venerdì 3 gennaio 2014

Crepuscolo
















 
Il pendolo d'un grande orologio oscillava entro l'oblò dell'alta cassa lignea, e su di un tavolo, intarsiato e protetto da una trina bianca ed elaborata, era un grammofono che, qual prodigioso fiore o calice, emetteva armonie per una tromba imponente. E la musica in volute lievi, tenaci, e fragorose s'innalzava verso la cupola, illustrata, negli affreschi ingenui, da una luce serotina che s'intrometteva per vetrate multicolori e circolari.
Il palazzo era circondato da una vegetazione fitta e disordinata di palme, di agavi, di iucche, d'eucalipti, di cactacee, di araucarie, di magnolie, e imitava il parco nell'architettura eclettica e floreale : sopra colonne corinzie gli architravi erano incastonati in una fabbrica rococò che vantava tre cupole coronate, e sovra gli architravi erano i rosoni, somiglianti ad occhi guardiani o a eliotropi perenni.
In una stanza, dove i tardi raggi s'affiochivano tra cortinaggi guarniti di falpalà e languivano sui tappeti cupi e sul coperchio della teiera d'argento e guizzavano ancora in un barlume di rame nel té restato nella tazza di porcellana cinese, era un giovane dormente in un divano.
Egli sognava d'essere sulla spiaggia, sopra una roccia alla cui base barbugliavano le onde, e di mirare l'infinita piana delle acque sulle quali si dilungava la ferita del sole morente.
Udiva un canto dolcissimo, che forse sorgeva da un promontorio non a grande distanza, e ne percepiva distintamente le parole :

Sirene del mare, dell'onda muse
purpuree all'eco cianeo remoto
dei manti flavi, canti e arpe confuse,
fili d'oro d'aulite chiome e al loto

libico suoni di rive d'Asia,
flutti ove mormora l'ultima coppa
stanca del miele dell'Imetto amasia;
simposii senza corone, galoppa

l'ultimo innito, spiro delle dune
dei neri frutti gravide, il vento
donde incubo vigorisce in crune

d'ago scempio di sogni, e me violento
deruba, barbaro, e voi, albo coro,
crespo crine, figlie del fiume d'oro. “

E mentre la sua vita s'inabissava in un torpore immobile, quale il simulacro d'un dio pagano, perduto alla memoria di popoli vecchi, discerse un bagliore rubescente approssimarsi rapido.
Un corsiero fulvo, dalla iuba ignea, dalle froge fremide e dalle orbite sanguigne era aggiogato alle braccia tenaci d'una femmina dalla rossa chioma, coverta d'una tunica bianca. E, poi ch'ella giunse appresso alla rupe, arrestò la bestia, e a lui fissava gli occhi nel volto.
Ella lo fissava con i suoi occhi che fosforeggiavano d'un ardore di smeraldo, le ciocche del capo s'enfiavano quasi aspidi insidiosi, impallidiva esangue. Così certo un tempo le schiere temerarie dei valorosi impietriva Medusa.
Una melodia fascinatrice, quale quella del leuto argenteo che Leonardo da Vinci aveva forgiato in forma di cranio di cavallo, lo incantò in un coma premonitore, ed egli vagava per il nero labirinto. E pari alla luce che s'alterna alla tenebra e la notte al giorno, e sono inseparabili, egli cedeva all'altra immagine a lui unita ed opposta, siccome un riflesso.






Nessun commento:

Posta un commento