so. Ma la verdura
dove io primo l'amai, dove sommessa
ella si diede a me tutta, la pura
forma de i lombi e de le reni impressa
ritenne, come se per avventura
una statua di bronzo tra la spessa
erba abbattuta già da tempo antico
fosse rimasta. Ed in quell'impudico
segno d'amore e di piacere io steso,
quale un corpo di morto in una bara,
sentii crescere ancor sotto il mio peso
i fili d'erba, udii ne la Pescara
correre l'acqua; e da 'l mio sangue acceso
rifiorivano i baci acri di Nara,
come oggi, in molli versi che per l'aria
si perdevan ne l'ora solitaria.
FINE

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